Roberto Cimpanelli: una vita cercando di attingere alla Bellezza

Roberto Cimpanelli

Roberto Cimpanelli

Regista, produttore e distributore cinematografico, fotografo e scrittore italiano.

Debutta alla regia nel 1996 con il film Un inverno freddo freddo interpretato da Cecilia Dazzi e Valerio Mastandrea, con cui ottiene il Nastro d’argento come miglior regista italiano esordiente.

La seconda pellicola lo vede alla regia di Baciami piccina con Neri Marcorè, Vincenzo Salemme ed Elena Russo.

Roberto Cimpanelli porterà in Italia  con la sua casa di distribuzione Life International, grandi film come Sesso, bugie e videotape, A spasso con DaisyDirty dancing e Pomodori verdi fritti, coprodotto e distribuito il film Balla coi lupi .

Nel 2022 ha partecipato alla sceneggiatura e alla produzione di La Svolta, un thriller drammatico uscito su Netflix in 180 paesi.

Roberto Cimpanelli - Come uccidere una coccinella

Da sempre amante di gialli e Thriller, Roberto Cimpanelli esordisce nel mondo della narrativa nel 2021 con La pazienza del diavolo, primo volume di quella che sarà la Trilogia del Grande Buio, pubblicata da Marsilio.

Come si uccide una coccinella un libro raffinato, che va gustato con lentezza, un noir quasi horror, di buona qualità – è il secondo romanzo dedicato a Ermanno d’Amore, ex poliziotto con la passione per la letteratura e un’inquietante doppia vita.

Ebbene sì, il nostro Ermanno ha una doppia vita, di giorno libraio, di notte crudele assassino, segreto che ben conosce l’amico criminologo e psichiatra, Bruno Fracassi.Monica Truccolo racconta la sua esperienza di lettura QUI.

Cimpanelli firma un’opera narrativa che ha tutti i colori delle sue passioni, regalando ai lettori momenti di piacevolissimo intrattenimento.

Roberto Cimpanelli ha gentilmente risposto alle domande di Thriller Life

1. È appena uscito il secondo capitolo di quella che sarà la Trilogia del Grande Buio,  Come si uccide una coccinella, e ritorna un protagonista che si è ritagliato uno spazio tutto suo nell’Olimpo dei personaggi del Crime. Herman/Ermanno ex poliziotto con la passione per la letteratura. Da dove nasce l’idea di affidare a Lui il ruolo principale dei tuoi romanzi? Incarna una sorta di dualità che ti appartiene?

Cara THRILLER LIFE,

fatti i dovuti complimenti per il bel logo grafico – tra l’altro la mia società di produzione si chiama per l’appunto LIFE (CINEMA) – provo a rispondere alle diverse interessanti domande che seguono. Cominciamo dalla prima.

Fin dal nome proprio, Herman rimanda all’universo Melville, l’autore che insieme a Dostoevskij e Shakespeare amo di più: direi anzi che per lui e per il suo Moby Dick nutro una passionaccia adolescenziale al limite del ridicolo, al punto da rileggermi l’epica tragica di Achab ogni tre, quattro anni.

Del resto credo che certi libri letti a sedici anni ti segnino in maniera così profonda da diventare tuoi compagni di viaggio per tutta la vita. E come tutti i capolavori, svelano tesori nascosti che scopri man mano che vai avanti nell’età, perché prima non te ne sei accorto, non eri pronto.

Faccio l’esempio del marinaio Bulkington, cui Melville dedica una ventina di righe, ma che mi appare un personaggio gigantesco, e credo sia l’autoritratto indimenticabile dell’autore stesso. Quindi, per rispondere alla domanda sulla dualità, sì, con Herman torniamo al dilemma che mi affascina e perseguita da sempre, il Bene e il Male: dilemma vecchio come il mondo, sul quale mi sembra sempre più inutile ragionare, e che probabilmente non è alla mia portata, visto che da secoli ci perdono la testa giganti del pensiero filosofico.

2. Il libro a tratti è veramente crudo: uno dei personaggi si diverte a fare a pezzi i bambini e nemmeno il Fiocina lascia ben poco all’immaginazione nella descrizione delle sue vendette, tremendamente macabre. Cosa hai provato nel descrivere queste azioni così crudeli, c’è una sorta di effetto barriera che si crea tra la pagina e la penna?

E’ chiaro che venendo dal cinema – ed essendo io stesso appassionato di horror – mi torna naturale indulgere nello splatter, e non provo alcuna difficoltà a farlo.

Il problema (morale, direi) è se e quando fermarsi, e quanto rischio ti vuoi prendere con il lettore, se te la senti di diventare sgradevole: ma io non amo gli autori concilianti, quelli da fiction televisive. 

Perché mentre noi scriviamo (giochiamo), la realtà quotidiana ci mette davanti agli occhi delitti di un’efferatezza tale da far impallidire anche il buon Seymour Cassidy.

