Gianmarco Perale e il potere distruttivo della scrittura

Gianmarco Perle

Gianmarco Perale

Classe 1988, vive fra Milano e Venezia, scrive e legge di giorno e lavora nella ristorazione di sera.

Allievo di Walter Siti nella scuola di scrittura Belleville di Milano e collaboratore del Podcast Perché Pasolini?

Nel 2021 pubblica con Rizzoli Le cose di Benni  finalista al Premio POP, al Premio Severino Cesari e nella cinquina finale del Premio Flaiano under 35.

Dopo la pubblicazione di vari racconti su riviste letterarie, Gianmarco Perale torna in libreria con Amico mio edito NNeditore ed è subito un tam tam tra le file dei lettori più esperti ed esigenti, sorpresi da questa voce unica e riconoscibile.

Funambolo tra silenzi e monosillabi, Perale traccia una linea narrativa in perfetto equilibrio, nei territori oscuri di un mondo emotivo completamente disallineato.

Centro nevralgico del suo narrare sono le relazioni ossessive, le distorsioni sentimentali che spingono i limiti oltre l’accettabile, al di là del consentito.

Gianmarco Perale - Amico mio -

Amico mio è un romanzo nero, nerissimo, di formazione , no, meglio, di deformazione. Una storia che ci spinge a sedere accanto al profondo disagio psicologico di un ragazzino che s’aggrappa all’Amico per non perdere la bussola della sua vita interiore.

Il lavoro di sottrazione che Perale opera sulla prosa è corrosivo, mirato ad amplificare l’eco di quegli spazi bianchi, disturbanti più che mai.

Una voce nuova quella di Gianmarco Perale, limpida, anzi fluorescente; sia nello stile che nella visione.

Un modo completamente nuovo di far scivolare le parole sulla carta, uno sguardo che riserva sorprese.

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Thriller Life ha incontrato Gianmarco Perale al Salone del libro di Torino.

Sguardo attento e modi gentili, Gianmarco sta firmando le copie del suo libro alla fila di lettori e lettrici che accalcano lo stand della NN Editore; non ama farsi fotografare, ma abbraccia tutti in modo sincero e cerca il confronto con chi è venuto sfidando pioggia e code chilometriche per incontrarlo.

Thriller Life: Amico mio è uno splendido esempio di narrativa contemporanea. Nello stile, nello sguardo, tutto ci porta ai grandi maestri che oggi fanno parte dei nuovi classici. Da McCarthy a Paul Auster, da Roth a Murakami. Quali tracce hanno solcato la tua scrittura?

Gianmarco Perale: Sicuramente Roth ha influito sulla mia scrittura.

In Lamento di Portnoy c’è l’ossessione, la mania del controllo, il senso d’inferiorità. Anche in Pastorale americana, dove la figlia dello svedese ha delle fissazioni. In tutti i libri di Roth, anche ne Lo scrittore fantasma, c’è l’ossessione verso se stesso, verso la scrittura, verso le donne , verso l’ebraismo.

Essendo io una persona estremamente ossessionata mi rivedo completamente nelle sue cose. Penso che lui sia stato un punto fermissimo per me, ha tracciato il solco.

Mi ha dato il coraggio di muovermi, di tastare quelle cose più scomode che riguardano il tuo subconscio, che sono appunto le ossessioni e i tormenti.

T.L: Ci vuole coraggio. Andare a esibire le proprie debolezze ci vuole coraggio.

Sì, Roth esibendo le sue ossessioni e le sue paure andava ad esorcizzarle. Da autore ad autore ho empatizzato con lui. Ho letto Pastorale americana a vent’anni circa e poi l’ho riletto e ho capito ancora di più. Quando incontri autori che a ogni rilettura ti restituiscono sempre qualcosa e ti inducono a scavare in sottostrati di oscurità, allora si parla di grandi classici.

T.L: L’impianto dialogico di Amico mio ha l’impatto di un giro all’inferno. Caustico, claustrofobico e in pochissime parole tratteggia un mondo inquietante. È la cartina tornasole di un nuovo modo di percepire le parole. Non più frasi lussureggianti e lirismi barocchi, ma laconici Sì e No. Stiamo imparando a maneggiare le lettere in modo più efficace.

Gianmarco Perale - Amico Mio -

G.P: Siamo arrivati ad un punto in cui l’immediatezza è fondamentale. Avendo così tante cose ormai di cui possiamo fruire, anche tramite i social, che appena il nostro cervello percepisce un minimo segnale di noia o d’indifferenza, passiamo subito oltre. Mentre sto scrivendo vedo veramente i personaggi e non mi annoio mai, perché sono lì veramente e il dialogo mi restituisce un’immediatezza e una visuale di ciò che sta succedendo da cui io non riesco a staccarmi.

Se tu hai quell’onestà di cui parlava Hemingway di vedere e credere ai personaggi, il lettore lo percepisce. Comprende questa tua onestà di voler raccontare semplicemente la storia senza fronzoli , senza voler perseguire a tutti costi una certa letterarietà.

Scrivendo io mi pongo sempre la domanda di cosa sia la letterarità. Se una storia è scritta alla Walter Siti è letteraria e se è scritta da Fenoglio no? semplicemente perché è più sporca… bisognerebbe riformulare il concetto di letterarietà.

Io punto alla verticalità, quella di Grotowski [ una delle figure di spicco dell’avanguardia teatrale del  Novecento ], però devo andare a mio modo, nel mio modo di vedere la letteratura. L’importante è che io sia onesto, perché di riflesso lo sono con chi mi legge.

T.L: Il rapporto tossico tra due persone è sicuramente il tema che più ti affascina. Dopo Le cose di Benni ( edito Rizzoli 2021 ), anche Amico mio narra questa deformazione dei sentimenti. Perché ti attrae così tanto questa tematica?

