Francesca La Mantia e Angelo Urgo: insieme contro il “suicidio” della libertà.

Francesca La Mantia

Francesca La Mantia

Francesca La Mantia, classe 1985, nata a Palermo, vive e lavora tra Milano e Palermo. 

Docente di Italiano e  latino, sceneggiatrice e regista cinematografica e teatrale, nel 2015 ha realizzato il film documentario La memoria che resta, che racconta senza orpelli retorici il variegato e sommerso mondo della Resistenza.

Con Gribaudo ha già pubblicato Una divisa per Nino, ambientato durante il regime fascista e la guerra di Etiopia, e La Mia Corsa, ambientato a Palermo in piena guerra di mafia.

Nei mesi da luglio a settembre 2021, l’autrice ha percorso oltre 10.000 chilometri e attraversato 15 regioni per realizzare Prova a prendermi, il tour estivo di presentazione de La mia corsa. La mafia narrata ai bambini, pensato e organizzato per raccontare in tutta Italia l’attualità della lotta contro le mafie.

Nel 2019 viene insignita del premio Archimede 2019, per i giovani talenti del Sud come unica donna.

Un uomo senza paura. D’Artagnan  il primo giornalista “suicidato” dalla mafia è il suo primo romanzo per La Corte editore. 

Angelo Urgo

Angelo Urgo 

Autore e sceneggiatore. Vive a Milano.

Ha studiato all’Università Cattolica di Milano, Lettere e filosofia ad indirizzo Linguaggi dei Media.

Prima di intraprendere uno stage in giornalismo in Sudafrica aveva già maturato qualche esperienza nel campo collaborando con riviste settimanali e mensili e scrivendo diversi racconti

Tra i recenti lavori Alpha Bravo Tango (2020) distribuito da 7 Palm Entertainment USA e Seed Boom (2022) documentario sugli attivisti climatici in Senegal.

Ho incontrato gli autori al Salone del Libro di Torino e ne ho apprezzato l’entusiasmo e il profondo rispetto nei confronti della Verità e della libertà di pensiero.

Un uomo senza paura - Francesca La Mantia e Angelo Urgo

Un uomo senza paura è la storia romanzata di Cosimo Cristina, detto D’Artagnan, il primo giornalista “suicidato“ dalla mafia.

Romanzo verità mai pedante o didascalico, Un Uomo senza paura ripercorre a ritroso la vita di un uomo entusiasta, animato da grandi sogni e armato di un coraggio incosciente, talmente avvincente che, contro ogni logica, si tifa per un lieto fine. 

Francesca La Mantia, figlia della terra siciliana e Angelo Urgo, figlio del profondo Nord, hanno unito i loro talenti e la loro sete di verità per scrollarsi di dosso secoli di omertosa indolenza e dato vita ad un romanzo che ha la potenza d’irrompere nel comodo spazio mentale del lettore, per scuoterlo e renderlo partecipe di una rivoluzione. 

La recensione completa di Un uomo senza paura è disponibile QUI.

Francesca La Mantia e Angelo Urgo hanno gentilmente risposto alle domande e alle curiosità che questo romanzo verità suscita.

1. Un uomo senza paura è un magnifico romanzo scritto a quattro mani. Racconta la storia in parte vera ed in parte romanzata di Cosimo Cristina, giornalista “suicidato” dalla mafia. Dove inizia Francesca e dove Angelo? Come si è strutturato il lavoro di scrittura? 

Imbarcarsi in un lavoro di scrittura a quattro mani significa in qualche modo mettere da parte quell’Io che di solito fa da filtro nelle sensazioni e nelle opinioni.

Non c’è il mio, non c’è il tuo, ma c’è il nostro che è qualcosa di mostruoso, che non esiste a prescindere dalla storia e dipende da quanto riusciamo ad aprirci l’una all’altro.

Francesca inizia soltanto se Angelo è disponibile ad aprirsi e viceversa. È un lavoro di esplorazione, di dialogo fitto, di scontro (sì, per forza, qualche volta) ma sempre con fine costruttivo.

È la storia che deve beneficiarne. Sennò non si inizia. In questo bisogna dire che arrivare da esperienze di scrittura per l’audiovisivo ci ha aiutato molto a iniziare entrambi con il piede giusto, quello della collaborazione.

