
Paola Barbato
Scrittrice, sceneggiatrice e fumettista italiana, scrive per il cinema, la Tv e il teatro.
Artista poliedrica e dal grande carisma letterario.
Sceneggiatrice principale delle storie di Dylan Dog, l’Indagatore dell’incubo più magnetico della produzione fumettistica italiana, capace di affermarsi come fumetto d’autore elogiato da critica e intellettuali.
La sua verve narrativa regala al pubblico di thrilleristi più esigenti, storie d’incredibile spessore ansiogeno, incastonando il regno della letteratura crime di titoli preziosi.
Nel 2006 esordisce con il thriller psicologico, Bilico, seguito nel 2008 da Mani nude, vincitore del Premio Scerbanenco.
Con la Rizzoli uscirà Il filo rosso e di seguito la trilogia thriller Io so chi sei, Zoo e Vengo a prenderti edito Piemme.
L’ultimo ospite, Scripta manent, e per ultimo, La cattiva strada ( recensito da Andrea Martina QUI ) i suoi romanzi più recenti.

Paola Barbato è uno dei nomi più conosciuti nel panorama italiano contemporaneo, uno di quelli a cui è facile associare concetti come qualità e originalità. Andrea Martina.
Il dono è il suo nuovo thriller ad alta tensione, edito Piemme, non è solo il titolo del romanzo e il fil rouge della storia narrata, ma è anche il dono che ha fatto Paola Barbato ai lettori con questo thriller
Intricato e intrigante, originale, mai scontato, decisamente spiazzante, “il perfetto connubio tra medicina e investigazione”.
Claudia Pieri ha letto e recensito Il dono per Thriller Life QUI
Thriller Life ha avuto il piacere di intervistare Paola Barbato
1. Il focus di tutta la storia de Il dono è questa strana connessione che si crea tra materia e spirito. Qual è la tua posizione in merito? L’organo umano è solo un mero agglomerato di carne oppure racchiude particelle di spirito?
Scrivendo Dylan Dog ho citato spesso la psicometria, secondo la quale gli oggetti si “caricano” della nostre vibrazioni, assorbendo anche parte di emozioni e ricordi.
Di fatto, entrando in luoghi dove sono avvenute cose terribili, molti provano sensazioni di disagio, quindi perché dovrebbe essere diverso quando si tratta di un organo?
Il corpo umano non è fatto solo di carne, l’intelligenza delle cellule, la suddivisione dei compiti, addirittura l’incomprensione tra le une e le altre che porta alle malattie autoimmuni, tutto ci racconta che non si tratta solo di un meccanismo.
Quindi sì, credo che qualcosa di noi risieda anche in diverse parti del nostro corpo.
Del resto i trapiantati stessi testimoniano spesso di aver acquisito sensazioni precedentemente estranee dopo aver ricevuto un organo.
2. Per l’ambientazione della vicenda hai scelto Roma, c’è un motivo in particolare, oltre al fatto che è la città dell’ispettrice Mariani ? E qual è il valore aggiunto che Roma offre alla storia? C’è un legame personale che fa muovere così bene i personaggi in questo contesto?
Flavia Mariani ed io avevamo un trascorso, era un personaggio di seconda fascia in “Non ti faccio niente”, da cui sappiamo che nel 2017 chiedeva disperatamente di essere trasferita di nuovo a Roma dall’odiata Torino.
Nel momento in cui ho capito che ne “Il dono” avrei avuto bisogno di una figura che indagasse, ho valutato tutti i miei precedenti ispettori e ho scelto lei.
Ma poi mi sono detta: possibile che in sei anni, avendo anche risolto il caso di quel libro, non lo abbia ottenuto, questo benedetto trasferimento?
E così con Flavia ho ereditato Roma, città difficilissima, quasi impossibile da raccontare per i romani, figuriamoci per una bresciana. Per fortuna ho tanti amici originari della città eterna che mi hanno aiutata, perché Roma non è una, ma cento città insieme (basti il fatto che le poche frasi in romanesco, tradotte da tre romani doc, hanno portato a tre versioni diverse solo perché vivono in zone diverse).
3. Flavia Mariani ( ispettrice protagonista assoluta ) viene descritta come una donna intransigente, rigorosa, dura e finanche gretta, tutte caratteristiche che non ne fanno un personaggio simpatico. Come mai riusciamo ad empatizzare con personaggi così spigolosi? Abbiamo cambiato prospettive emotive: dall’eroe, all’anti eroe.
Abbandonare il mito dell’eroe ci fa solo bene, perché gli eroi non esistono, le persone solo bianche, solo buone, solo giuste.
Gli esseri umani sono imperfetti, come Flavia, che è integerrima, onesta, stakanovista, ma poi fa victim blaming, è brusca, superficiale nei giudizi.