G.P: Sono cresciuto ossessionato.

Ho sempre vissuto la mia vita a cento all’ora.

Sono cresciuto circondato dalle mie ossessioni: senza un padre, perché era finito in galera quando io avevo 0 anni e con mia madre che ha avuto un crollo psicologico devastante.

Gianmarco Perale

Per esempio mi ossessionavo alla carta Pokemon perché era l’unica cosa che avevo e quindi dovevo farne per forza tesoro.

Mia madre, come le amicizie erano preziosissime, perché sono sempre stato da solo.

In realtà questa ossessione verso l’amicizia non la rende una cosa naturale, ma tossica. Le persone a cui mi sono legato diventavano quasi un mio feticcio, dovuto al mio senso di responsabilità verso gli altri. Sono cresciuto con la responsabilità nei confronti di mia madre e verso la figura assente di mio padre, perciò tutto quello che riguarda la mia vita è ossessione.

Mi è sempre mancato purtroppo il metro e la bilancia per misurare i rapporti con le persone.

Tutte le ragazze di cui sono stato innamorato in realtà erano la mia ossessione. Walter Siti una volta mi ha detto, a proposito di Le cose di Benni, che avevo scritto una storia di ossessione e io gli ho detto che pensavo fosse una storia d’amore. Mi ha fatto notare che non sono la stessa cosa.

Io ho sempre vissuto l’amore come ossessione e l’ossessione come amore.

Non ho mai capito il limite imposto da un modello familiare stabile e quindi andavo al di qua e al di la di questa staccionata che divideva le cose sane da quelle non sane. Nel momento in cui tutti si fermavano a questa staccionata ed io andavo avanti percepivo uno scompenso. Andando in terapia ho cercato di aggiustare questo limite, ma io sono sempre stato quello.

T.L: Scrivere diventa terapeutico quindi?

Sì è terapeutico, ma penso che prima o poi la scrittura mi distruggerà.

Perché mi rendo conto che andando sempre più in profondità si risollevano cose che sapevo, ma non sapevo di sapere.

È un gioco pericoloso, ma non riesco proprio a fermarmi.

Io la mattina scrivo, il pomeriggio leggo e la sera vado al lavoro, 365 giorni all’anno, che sia Natale o meno.

Se una storia entra in risonanza con me comincio a pensarci sempre, mentre sto lavorando e diventa un’ossessione.

Per esempio Tom è la personificazione di quelle infinite possibilità che non sono stato io, ma che sarei potuto essere. Io sono arrivato fino a qui e Tom ha fatto quel passo in più.

In un Multiverso quel passo lo avrei potuto fare anch’io e questa è una cosa che mi spaventa tantissimo, ma al contempo mi attira come una calamita.

Quello che spaventa me è continuare a pensare e a portarmi dietro quelle possibilità che non si sono realizzate, interrogarmi costantemente ogni giorno sulle cose cattive che avrei potuto fare o sulle cose stupende che non ho fatto.

Questo mi consente di entrare in completa sintonia con il personaggio e nel momento in cui sono lui lotto con tutte le mie forze per fare in modo che raggiunga il suo obiettivo, stessa cosa faccio con la madre. E quando sono concentrato in questa alternanza di voci e ruoli il tempo passa velocissimo.

T.L: Il minimalismo ermetico è sicuramente la tua cifra stilistica. Hai sul comodino autori che seguono questo stile?

Raymond Carver

G.Perale: Carver è stato un autore che mi ha illuminato, letto anche questo intorno ai vent’anni. Carver è stato una mia ossessione e ho recuperato Di cosa parliamo quando parliamo d’amore nella doppia versione, quella editata dal suo editor e quella non editata [ l’editore Gordon Lish aveva operato sui racconti di Carver un pesantissimo taglio e solo grazie a Tess Gallagher, fidanzata di Carver, possiamo leggere oggi i racconti nella loro interezza] . Se con Roth entravo in risonanza a livello di contenuti, con Carver succedeva la stessa cosa a livello stilistico.

T.L: Sei al tuo secondo romanzo e le aspettative cominciano a crescere… progetti per il futuro?

Gianmarco Perale: Sto lavorando ad un progetto importante: un libro in cui non ci sarà neanche un dialogo. Vorrei raccontare la mia storia da quando mi sono ossessionato alla scrittura e alla lettura, soprattutto da quando ho legato la scrittura al lavoro.

Mi sono buttato nella ristorazione perché mi dava modo di poter passare tutta la giornata a leggere e scrivere. Dopo aver scritto magari una frase che reputo una buona prova letteraria, quando vado a servire una pizza mi rendo conto che sono solo un essere umano, che sta fallendo come tutti.

Quindi mi dà l’equilibrio e mi leva dal cliché dell’autore, che fa una vita d’artista.

Io sono un autore, ma sono anche un cameriere. Non voglio denigrare quella parte di me perché non è nobile.

Affronto tutto ciò nel libro che sto scrivendo e anche il mio senso d’inferiorità rispetto al mondo, con l’abbandono di mio padre e i tormenti di mia madre, i farmaci, ecc… e come sono cresciuto da bambino, in una piccola cittadina borghese, dove non venivo invitato ai compleanni, evitato dalla gente perché mio padre era in galera.

Walter dice sempre « si scrive per tutta la vita lo stesso romanzo»

All’interno di questo nuovo testo voglio inserire un racconto sui Millenials, di dialoghi, editato da Walter Siti e parlerò anche di Walter. Persona fondamentale per me, per l’approccio alla scrittura e alla vita in generale.

Ringrazio di cuore Gianmarco Perale per l’intensa chiacchierata e per la volontà di raccontarsi con onestà e profondità.

a cura di Patty Pici