La cronaca ci parla di ragazze massacrate e sepolte ancora vive, di fidanzate chiuse in macchina e fatte morire tra le fiamme, di acido gettato in faccia, negli occhi di donne che dicono no, o che si vogliono allontanare dal loro aguzzino.

Viviamo nell’orrore, è bene saperlo, e girare la testa dall’altra parte non lo cancella.

3. La brama di potere invade ogni lettera, ogni interstizio di questo romanzo, diventando a tratti horror, tanto che si svincola dai classici canoni del genere thriller per espandersi in profondità e significato. Hai cercato di rappresentare ciò che pensi sia il Male oppure il Grande Buio è la summa dei racconti vissuti, letti, visti nella tua esistenza?

Il Potere assoluto – come ci hanno detto con i loro film Visconti (La caduta degli Dei), Pasolini (Salò) e Bertolucci (Novecento) – comporta anche il dominio sul corpo degli altri, euno dei significati del termine Il Grande Buio è anche questo: la tenebra della Ragione, della Pietà, dell’Umano.

E la libertà senza freni, il piacere – erotico, forse – di infliggere dolore senza motivo, senza giustificazione che non sia la folle, feroce affermazione di sè stessi.

Scavare in questo abisso significa – è vero – provare a svincolarsi dai canoni del thriller, ma la sfida (ambiziosa e rischiosa, certo) è proprio quella di forzare il genere, di uscire e rientrare nel meccanismo comodo del thriller, abbandonare ogni tanto la comfort zone del giallista, di dare fiducia al lettore, alla sua possibile/auspicabile voglia di altro: non è una novità, i maestri – Chandler, Simenon, Ellroy, Winslow, Landsdale – lo fanno da sempre. 

4. Il libro è ambientato a Roma, in una città che si sta preparando al Natale, una città festosa e luminosa, quindi un contesto completamente in contrasto con i fatti che poi verranno narrati nel libro. Il nostro protagonista, Herman/Ermanno gestisce la libreria “Melville & Co.” dove si stanno preparando le vetrine per renderle festose con luci e lucette e dove vengono proposti i classici per antonomasia, uno su tutti Moby Dick la balena bianca, il libro preferito di Herman. In tutto questo hai voluto rappresentare la normalità quotidiana in opposizione alla crudeltà umana che spesso si nasconde ma esiste? Un monito a non dimenticarci che il male esiste?

Vale qui la risposta data al punto 2. La cornice festosa e posticcia del Natale com’è oggi, e già da diversi decenni, la mancanza ormai di sacralità – perlomeno per chi è cattolico – dovrebbe rendere il senso angoscioso e straniante dell’indifferenza totale nella quale viviamo, di quanto noi stessi siamo indifferenti: in ogni telegiornale la conduttrice, o il conduttore, descrive con la faccia compunta l’ennesima strage del mare con bambini annegati, per passare dopo un nanosecondo a fornirci indiscrezioni sui prossimi ospiti segreti del festival di Sanremo, con un sorriso radioso e complice.

Ci abbiamo fatto l’abitudine, non ci chiediamo più niente.

Non è orrore anche questo?

5. L’architettura narrativa di questo secondo libro è particolarmente complessa, con numerosi flashback e una matassa di complicati fili logici da far intrecciare. Come hai costruito questa storia? Prediligi la scrittura di getto o una scaletta ben organizzata?

Trattandosi di una trilogia, ho dovuto tener conto dei meccanismi, dei fili logici, delle azioni e dei movimenti psicologici contenuti nel primo libro, costruendo nel contempo le cellule del racconto, dei meccanismi, eccetera, che troveranno espressione nel terzo e conclusivo capitolo de Il Grande Buio.

E non è stata una passeggiata di salute, è stato un lavoro di montaggio, smontaggio e rimontaggio, tra personaggi che lasciano la storia e altri nuovi che vengono a visitarla: pensieri, caratteri, azioni e fini nascosti, storie e vite da raccontare o tratteggiare, sperando che alla fine del romanzo il lettore si senta ripagato dalla possibile fatica sostenuta nel seguire l’intreccio di tutte queste cose.

So bene che La Pazienza del Diavolo era di più scorrevole lettura, ma voglio credere/sperare che con la Coccinella si sia alzato il tiro.

Dovranno giudicarlo naturalmente i lettori e i critici. 

6. La tua forma mentis è stata plasmata nel mondo delle immagini e delle logiche commerciali. Creare per un pubblico di spettatori è molto differente che creare per un pubblico di lettori. Quali dinamiche cambiano e quali peculiarità tendi a far prevalere nella tua scrittura

Non credo che il pubblico dei lettori sia molto diverso da quello degli spettatori, stiamo sempre vendendo entertainment a persone che pagano per accedere a qualcosa che soddisfi il proprio immaginario e un legittimo desiderio di evasione, se non anche di cultura.

