
Sono trascorsi undici anni da quando il Profeta dell’Apocalisse, il serial killer che aveva terrorizzato Milano, ha colpito l’ultima volta uccidendo la moglie e il figlioletto del commissario Alexander Wolf, dopo averli sottoposti a torture indicibili, facendosi aiutare dai suoi Cavalieri. Da quella notte tutto è cambiato. Dopo essere stato deposto dal suo ruolo, per aver ucciso a sangue freddo uno dei Cavalieri e aver scontato un periodo di reclusione, Wolf si trasferisce nella sua villa di Varenna insieme alla figlia Vera: una ragazza ventisettenne, nata da una relazione giovanile. Anche se non è più un poliziotto, Alexander continua a collaborare segretamente con il suo ex collega e amico Giorgio Alborghetti, aiutandolo nelle indagini grazie ad alcune sue doti particolari. Ma l’incubo, che sembrava ormai sopito, ritorna all’improvviso per trascinarlo di nuovo all’inferno. Una mattina, rincasando da una nottata con Alborghetti, Alexander trova sul tavolo della sala da pranzo una lettera del Profeta dell’Apocalisse. Il folle è tornato e una sanguinosa caccia all’uomo ha inizio: il baratro sembra non avere fondo e una scia di morte e dolore rivelerà verità insospettabili che nessuno avrebbe mail voluto sapere.
Recensione
“Quello è il Diavolo… e il Diavolo non si può fermare”
Ed infatti non si ferma, anzi, il Male è tornato e si annuncia con una lettera, lasciata sul tavolo in casa di Alexander Wolf. Il Male non è un oggetto è il SOGGETTO. È il Profeta, che undici anni prima ha distrutto la vita di Wolf.
Così si apre il libro, con la rievocazione di una scena raccapricciante, nella modalità, che ha visto il Profeta compiere l’ultimo di una serie di omicidi. Il Profeta e i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse.
Milano – Varenna, le due città in cui si svolge gran parte della narrazione. Fine inverno, la nebbia, la pioggia, il freddo, un palcoscenico ideale per il serial killer. L’oscurità che si unisce al male, un buon punto di partenza, non sarebbe stato lo stesso se tutto si fosse svolto in estate sotto il sole.
Anche la scelta del malvagio è una buona scelta, un po’ scontata forse, ma sicuramente aperta a tutti gli scenari. Uno psicopatico invasato che uccide i “peccatori” con la “Bibbia in mano”, se mi è concesso. Molti i passi dell’Apocalisse citati (e forse avrebbero beneficiato di una nota con traduzione per rendere più comprensibile a molti il senso dell’omicidio stesso), molti anche i simboli esoterici.
I personaggi, purtroppo, sono già visti al punto da risultare un poco scontati e il rischio di cadere nel cliché si concretizza. Abbiamo la coppia Wolf – Alborghetti, maestro e allievo.
Wolf, un ex commissario di polizia. Processato e allontanato dalla carica dopo aver ucciso a sangue freddo uno dei quattro cavalieri, reo dell’uccisione dei suoi familiari. Possiamo fargliene una colpa? Americano di Orlando, madre italiana, vive a Varenna, in una casa sul lago, insieme alla figlia Vera avuta da una precedente relazione. Un uomo distrutto, appesantito dagli anni e dalla vita, con una pallottola nel cuore, ricordo dell’incontro con i seguaci del profeta. Un uomo legato ad alcuni feticci per lui vitali, al suo Nokia e, soprattutto, alla bottiglia. È un solitario: Wolf è un cognome calzante, un Lupo solitario. La caccia al serial killer è la sua unica ragione di vita. Ma, per non allontanarci troppo dall’ambito profetico-esoterico, Wolf ha una marcia in più che lui chiama COSA. Una dote che, attraverso i sogni o gap temporali improvvisi, lo aiuta a risolvere i casi, e questo da sempre. Ovviamente, come per tutti i veggenti, la “cosa” non vale per lui, non è riuscito a prevedere la sua tragedia. Queste doti paranormali vengono però poco sottolineate e questo lascia il dubbio che si potessero ampliare di più dato che, a parere di chi scrive, si sarebbero ben adattate alla trama e al tema. Ma, come tutti i bravi investigatori, Wolf ha, all’occorrenza, un suo “piano reale”.
