Paolo Navi – l’introspezione la chiave dei suoi Thriller

Paolo Navi

Paolo Navi vive in Portogallo dove scrive e lavora.

Si è occupato di banca e finanza e, successivamente, di startup, universo creativo in cui è ancora impegnato.

Scrittore riservato, nel suo passato è stato musicista e autore di canzoni.

Nel 2019 Paolo Navi ha autopubblicato il suo primo romanzo, Il Segreto Di George, un giallo psicologico ambientato a Boston, nel mondo degli avvocati d’affari.

In modo indipendente ha pubblicato Carrozza 12 nel 2020, libro il cui canovaccio narrativo riprenderà poi per il nuovo romanzo del 2022; Cattive Compagnie, un romanzo esistenziale/criminale ambientato a Firenze e Il funerale di Orlando un bel giallo accolto con entusiasmo dai suoi ammiratori.

Grazie al passaparola un numero sempre crescente di lettori si è appassionato alle sue storie, che hanno ottenuto uno straordinario successo.

Nel Luglio 2022 la Newton Compton Editori pubblica Il mistero della carrozza N.12 , un thriller psicologico dalle profonde riflessioni esistenziali e dal finale sorprendente.

Consigliato a chi ama conoscere ed approfondire il lato psicologico dei personaggi e mettere in fila un tassello alla volta, come nei gialli d'autore

Queste le parole di Alessia ale87_book_funko che ha recensito il libro per Thriller Life QUI

Paolo Navi ha gentilmente accettato di rispondere alle nostre domande.

1. Giovanni Irani protagonista del tuo giallo dai risvolti inaspettati e dal forte sapore intimista, appare da subito uomo poco sicuro di sé, succube di una moglie prepotente e accentratrice, icona perfetta della sua infelicità. Cosa ti ha portato a scegliere un protagonista così insicuro e poco intraprendente?

Volevo rappresentare una tipologia di maschio del nostro tempo.

Un uomo apparentemente di successo, un po’ maschilista, un po’ razzista, un po’ egoista.

Fragile e impreparato rispetto all’evoluzione della donna, di cui non accetta i nuovi ruoli rispetto alla sua visione di “famiglia”. Volevo che fosse un uomo normale, un po’ debole e codardo, che trova una sorta di riscatto grazie a un evento straordinario che stravolge l’ordine preordinato delle cose e gli fa aprire gli occhi sulla sua falsa felicità.

2. Nella carrozza N.12, incontriamo altre sette personalità che seguono cliché ben collaudati e che sono perfettamente inseriti nel contesto. Questa enfatizzazione caratteriale e fisica è voluta? Da cos’è nata questa scelta?

L’idea su cui volevo poggiare il romanzo era “il pregiudizio” che ci accompagna nella nostra quotidianità.

Ovvero, l’idea pregiudizievole che ci facciamo delle altre persone quando semplicemente le osserviamo.

Succede a tutti noi, è inevitabile.

L’aspetto fisico, l’abbigliamento, il modo di parlare, di muoversi, tutto contribuisce.

Guardiamo le persone e siamo convinti di sapere che lavoro fanno, la loro estrazione sociale, le tendenze sessuali e ogni cosa.

Ci facciamo un’idea e con superficialità traiamo conclusioni e giudizi che, naturalmente, il più delle volte sono errati.

Un viaggio in treno e la vicinanza forzata di otto passeggeri rappresentava la situazione ideale per inscenare questo comportamento.

I personaggi, di conseguenza, dovevano avere una caratterizzazione che consentisse al protagonista di riconoscerli subito in maniera precisa, figurandoli e codificandoli attraverso i suoi filtri.

3. La componente esistenziale di Giovanni, molto presente nel narrato, accompagna il lettore per tutto il libro. Giovanni arricchirà spesso la storia con le sue riflessioni, il suo stato di infelicità e i pensieri rivolti ai suoi compagni di viaggio. Questo è il vero tema del racconto? Un viaggio nella propria solitudine? 

Più che un viaggio nella propria solitudine, è un viaggio nella propria insoddisfazione.

In quel malessere rinnegato dall’accettazione della vita così com’è.

Giovanni è insoddisfatto della sua vita coniugale, ma non lo sa, non lo riconosce.

Attraverso questo viaggio, attraverso i personaggi che incontra e le peripezie che attraversa tra conscio e inconscio, riesce finalmente a osservare la sua vita da un’angolazione diversa e a razionalizzare la sua inquietudine. E, con dolore, a risolverla.

4. C’è neve dappertutto. E sangue, sangue e ancora sangue.”

Una citazione dal tuo libro che mette sicuramente i brividi e che ci catapulta in un’ambientazione fredda ed isolata. Da cosa è nata questa scelta? Un viaggio in treno che hai compiuto e che ha fatto da terreno per questa storia?

È vero, c’è sempre qualcosa di vissuto nei romanzi.

In un viaggio in treno mi cadde sulla testa uno zaino pesantissimo volato giù dalla cappelliera.

