Paola Barbato - ThrillerLife

Paola Barbato nasce a Milano nel 1971 sotto il segno dei Gemelli.

Scrittrice, sceneggiatrice e fumettista italiana, scrive per il cinema, la Tv e il teatro.

Vive attualmente a Verona con il compagno Matteo Bussola, fumettista, scrittore e conduttore radiofonico, al suo fianco anche nella realizzazione di vari progetti, e le tre figlie.

Paola Barbato è anche Presidente dell’associazione Mauro Emolo ONLUS, che si occupa di persone affette dalla malattia neurodegenerativa  Còrea di Huntington.

La sua carriera letteraria prende forma nella redazione di Sergio Bonelli Editore, fucina dei fumetti cult italiani, dove diverrà in breve tempo sceneggiatrice principale delle storie di Dylan Dog, l’Indagatore dell’incubo più magnetico della produzione fumettistica italiana, capace di affermarsi come fumetto d’autore elogiato da critica e intellettuali.

Particolarmente prestigioso il Numero Duecento di Dylan Dog a colori, di cui Paola ha curato soggetto e testo.

La dimestichezza con le dinamiche espressive del fumetto la vede ideatrice del primo esperimento italiano di web-comic in stile shojo-manga, DAVVERO, che ottiene un notevole successo, tanto che nel 2012 esce la versione cartacea edita da Star Comics.

Paola Barbato

La forma artistica concisa e stilizzata del fumetto non riesce a spegnere il suo amore per la prosa più classica del romanzo e nel 2006 esordisce con il thriller psicologico, Bilico, seguito nel 2008 da Mani nude, vincitore del Premio Scerbanenco.

Con la Rizzoli uscirà Il filo rosso e di seguito la trilogia thriller Io so chi sei, Zoo e Vengo a prenderti edito Piemme.

L’ultimo ospite, Scripta manent, e per ultimo, La cattiva strada i suoi romanzi più recenti.

Paola Barbato è uno dei nomi più conosciuti nel panorama italiano contemporaneo, uno di quelli a cui è facile associare concetti come qualità e originalità. Andrea Martina, QUI la sua recensione di La cattiva strada.

Paola Barbato ha gentilmente accettato di rispondere alle nostre domande

  1. Nella nostra recensione abbiamo definito La Cattiva Strada un thriller “on the road”: come è nata l’ambientazione su quel preciso tratto autostradale?

Desideravo scrivere una storia che fosse contemporaneamente universale, quindi immaginabile da tutti, e specifica, quindi riconoscibile da chi si fosse trovato nei suoi luoghi.

L’autostrada è un non-luogo, chiunque ci abbia viaggiato può immaginarla, ma è anche un posto ben definito, tanto che molti lettori mi inviano le proprie foto all’ingresso dei due autogrill in cui si svolgono diverse scene.

La scelta della A1 è stata ovvia sin da subito, per me, proprio perché è una tratta molto lunga nella quale potevo individuare zone funzionali al racconto. 

  1. Durante la lettura si ha la sensazione che da un certo punto in poi Irene diventi la vera protagonista della storia, o comunque colei che sta al centro della vicenda e che va salvata ad ogni costo. Sei d’accordo? E se sì, è stata una scelta voluta?

Certamente, Irene è il perfetto controcanto di Giosciua l’ignavo, tanto lui non è in grado di prendere in mano la situazione, tanto lei non aspetta altro.

Come molti miei personaggi forti, per esempio Francesco Caparzo, entra in corsa nel romanzo a scrittura avanzata proprio perché “ingombrante”.

Ed è sempre interessante lavorare sulla dinamica di interazione tra un personaggio debole e un personaggio forte, perché non è detto che sia scontato chi dei due alla fine sarà risolutivo per la vicenda.

3. La Cattiva Strada è un thriller atipico anche perché il personaggio negativo, o il male se preferisci, resta sempre sullo sfondo, una minaccia incombente ma mai perfettamente delineata.

È stata una scelta inconsapevole o hai voluto distaccarti per una volta dal consueto cliché dell’inafferrabile assassino?