Cambia il linguaggio, ovviamente, e per quello che riguarda il mio tipo di scrittura (non mi azzardo a definirlo stile) mi accorgo di indulgere nelle descrizioni di luoghi, persone e cose, inconsciamente indotto a ciò dal desiderio/necessità di aiutare chi legge a vedere, a guardare nel modo in cui voglio che veda, che guardi.

Sì, siamo dalle parti del cinema.

7. “[…] la predilezione per il genere thriller la spinge in quella direzione e le fornisce un alibi nello stesso tempo, non ha la presunzione di misurarsi con la letteratura “alta”. Ma cosa vuol dire, poi, letteratura alta?” Ottima domanda! Qual è la tua risposta?

Avercela, la risposta!

Per me letteratura alta sono quasi esclusivamente i grandi, inarrivabili classici che tutti conosciamo, appartengono a un’altra epoca, a un altro mondo: la loro altezza e la loro grandezza proietta un’ombra talmente lunga e vasta da continuare a oscurare tutti quelli venuti dopo.

L’arte contemporanea, non solo la letteratura, mi sembra un rimasticamento del già visto, udito e letto.

Mi capita di leggere libri belli e libri meno belli: considerazione semplicistica e sempliciotta, forse, ma – rigirando la domanda – esiste per voi oggi qualche nome di cui si parlerà tra sei, sette secoli?

Ho iniziato a fare cinema come capo ufficio stampa e pubblicità di un’importante distribuzione cinematografica, e ho visto come – avvalendosi di una critica embedded – si possano costruire a tavolino carriere totalmente immeritate, a scapito di altre meritevoli e promettenti; posso ritenere che certi meccanismi si ripropongano anche nel settore dell’editoria: la pubblicità e il marketing fanno uso di mezzi a volte popolarissimi, a volte sofisticati e subdoli per vendere al pubblico autori – chiedo scusa per la brutalità – come fossero detersivi o telefonini.

Stesse strategie di mercato, funziona così.

Per cui, tornando alla domanda, e rimanendo al presente, io ho trovato bellissime pagine in libri che non me lo facevano supporre, e sono stato spesso deluso dall’opera del grosso, strombazzato nome.

Fondamentale per me è il punto di vista dello scrittore, non importa quanto condivisibile: ci deve essere, forte e chiaro.

C’è poi la Bellezza, la cui perdita credo sia il vero tema delle cose che scrivo, una specie di basso continuo, ma sarebbe un discorso troppo lungo, forse noioso per molti.

8. Hai portato in Italia film famosi, come Sesso, bugie e videotape, A spasso con Daisy, Dirty dancing e Pomodori verdi fritti, coprodotto e distribuito il film Balla coi lupi e molto altro ancora, hai lavorato insieme a tuo figlio per Netflix dove hai coprodotto e cosceneggiato la serie “la Svolta”. Ora sei al tuo secondo libro; spaziare in ambiti così diversi e farlo bene tra l’altro, presuppone la voglia di comunicare, di condividere, oppure è semplicemente un lavoro che ti riesce particolarmente facile?

Boh, è passatempo, è lavoro, è vanità, a volte è piacere, fatica tanta: e poi espediente per sopravvivere alle brutture, per cercare di attingere alla Bellezza.

Sapendo benissimo che probabilmente non ci riuscirai.

9. Cosa ci sarà dopo la Trilogia del Grande Buio? Metterai in un cassetto i personaggi e passerai ad altro? Hai qualche progetto a cui stai lavorando che puoi condividere con noi?

Naturalmente dovrò preparami bene per affrontare la scalata della montagna più ardua, il terzo libro, quello finale.

Un’impresa che non sarò in grado d’intraprendere prima di un anno, un anno e mezzo.

Nel frattempo, ho iniziato a imbastire un racconto, sempre a tinte gialle, che dovrei terminare entro l’anno e che con ogni probabilità avrà una vita anche sullo schermo: una storia d’amore in un contesto criminale.

Vediamo come evolve.

10. Passando alle domande più leggere, vuoi raccontarti a noi con tre aggettivi che ti contraddistinguono?

No, non mi conosco abbastanza.  

11. Se dovessi scegliere tre cose di cui non potresti mai fare a meno, ovviamente escludendo la scrittura, quali sarebbero?

Sono troppe le cose di cui non potrei fare a meno, ma due importanti sono sicuramente la musica e il cinema. 

12. Prima di salutarci quale messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?

L’augurio di essere sempre più numerosi, di leggere sempre più gialli/thriller e libri in generale, di andare a vedere bei film, di ascoltare buona musica, di mangiare e bere bene, di andare a ballare, e di sforzarsi di amare il prossimo (vasto programma, direbbe quello col nasone).

Thriller Life ringrazia Roberto Cimpanelli per la disponibilità.

a cura di Monica Truccolo e Patty Pici