Philippe Georget: Un ritornello non fa primavera

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La processione del Sanch, tradizionale appuntamento pluricentenario del Venerdì Santo nella Catalogna francese, viene inaspettatamente interrotta dall’omicidio di uno dei penitenti. Si tratta di Christian Aguilar, anziano maestro di pianoforte, uomo dalla vita banale e solitaria di cui si fatica a immaginare potenziali nemici. Nello stesso momento, a poca distanza dalla processione, una violenta rapina in una gioielleria di Perpignan frutta un ingente bottino di pietre preziose. Il tenente Gilles Sebag comincia presto a ipotizzare un legame tra i due eventi, man mano che diventa più chiaro che la vita e la personalità di Aguilar nascondono molto più di quanto non sembri. A quanto pare, infatti, l’anziano maestro in gioventù era stato uno dei favoriti di Charles Trenet, il “cantante folle” arrestato per omosessualità negli anni Sessanta, tanto da risiedere oggi nella casa di Perpignan un tempo proprietà dell’artista. Il tenente Sebag e i suoi colleghi cominciano così a indagare alla ricerca di un movente legato a smodata cupidigia, ricatti per ben taciuti, segreti o vendette per vecchi dissapori, sullo sfondo di una Perpignan più catalana che mai, dove il perbenismo borghese si mescola alla decadenza del quartiere gitano.

RECENSIONE

Gilles Sebag è un poliziotto stoico ma non noioso, con un tradimento alle spalle che fa di lui un uomo con sentimenti profondi, ligio nel suo lavoro, che si trova a dover indagare sull’omicidio di Christian Aguilar (maestro di pianoforte) durante il Sanch, una tradizionale e originale processione della Catalogna francese che si svolge a Perpignan. Contemporaneamente, e non troppo distante dall’accaduto, si svolge una rapina che gli agenti considerano collegata al fatto.

Viene dipinto come un agente dotato di un forte intuito, uno dei migliori, che però rifiuta di fare cariera, forse per dedicare più tempo alla famiglia. Quello che mi ha colpito di questo personaggio è quanto esso si ostini a non prendersi troppo sul serio, mentre i colleghi prendano per oro colato ogni sua supposizione. Una sottile ma buona, e originale, costruzione di un protagonista umano anche del ricordo di un dolore passato che talvolta ritorna, cito testualmente, con un gesto o una parola, uno scherzo della memoria… Come una fitta, una contrattura. Un promemoria che la felicità era un’occasione. Che era preziosa. Forte e fragile insieme. Per rimanere in tema “personaggi”, quello che ha catturato la mia attenzione, e invito chiunque intenda creare una figura caratteriale ben delineata senza descrivere gli spigoli di una comparsa a leggere questo libro, è il dottor Artès. Questo personaggio è come un dipinto a penna: i tratti sono decisi, tuttavia l’artista sfuma le sue ombre per suggerirci un’immagine e un quadro perfetti. Più tardi si fa avanti nella semi oscurità anche il senzatetto, che ha un ruolo fondamentale per Sebag; Sì, in questa storia anche i personaggi secondari hanno un ruolo che si rivelerà fondamentale.

L’autore tocca anche due temi delicati, uno lo è tutt’oggi ed è la pedofilia, l’latro lo era forse di più un tempo, neanche troppo lontano, ed è l’omosessualità. In entrambi i casi lo fa con il giusto tatto; è una cosa che apprezzo. Quest’opera palesa la sua contemporaneità in frasi come questa: “Ma è vero che si trattava di un vecchio celibe molto attaccato alla madre, dunque è lecito porsi la domanda. Fortunatamente viviamo in un’epoca in cui non ci si sente obbligati a darsi una risposta”, in riferimento all’omosessualità.

L’indagine, così come gran parte della storia, si intuisce tramite le conversazioni tra i poliziotti e gli interrogati, e i riepiloghi si fanno quando Sebag parla con i colleghi per cercare di trovare il bandolo di una matassa, o di due che sembrano essere collegate tra l’oro. Sin da subito ho avuto l’impressione che un intreccio molto ben costruito si celava sotto l’inspiegabile, e pagina dopo pagina tutto sembrava prendere forma. Anche lo scorcio sulla vita gitana in una città francese di confine con la Spagna è stato davvero interessante, come lo è il contesto in cui il fiume Tèt divida due zone ben distinte della città.

Il secondo interlocutore è beffardo. La storia dal punto di vista dell’assassino, per l’appunto, è narrata diversamente rispetto ai capitoli dedicati all’indagine; è introspettiva, pur essendo scritta in terza persona, e questo ci permettere di conoscere questo personaggio misterioso dall’interno, mentre capitolo dopo capitolo l’autore apre la nostra visuale. Questo accade in entrambe le parti: fa luce tra l’inquietudine dell’assassino, cosi come nell’intreccio della storia, sotto gli occhi del poliziotto protagonista.

Ho trovato il lessico a dir poco divino. Ricercato ma scorrevole. Di quelli che saziano lo spirito, nonostante questo lasciano scorrere l’occhio.

Nelle conversazioni il tono degli interlocutori è così ben modulato che caratterizzare il personaggio e indurre il lettore a leggere mentalmente con la cadenza del senzatetto di turno, piuttosto che del ragazzino invischiato in un giro di contrabbando di sigarette.

Traduzione: Silvia Manfredo
Editore: E/O
Pagine: 314
Anno pubblicazione: 11 Maggio 2022

AUTORE

Philippe Georget è nato a Epinay-sur-Seine nel 1963. Dopo una laurea in Storia, si è dedicato al giornalismo, prima in radio e poi in televisione per France 3. Appassionato viaggiatore, nel 2001 ha fatto il giro del Mediterraneo in camper, attraversando in dieci mesi Italia, Grecia, Libia e altri paesi. Il suo romanzo d’esordio, D’estate i gatti si annoiano (E/O 2012) è seguito da In autunno cova la vendetta e Il paradosso dell’aquilone. Nel 2017 per E/O ha scritto La stagione dei tradimenti.

Philippe Georget: Un ritornello non fa primavera
Concludendo
Un poliziesco dettagliato e con un protagonista che si discosta dai soliti segugi; in questa storia la delicatezza del tenente Sebag da un'altra dimensione a indizi e interrogatori.
Pro
I personaggi e i loro ruoli sono semplici ma calzano a pennello con la storia.
Intreccio ben ricamato.
Contro
Finale un tantino scontato
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