
Uccidete il camaleonte
“In greco il suo nome significa Leone di terra, noi moderni lo chiamiamo camaleonte. È un rettile, un sauro più precisamente, piuttosto lento, capace di attendere la preda in totale immobilità per delle ore. Non è un animale sociale, vive per i fatti suoi, anzi disdegna i propri simili con i quali spesso ingaggia lotte mortali. Sa mimetizzarsi, si adatta perfettamente all’ambiente; alcune tribù ritengono che porti in sé lo spirito maligno dei morti. Noi invece parliamo di un essere umano che uccide, per follia, per rabbia, per comunicare la propria malattia.”
Camaleonte è il soprannome del killer che tiene sotto scacco la città durante una torrida estate. Ama spiazzare i suoi inseguitori, li avvicina camuffato tra la folla, si prende gioco di loro, alle vittime lascia in dono un anello nuziale: perché lo fa? E come le seleziona? Celebra un rito? Un rito molto singolare in cui a ogni matrimonio segue un funerale.
Ha ucciso nove donne e non si fermerà. Il questore, detto il Doge, vuole in campo il migliore dei suoi, l’unico che ha già catturato un serial killer: Salvatore Vivacqua. Al burbero commissario non resta che scordarsi delle vacanze in Salento con l’adorata moglie Assunta, i figli e il cane Tommy, e fermarsi in città per dedicarsi alla caccia all’uomo insieme ai suoi collaboratori storici, il goffo “giraffone” Santandrea e l’atletico Migliorino.
Sulle prime le ricerche, concentrate intorno a un ambiguo salone di bellezza, arrancano. Il mostro continua a uccidere, gli investigatori non azzeccano una mossa e sfiorano l’esasperazione quando finalmente il fiuto di Vivacqua porta a un insospettabile. I giochi sembrano fatti ma… qualcosa ancora non torna. Il commissario chiede due ore. Le ultime, per dimostrare che talvolta la verità è la peggiore possibile.
RECENSIONE
Chiuse gli occhi, distese la mano e immaginò la sposa infilare l’anello. Percepi’ la sensazione del metallo che accarezzava la pelle, incespicava, saliva sull’anulare e si posizionava per restare lì: un gesto sensuale, quasi erotico.
Torino, da sempre sospesa tra bene e male, l’unica città a far parte sia del triangolo di magia bianca, sia del triangolo di magia nera.
Torino, che, secondo le leggende, sarebbe sede di un’incessante lotta tra la luce e le tenebre, e fulcro di forze del bene e del male, insinuate tra le strade, presenti nei suoi monumenti e percepibili nelle sue piazze.
È proprio a Torino, città esoterica per eccellenza, che si muove uno dei più feroci offender che abbia mai solcato il territorio nazionale. Il suo metodo di caccia è quello del Camaleonte, un killer che si mimetizza nell’ambiente.
Alle vittime lascia in dono un anello nuziale: perché lo fa? Celebra un rito? Un rito molto singolare in cui a ogni matrimonio segue un funerale. Ha ucciso nove donne e non si fermerà.
Ed è proprio nel tentativo di fermarlo, che viene chiamato ancora una volta lui, il commissario Salvatore Vivacqua, siciliano trapiantato a Torino, risoluto, energico, determinato. L’unico che un serial-killer lo ha già beccato (il Missionario), ma a caro prezzo.
Perché il primo risultato del principio di Heisenberg, Vivacqua lo paga di persona: non puoi mettere le mani su una serie di omicidi, senza sentire il sangue impregnarti i vestiti.
Se non catturi il criminale, finisci per far parte del crimine, quasi come un complice.
Vivacqua, il cacciatore nel buio: è un mito, da quelle parti.
Un curriculum eccezionale. Un brutto rapporto con tutta la macchina burocratica che sta intorno alle indagini di polizia.
Abile investigatore, ingegnoso, sagace, ma soprattutto un brav’uomo, preso d’amore per la sua famiglia, e sempre più provato nel sostenere il peso di tanta umana follia.
Poi c’è Sergio Santandrea, il suo inseparabile vice (dei “fidanzati in casa” praticamente), appassionato di psicologia e psicopatologia criminale.