2. Molte sono le parti storicamente documentate che vengono riportate in questa storia, ma dove inizia il lavoro d’immaginazione? 

Nel momento in cui i personaggi diventano talmente familiari da volerci fare una chiacchierata e prevedere come potrebbero agire in coerenza con l’idea che ci siamo fatti di loro. Ecco, è a questo punto che l’immaginazione si esprime.

È un processo che non ha delle tappe esatte. C’è una conoscenza basata su fatti storici, che a un certo punto non basta più: è maturato un riconoscimento.

L’immaginazione è un po’ come guardarsi allo specchio e decidere di credere a quello che si vede.

3. Parlare di mafia nel 2023, in una terra dove ancora adesso il silenzio fa rumore, è diventato più facile? Oppure è rimasto un argomento da trattare con la dovuta cautela?

Se la cautela è una forma di prevenzione, non è chiaro esattamente da cosa dovremmo cautelarci. Oggi è la mafia che si cautela, che non si espone, che cerca di rimanere nell’ombra.

Questo rischia di farci perdere gli anticorpi che abbiamo sviluppato grazie a persone che ci hanno fatto capire cos’è questo fenomeno e come ci coinvolge tutti. È un argomento in ogni caso da trattare in maniera complessa, per questo ci abbiamo messo tanto a fare le ricerche.

Se nel 1960 era difficile pronunciare la parola mafia, oggi è fin troppo inflazionata nei nostri discorsi. Più che cautelarsi, bisogna avere la pazienza di scavare tra le informazioni e dosarle bene.

4. Giuseppe Rizzo è un personaggio che vive di metafore e di riflesso. Le sue disquisizioni sui dipinti sono pura meraviglia. Da dove nasce questo personaggio? L’arte, che viene spiegata con così grande maestria, ha richiesto una documentazione? Oppure nasce da una vostra passione?

Avevamo poche informazioni sulla persona vera che corrisponde al nostro Giuseppe Rizzo. Sapevamo fosse uno storico dell’arte, un flaneur figlio della grande aristocrazia siciliana. Sapevamo che fosse una persona piena di contraddizioni e di paure.

La storia dell’arte è un linguaggio aggiuntivo per dare forma a tutto questo.

Abbiamo passato molto tempo a camminare per Palermo e per Termini Imerese. Questo ci ha guidato nel ricostruire le possibili visioni di Giuseppe. Insieme, puntavamo a restituire un personaggio complementare rispetto a Cosimo, facendo leva sui tratti del carattere che sapevamo (dai racconti di chi l’ha conosciuto) appartenergli.

5. Gli articoli di giornale che puntellano il racconto, sono articoli veri, che avete ritrovato durante la vostra ricerca, oppure sono frutto di fantasia? 

Gli articoli (riportati nel romanzo con un font diverso) sono quelli veri.

Non abbiamo toccato nemmeno una virgola.

6. Ripercorrere i solchi tracciati dall’infame storia della mafia porta inevitabilmente a chiedersi quanto questa organizzazione si sia trasformata e in modo camaleontico abbia saputo radicarsi nella società. Quanto forte si percepisce ora il suo potere?

Le mafie sono passate da essere un fenomeno sociale a un fatto di coscienza.

C’è un modo di pensare mafioso in ciascuno di noi, che riusciamo a reprimere in modo più o meno efficace a seconda delle occasioni.

La rete delle mafie si è allargata, si è stratificata.

Oggi le mafie ci offrono un servizio (protezione, prestiti, favori, agevolazioni) e in cambio chiedono quello che hanno sempre chiesto: paura, asservimento, riconoscimento di potere, soldi. Per questo è molto più difficile riconoscerle.

7. Questo libro inizia con un esergo essenziale – “ Alla Verità ” – per chi? Per cosa? Cosa ha mosso l’idea iniziale di questo libro? 

Per Cosimo prima di tutto.

Siamo partiti dalla voglia di dare giustizia a un ragazzo che si batteva per dire la verità su delitti che per convenienza si preferiva lasciare impuniti. Ha ricevuto lo stesso trattamento.

Ecco, è molto difficile dopo tanti anni stabilire qual è la verità sulla morte di Cosimo, e lungi da noi voler avere la presunzione di averla trovata. Ma tutto questo non ci impedisce di agire nel rispetto della memoria, vagliando con rigore le fonti.