Ed è una donna che soffre e si tormenta, ma poi non tiene conto dei sentimenti degli altri, contraddittoria, come tutti noi.
Ci si riconosce in ciò che è plausibile, se non possibile.
E gli eroi sono impossibili.
4. Inevitabile la domanda: quale organo hai preferito descrivere? Quale personaggio ti ha dato più soddisfazione? E quale hai sopportato tuo malgrado
Ho adorato il Pancreas, la piccola, feroce Pancreas concentrata solo su se stessa e spietata come solo gli adolescenti sanno essere.
Mentre invece per una volta non ho avuto personaggi spiacevoli, ho voluto bene a tutti, anche al Fegato, che si ispira a un detestabile tizio che mi tocca incrociare spesso al supermercato.
Per una volta son proprio tutti figli alla pari.
5. Flavia ricopre un ruolo che, per tradizione, è prettamente maschile. La sua durezza, la sua intransigenza, il rigore che mostra in particolare nei confronti degli altri componenti della squadra ritieni che siano indispensabili affinché una donna sia ritenuta più credibile e rispettata quando si trova a svolgere un lavoro maschile?
Assolutamente NO!
Ma è proprio questo il metodo applicato da tantissime donne quando assumono posizioni di potere in ambiti prettamente maschili.
E ogni volta mi arrabbio perché siamo le peggiori nemiche di noi stesse.
Non solo non dobbiamo dimostrare il nostro valore trasformandoci in uomini, ma non dobbiamo dimostrarlo e basta, non sulla base di un confronto o di un riscatto.
Abbiamo un valore? Facciamo, il valore si mostrerà da solo.
6. Il finale ad effetto ci porta a pensare di poter ritrovare Flavia Mariani e la sua squadra alle prese con altri casi …
Hanno già iniziato a chiedermelo, ma sono molto refrattaria ai seguiti (e alla serialità).
Per ora non ne ho l’intenzione, ma mai dire mai.
7. “Valerio Felici era la dimostrazione della teoria secondo la quale esiste il male innato”: Quindi il Male lo crea la società oppure non ha nessuna attinenza con la nostra esperienza umana e invece nasce con noi?
Credo che nasca prevalentemente da noi.
L’induzione non funziona in maniera matematica.
Persone che vivono la stessa esperienza traumatica non reagiscono allo stesso modo, una mala educacion non porta a crescere solo criminali, abbiamo avuto esempi plurimi di specchiati membri della società che diventano mostri, anche se cresciuti in ambienti sanissimi e sotto le migliori influenze.
Sono personalmente convinta che la predisposizione a fare del male sia innata e che possa essere o non essere sollecitata, resterà comunque lì, in nuce.
8. Thriller, Noir e Gialli si trovano anno dopo anno sempre in vetta alle classifiche dei libri più venduti. Perché ci piace così tanto leggere storie che declinano il Male in tutte le sue varie sfumature?
Perché sono specchi in cui possiamo guardarci, quadri di Dorian Gray che abbruttiscono al posto nostro, momenti in cui possiamo sperimentare il male senza che questo intacchi la nostra vita.
Il thriller è liberatorio, ci porta a riflettere su aspetti che altrimenti terremmo lontani per paura che possano lambirci, e così facendo in realtà disinneschiamo tanti piccoli meccanismi che ci impediscono di vedere alcuni nostri angoli bui.
Non dico che tutti siamo potenziali serial-killer, ma riflettere sul modus operandi di una mente criminale può farci capire che nessuno è davvero al sicuro e che vigilare (sugli altri come su noi stessi) è la sola vera forma di autodifesa.
9. Spesso nel “ Mostro “ raccontato nei romanzi si trova il germe di una paura che ci teneva in scacco da bambini. Tra le righe de Il Dono c’è una paura che ti porti dentro da bambina?
Temo di no.
Non ho mai avuto paura della malattia né del rifiuto (conoscevo entrambi), le mie paure infantili erano sempre rivolte all’esterno, temevo PER gli altri, mentre questo è un romanzo molto ombelicale.
10. Nonostante nei tuoi romanzi la violenza sia un elemento per così dire indispensabile data la natura delle trame, l’aspetto realmente significativo è dato dall’indagine psicologica, un percorso nei meandri della mente dei personaggi. Cos’è quindi più importante: l’azione o l’introspezione?
L’introspezione, che di fatto E’ azione, non esiste una buona storia senza buoni personaggi, anche la trama più piatta viene risollevata da figure tridimensionali che evolvono, mentre nemmeno la più articolata delle storie sopravvive al piattume dei propri protagonisti.
Thriller Life ringrazia Paola Barbato per la gentilezza.
a cura di Claudia Pieri e Patty Pici