E ancora tutti gli altri componenti della squadra, personaggi secondari ma ben definiti, e determinanti nelle indagini, ognuno a suo modo.
Tutti concentrati, in una Torino ferragostana e semi-deserta, impegnati a testa china nelle indagini (dove già altri hanno fallito), anche se Vivacqua lo sa che spesso si va avanti per tentativi, per mettere sotto anestesia la coscienza. E che altrettanto spesso, è proprio quando smetti di pensare che non ci riesci, che trovi la soluzione, la chiave di svolta, risolutiva per svelare il mistero.
Chissà cosa sognavano, se avrebbero voluto sposarsi, diventare modelle, o se avevano fatto una deviazione tanto larga da perdere la strada, tanto da incrociare un assassino.
Da un lato, la squadra investigativa. Dall’altro, il killer, ed il contesto in cui si muove.
Un mondo particolare, sopra le righe, fatto di lusso, stravaganze ed eccessi. Una realtà parallela, quella dell’ingegner Segur, che ruota intorno al mondo della tecnologia, dei videogiochi. Tutta apparenza ed inadeguata affettività.
Questa gabbia dorata sarà veramente la tana dell’assassino?
Oppure il lato simbolico degli omicidi deve essere esplorato con maggiore attenzione, anche dal lettore, perché la ragione degli omicidi potrebbe essere radicata altrove?
Non nell’impalpabile mondo che ruota intorno ai creatori della realtà virtuale, ma, più semplicemente, nelle radici più profonde di ognuno di noi.
Perché, alla fine, al momento della resa dei conti, c’entra sempre la famiglia. Quella famiglia che spesso ci illumina di un amore incondizionato, potente, salvifico. Che a volte, però, è come un pozzo buio, scivoloso, orribile, che inevitabilmente ti fagocita e da cui è impossibile uscire …
Non è affatto semplice costruire un romanzo incentrato sulla caccia ad un serial-killer, senza incappare nel rischio di essere banali, di mettere insieme (e spesso a casaccio) tutti i cliché della vasta narrativa di genere noir-psico-thriller.
Specie nel giallo italiano, dove frequentemente si usa la storia criminale come scusa per raccontare la società, dove la narrativa ha quasi un ruolo suppletivo della cronaca giornalistica.
Insomma, le storie stile “Criminal Minds” o “CSI”, per intenderci, se calate nella realtà delle nostre città, mi sono sempre sembrate poco credibili, forzate, finte.
Invece, De Filippis è riuscito perfettamente nel suo intento.
Una storia credibile, che ti cattura, dall’inizio alla fine. Che ti inchioda alle pagine, con la voglia, che diventa, nel proseguo spedito della lettura, necessità urgente di capire, non tanto il perché (l’autore è bravo a spargere indizi qua e là, sul significato simbolico che sta dietro agli omicidi delle ragazze, con relativa messa in scena dello “sposalizio”, senza far venir meno la “suspence”) quanto il chi.
Chi è il Camaleonte?
Questa è la domanda che mi sono posta subito, come lettrice appassionata di gialli (ed affetta da inguaribile fascinazione del male).
Domanda a cui ho trovato risposta solo alla fine, con un “colpo di teatro”, come nella miglior tradizione thriller.
Colpo di scena, però, che alla luce delle spiegazioni date sul finale, diventa credibile, coerente, aderente alla trama, in tutto e per tutto.
Personaggi tratteggiati con dovizia, anche in proporzione al ruolo rivestito nella storia. Trama sempre intrigante, ben articolata, tra flash-back e frequenti cambi di prospettiva, che non disturbano, anzi, rendono il ritmo narrativo ancora più serrato.
Editore: Mondadori.
Pagine: 360.
Anno di pubblicazione: 2018
AUTORE
Carlo F. De Filippis vive e lavora a Chieri, sulle colline torinesi. Le molliche del commissario (Giunti 2015) è il suo romanzo d’esordio, primo volume di una serie che ha come protagonista Salvatore Vivacqua, seguito da Il paradosso di Napoleone, Un’indagine del commissario Vivacqua (Mondadori 2017), Uccidete il Camaleonte, Una nuova indagine del commissario Vivacqua (Mondadori 2018) e Il dono (Dea Planeta 2019).