Persi i sensi solo per qualche secondo, ma la sensazione di straniamento fu terribile, come il pensiero di cosa sarebbe accaduto se fossi rimasto senza conoscenza.

Ma non solo, anche il trauma post risveglio del protagonista non è inventato.

Giocando a calcio, dopo una zuccata dietro la nuca, mi risvegliai in ospedale e per oltre un’ora persi totalmente l’uso della parola, proprio come accade nel romanzo.

C’è molto da pescare nella vita vissuta.

La neve soverchiante e il sangue, invece, sono figli dell’immaginario e della inconscia paura di catastrofe imminente che ci accompagna tutti i giorni.

5. Scorrendo la tua bibliografia, si può notare come tu sia solito scandagliare il lato umano ed esistenziale del personaggio, esattamente come hai fatto per lappunto in questa occasione. C’è qualcosa che in particolare vorresti trasmettere? 

Il mio è un bisogno di indagare.

Sono attratto dalle mille sfaccettature della natura umana e dai suoi comportamenti.

Entrare nella testa dei personaggi mi fa vivere la storia assieme a loro.

Sento le loro percezioni, comprendo le reazioni, condivido i sentimenti.

Mi piace analizzare le debolezze umane, riconoscerle, giustificarle, condannarle.

È vero che nei miei romanzi c’è sempre un velo di mistero, perché questo rende la storia più intrigante, ma l’intrigo deve essere un filo che attraversa situazioni reali, con persone riconoscibili e sentimenti veri.

Il vero mistero in fondo è nella natura umana.

6. Sappiamo che ti sei occupato di finanza e start-up per molti anni, universo fatto di cifre e calcoli. Come si passa da quel mondo al fantastico universo della fantasia? Hai portato con te qualche competenza in particolare?

Da ragazzo suonavo in una band e adoravo scrivere canzoni. Non ho mai smesso.

Neanche quando la vita e l’ambizione mi hanno portato a posti di responsabilità nel mondo della finanza. Piuttosto, ho sempre cercato di applicare creatività e fantasia ai compiti manageriali, lì dove tutto era codificato.

Più che le competenze tecniche sono le esperienze, le complessità, i successi e i fallimenti che diventano patrimonio personale.

Come l’universo delle startup, di cui ancora mi occupo, che è una miniera di suggestioni.

Ragazzi armati soltanto di un’idea e del loro entusiasmo, — ognuno con la sua storia e le sue aspirazioni —, che, come capitani coraggiosi, affrontano la vita per affermare il proprio talento. Tutto, in fondo, è ispirazione. 

E alla fine, scrivere romanzi mi è venuto naturale, anche se probabilmente il passato di autore di canzoni mi ha portato a essere un po’ troppo sintetico.

Molti lettori, infatti, lamentano il fatto che i miei romanzi meriterebbero di avere molte più pagine.

7. Quando uno scrittore diventa tale ha oltremodo alle spalle un percorso come lettore ove trarre ispirazione per le sue opere. Quindi mi chiedo: il tuo viaggio qual è stato?

Mi sono nutrito a lungo di gialli e thriller, senza mai affezionarmi ad un autore in particolare.

Ho soltanto avuto un debole, in un periodo particolare, per Fred Vargas, andandomi a leggere tutti i suoi romanzi.

Ma a un certo punto ho avuto una sorta di rigetto per quel tipo di lettura. Omicidi e investigazioni non mi bastavano più.

Avevo bisogno di introspezioni e soprattutto di una scrittura più piena, più ricercata, più colta.

Sono rimasto affascinato da Dostoevskij, e poi da Celine, e poi da Irène Némirovsky, e poi da Bukowski, da John Fante, da Flaubert, da Pavese, da Wilde, da Nabokov, e così via… Un pozzo sconfinato di piacere e ispirazione.

8. Nel web, sono sincera, le informazioni sul tuo conto sono davvero poche. Vuoi raccontarti a noi con tre aggettivi che ti contraddistinguono?

Operazione complicatissima. Ci provo.

Irrequieto, perché sono sempre alla ricerca di nuovi progetti e nuove idee in cui realizzarmi.  Riservato, perché sono selettivo nelle amicizie, non amo i social e adoro stare da solo (ma credo sia un derivato della pigrizia).

Sognante, perché non costa niente e spesso i sogni si realizzano.

9. Se dovessi scegliere tre cose di cui non potresti mai fare a meno, ovviamente escludendo la scrittura, quali sarebbero?

La musica, il calcio e mia moglie. Non necessariamente in quest’ordine.

10.  Prima di salutarci quale messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?

Di ricercare, assieme alle storie o ai generi più congeniali per sé stessi, anche la qualità della scrittura.

Non necessariamente la più ricercata o la più colta, ma quella che sappia rappresentare immagini, persone e storie con profondità e pienezza e dove le espressioni e le parole assumano forme e colori inattesi.

Allora, leggere non solo ci appaga, ma ci arricchisce giorno dopo giorno. 

Thriller Life ringrazia Paolo Navi per la disponibilità

a cura di Alessia ale87_book_funko e Patty Pici