Dedicare questo libro alla Verità non è una dichiarazione di intenti ma è un auspicio.

8. Alla luce di tante storie come quella di Cosimo, quanto è cambiato il modo di fare giornalismo? 

Cosimo è un precursore di un modo di fare giornalismo che va alla ricerca della notizia-bomba, che fa scalpore.

Aveva un eccellente fiuto per le notizie, ma inseguiva lo scoop. Forse crescendo sarebbe diventato più cauto, ma a 25 anni di sicuro non lo era.

Il bello è che non si ergeva a paladino di chissà quale verità, no.

Cosimo è molto lontano dall’essere un eroe dell’antimafia. Era un ragazzo ambizioso, come ce ne sono tanti, e aveva capito che per sfondare doveva farsi notare con il suo lavoro. Non è poi così diverso da come vanno oggi le cose.

Quello che forse è cambiato, è l’accuratezza della ricostruzione di alcune fonti.

Cosimo, per quanto avventato, verificava personalmente tutte le fonti ed era sempre estremamente sicuro di quello che scriveva.

9. La prosa,che puntella in modo così raffinato tutto il narrato, è frutto di tante letture? Quali maestri vi hanno ispirato? 

Siamo lettori prima che scrittori.

Anche questo forse è stato un vantaggio dello scrivere a quattro mani: abbiamo incrociato gli interessi e i modelli.

Sciascia, Ginzburg, Dostoevskij da un lato. Ortese, Aramburu, Bolano dall’altro.

Solo per citare alcuni degli incroci di grandi maestri che ci hanno ispirato.

10. Ci sono stati momenti in cui avete operato sulla trama delle censure? Delle idee che vi sembravano azzardate? Oppure tutto l’intreccio vi è stato chiaro fin dall’inizio? 

Ci siamo ben guardati dalla censura della pubblicazione. E anche dall’autocensura.

Era importante per noi arrivare a dare voce a personaggi che a nostro parere non ne avevano avuta abbastanza. Anche a costo di sacrificare colpi di scena ed elementi che avrebbero potuto dare più rotondità alla struttura.

Dopotutto sono inventati solo i movimenti e i pensieri dei personaggi nella contingenza, mentre i fatti descritti si rifanno alle testimonianze raccolte e alle fonti scritte che abbiamo ritrovato.

Ci sono voluti 7 anni per arrivare a un intreccio.

Prima è stato tutto un rintracciare, scoprire, ricostruire.

11. Quanto vicino alla verità siete andati? Quanta dose di supposizione e quanto di verità semplicemente negata e taciuta hanno sorretto la storia? 

Mentre lavoravamo alla scrittura bastava una domanda per mettere in crisi le poche certezze che avevamo su una storia che – per quanto solida potesse essere la ricostruzione – era accaduta più di cinquant’anni fa.

Ci hanno sempre guidato le contraddizioni e le evidenze, come le condizioni di ritrovamento del cadavere di Cosimo. Soprattutto, ci ha guidato l’enorme lavoro di ricerca che prima di noi ha fatto Giuseppe Francese, figlio del giornalista Mario Francese, ucciso da Cosa Nostra nel 1979. Giuseppe era riuscito a far luce sui delitti ai quali il padre stava lavorando, tra questi il caso del collega Cosimo Cristina.

12. Ho amato particolarmente il vostro libro e credo che inseguire la Verità sia lodevole Sempre, anche quando è troppo tardi. Ci sarà un’altra Storia, un’altra Verità che varrà la pena raccontare? Avete altri progetti in mente?

Prima di essere un libro questo romanzo era stato pensato come un film.

Non è un progetto abbandonato.

Abbiamo scelto di raccontare questa storia che è rappresentativa di tante storie di cancel culture, di verità insabbiate, di morti dimenticate, utilizzando più linguaggi.

Altri progetti? Sempre tantissimi, però ci interessa per ora vedere come riusciamo a far andare lontano questa storia.

È una promessa che abbiamo fatto in particolare a Enza, in memoria di Cosimo.

13. Prima di salutarci quale messaggio o augurio vi piacerebbe lasciare ai nostri lettori?

Di cercare sempre la verità, anche nelle piccole cose e con coraggio.

Grazie mille Francesca e Angelo! È stato un onore conoscervi e confrontarmi con voi!

a cura di Patty Pici