È un uomo che amava la sua famiglia e che ama sua figlia Vera. Vera è una ribelle, una dura, legata al padre da un rapporto amore-odio che, come nella maggior parte delle storie, finisce con la vittoria del bene.
Giorgio Alborghetti, ispettore capo, aiutato e sostenuto dal fedele agente Tributo, allievo e grande amico di Wolf. Un sodalizio infinito. Giorgio è un uomo pratico, pronto all’azione e, ovviamente, in contrasto con il commissario capo e il suo tirapiedi messo lì per nepotismo.
Uccidi il Male non è un thriller psicologico, è una caccia ad uno psicopatico e al suo seguito, la caccia privata di Wolf. Nonostante i molti buoni spunti, la trama ci lascia però con alcuni interrogativi. Non sappiamo come il Profeta abbia reclutato i quattro, non sappiamo perché dopo undici anni non esista un indizio, abbiamo solo il volume delle prove di Alexander, nascosto nello scaffale in alto della sua libreria. Eppure, il Profeta lasciava biglietti accanto al corpo delle vittime. Non si parla molto degli omicidi passati e di come il Profeta abbia scelto le sue vittime, si parla solo del loro peccato e, tutto questo, anche in modo un po’ approssimativo. La scelta della città, Milano, appare altrettanto discutibile; non che in Italia non possano esserci serial killer, ma lo scenario non convincente pienamente.
Molte, a mio avviso, le citazioni in questo romanzo che lo rendono, per così dire, una sorta di mash up, più americano che italiano, cominciando proprio da Wolf che viene definito il “giustiziere della notte” dopo il suo arresto in quel di Brera: un richiamo a Charles Bronson e al libro di Garfield? E poi il ragazzino in piena crisi adolescenziale, coinvolto causalmente nella vicenda di Wolf, non ricorda il giovane fotografo che si lega al protagonista nel film Mr. Brooks? Oppure l’inquietante Ziggy, esperto hacker, fonte preziosa di informazioni per Wolf, non riporta alla mente, fatte le dovute distanze, la fantastica Lisbeth Salander di Larsson? Ed ancora, il modus operandi del Profeta, non rievoca nelle sue descrizioni l’ American Psycho di Ellis?
Intendiamoci, Uccidi il male è comunque un thriller che si legge volentieri, classico nel taglio e nella confezione, e di certo non deluderà gli amanti del genere. Tuttavia, in un panorama letterario così denso di proposte, è mancato forse di un po’ di coraggio, e di esperienza, per renderlo imperdibile. La narrazione è funzionale, chiara, ma a volte troppo ricca di particolari che rallentano la lettura e il ritmo dell’azione.
Questo è un difetto che affligge soprattutto la prima parte, forse per una eccessiva caratterizzazione dei personaggi che, peraltro, non ne avrebbero avuto bisogno, emergendo in autonomia nel corso della narrazione degli eventi.
Sicuramente sentiremo parlare ancora di Wolf, di Giorgio e anche di Vera e in quel caso avremo delle risposte alle domande che sorgono dalla lettura e che nel romanzo restano irrisolte. Interessante il finale, anzi, il doppio finale. Nell’insieme un libro che ben si adatta ad una resa cinematografica o televisiva, ma che avrebbe forse beneficiato di qualche taglio e che in definitiva non porta alcuna novità al genere in termini di idee o di realizzazione.
Autore
Davide Simon Mazzoli (Milano 1980) è uno scrittore, regista e produttore cinematografico italiano. Ha pubblicato diversi romanzi per le principali case editrici italiane e internazionali.