Sono un po’ refrattaria ai cliché e in questo caso non ho mai pensato che la minaccia fosse l’elemento più interessante. Si sa da subito che il “cliente” per cui lavora Giosciua sia un criminale, e proprio per questo non è importante la sua identità ma tutte le speculazioni che il protagonista (e il lettore) è portato a fare.

  1. Leggendo il romanzo si percepisce quanto tu tenga ai tuoi personaggi e quanto sia profonda la conoscenza che hai del loro vissuto. Pensi che tra l’autore e i personaggi si crei una sorta di empatia durante la scrittura?

Assolutamente, esiste un legame vero e proprio, tanto che provo per loro sentimenti reali, qualche volta non positivi, come avverrebbe con qualunque conoscenza occasionale.

So chi sono, so come lo sono diventati, so il perché, anche quando i dettagli non entrano completamente nella storia.

E’ fondamentale conoscere i propri “attori” perché sia possibile mantenere la coerenza di carattere che sta alla base della sospensione d’incredulità.

Un personaggio che cambia in favore della storia è un falso e un fallimento per l’autore. 

5. Viviamo un’epoca estremamente complessa, in cui la violenza è diventata un tema quotidiano delle cronache, eppure i thriller continuano ad essere i libri più venduti. Come te lo spieghi questo bisogno da parte del pubblico? È una forma di catarsi o di morbosa curiosità verso il lato peggiore dell’essere umano?

Da lettrice di thriller per me è conoscenza, la più grande forma di autodifesa che esista. Proprio come ci testimonia la cronaca, le trame dei libri non hanno nulla da invidiare alla realtà, entrano nel campo del possibile, se non del probabile. 

E ammettere con noi stessi che quel lato oscuro della nostra specie non solo esiste ma potrebbe riguardarci direttamente è la sola maniera che abbiamo per non farci trovare sguarniti e impreparati. 

  1. Chi ti segue sui social network sa quanto tu sia legata ai tuoi lettori, con i quali ti confronti molto spesso, dedicando tempo alle tante domande che ti vengono rivolte. È anche un modo per scovare degli spunti per i tuoi personaggi o è solo il naturale bisogno di essere tra la gente mantenendo però la giusta distanza?

Nessuna delle due cose.

Io amo il rapporto con i lettori e lo apprezzo ancor di più quando è diretto, di persona. Non essendo sempre possibile, ho tratto, maggiormente negli ultimi due anni, l’insegnamento che i social possano essere utilizzati proprio per fare da ponte con loro.

Va anche detto che la mia vita sociale è ridotta all’osso e una finestra virtuale è pur sempre un modo per prendere una boccata d’aria.

Gli spunti per i personaggi abbondano già nella vita reale, basta farsi un giretto alle poste o al supermercato per avere materiale per dieci romanzi.

7. Sei conosciuta anche come autrice di molte storie di Dylan Dog. Pensi che questo, almeno all’inizio, possa aver condizionato la tua carriera di romanziera o credi che il pubblico abbia finalmente compreso che scrivere fumetti non vuol dire fare letteratura di serie B?

No, questo preconcetto non è stato ancora superato, come non è stato superato quello che una donna non possa scrivere thriller efficaci perché di animo troppo tenero.

La situazione è gradualmente migliorata negli anni e confido che migliorerà ancora, ma il fumetto e i fumettisti non si sono ancora guadagnati il giusto rispetto che meritano.

  1. Se dovessi indicare tre parole che ti rappresentano, quali sceglieresti ?

Complicata, leale, curiosa.

  1. Se dovessi scegliere tre cose di cui non potresti mai fare a meno, ovviamente escludendo la scrittura, quali sarebbero?

Tolti famiglia e affetti, ho un bisogno spasmodico di storie, che mi vanno bene in qualunque forma (libri, fumetti, serie tv, cinema, teatro), ho altrettanto bisogno di un contatto con la natura, in ultimo ho bisogno di un rifugio, una tana, un posto in cui sentirmi al sicuro.

  1. Prima di salutarci che messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?

Che non siate sempre voi a trovare nuove storie ma che siano nuove storie a trovare voi

ThrillerLife ringrazia Paola Barbato per la disponibilità

a cura di Andrea Martina e PattyPici