Stefania Crepaldi: “la perdita non esiste, tutto si trasforma”

Stefania Crepaldi

Stefania Crepaldi

Editor di romanzi, autrice e consulente editoriale.

Co-fondatrice dell’agenzia editoriale Editor Romanzi e della scuola online di scrittura ed editoria LabScrittore

Stefania Crepaldi ha pubblicato due manuali di narratologia: Lezioni di narrativa. Regole e tecniche per scrivere un romanzo (Dino Audino Editore), tra i libri di scrittura più letti nel 2021, e Il romanzo che vorrei (Valdi Editore)

Progettazione Narrativa è il suo grande sogno divenuto realtà, un percorso guidato in cui gli scrittori possono mettere a frutto la loro creatività.

Ha dato il via al primo corso italiano dedicato all’argomento, Progettazione su Misura, condensando tutto il metodo di lavoro che le ha poi permesso di  torneo letterario IoScrittore, di creare la serie di Fortunata, la tanatoesteta, e di esordire con Salani Editore con il romanzo Morire ti fa bella, i cui diritti sono già stati opzionati per la realizzazione di una serie tv.

Stefania Crepaldi - Morire ti fa bella

Morire ti fa bella di Stefania Crepaldi è un romanzo originale, perfettamente ritmato e ricco di colpi di scena.

Una buona dose di black humor rende la storia particolarmente divertente e godibile.

Avvolgente e sinestetica l’ambientazione, che abbraccia il romanzo lungo tutte le pagine e crea così i perfetti presupposti per trasportare la storia sullo schermo televisivo.

Fortunata Tiozzo Pizzegamorti, la tanatoesteta creata da Stefania Crepaldi, è un personaggio che crea empatia e di cui sentiremo sicuramente ancora parlare!

Barbara Terenghi ha letto e recensito il romanzo di Stefania Crepaldi QUI

Stefania Crepaldi ha gentilmente risposto alle nostre domande

1. Partiamo dalla protagonista, Fortunata; hai scelto per lei un lavoro molto inusuale: la tanatoesteta. Da dove nasce questa scelta interessante e azzardata, sicuramente nuova nel panorama dei gialli?

Nasce da un’esperienza personale che aveva bisogno di essere trasformata, un po’ come tutte le storie che leggiamo e che sentiamo il bisogno di raccontare. Ho avuto paura di morire mentre mettevo al mondo il mio primo figlio, ormai nel lontano 2018.

L’errore di molti aspiranti romanzieri è di raccontare le storie così come sono accadute, invece di tentare di isolare l’emozione e costruire attorno a essa una storia originale e lontana dal nostro vissuto personale. In ospedale, dopo aver partorito Enrico ho ripensato a quella sensazione e ho pensato che sarebbe stato bello creare una figura femminile nel panorama editoriale contemporaneo che non temesse la morte, perché la maneggia quotidianamente, ma teme l’amore, rovesciando la prospettiva.

Ecco come è nata Fortunata.

2. Per tutto il romanzo si sente la forte malinconia della protagonista perché non ha amici e per come il paese la evita; gli effetti che hanno gli “affari di famiglia” su di lei è devastante! Questa sensazione è resa molto bene. Superstizione e pettegolezzi dominano, secondo te, la realtà delle cittadine di provincia?

La morte è un tabù e come tale allontana moltissimo le persone, invece di avvicinarle.

Il nostro è un problema culturale che viviamo in Occidente da secoli, da quando una legge in periodo napoleonico ha spostato fuori dalle mura cittadine i cimiteri, isolandoli alla vita.

Così la morte è diventata qualcosa da cui rifuggire, ma c’è stato un tempo in cui i nostri antenati diretti, gli Antichi Romani, si recavano nelle tombe dei loro cari a banchettare per onorare la loro memoria e quello che avevano costruito. L’Italia è in bilico tra queste due culture.

La provincia è un luogo in cui a volte alcune situazioni vengono esasperate, e ho voluto mostrarlo nel romanzo.

3. Ciò nonostante, Fortunata è un personaggio solare e simpatico, vederla girare per le calli di Venezia con i cappelli in paglia ed i vestiti da turista sono descrizioni molto scenografiche: possiamo sapere se c’è nell’aria una prossima fiction?

Non è un segreto, quindi lo posso ammettere serenamente. Mentre terminavo la stesura del romanzo una serie di produttori si è messa in contatto con la casa editrice perché interessati al soggetto e i diritti sono stati opzionati.

Sono sicura che Fortunata sarà presto la nuova protagonista di una serie tv.

4. Ambientare quasi tutto il romanzo a Venezia è stata una scelta notevole e rischiosa; si poteva cadere facilmente nella trappola della città da cartolina, mentre qui ci sono diversi spunti per visitare una città dagli scorci sconosciuti. Sono luoghi che hai cercato di proposito per questo libro oppure li hai in qualche modo vissuti?

Vivo a pochi chilometri da Venezia e la conosco abbastanza bene.

Venezia è una città difficilissima da descrivere, perché, come dici tu, è stata immortalata in così tante opere da risultare quasi noiosa in alcune sue parti “più turistiche”.

Quando ero più giovane amavo moltissimo prendere un treno per Venezia e visitarla nelle sue parti più quotidiane, in quartieri dove i turisti non si avventurano e dove le persone che la abitano transitano abitualmente.

Per questo motivo ho cercato di dare un taglio nuovo alle descrizioni della città, avendo pescato dal mio vissuto e dalle emozioni che ho provato visitando questa meraviglia mondiale in veste diversa dalla classica turista.

5. Essere editor di professione ha agevolato oppure ostacolato la tua scelta di scrivere gialli? Ti senti anche tu in bilico tra le due professioni, come la tua protagonista?

Ho sempre sostenuto – e lo sostengo ancora – che un bravo tecnico della scrittura non deve essere uno scrittore a sua volta.

Ho iniziato con la professione di editor freelance di narrativa nel 2013 e fino al 2018 non ho mai pensato di scrivere una cosa mia. Tra l’altro, l’idea di Fortunata è stata concretizzata in un romanzo solo nel 2020, quando ho partecipato al torneo letterario IoScrittore, vincendo la pubblicazione. Non credo che il mestiere di scrittrice e di editor si annullino a vicenda, né che si possa creare conflitto.

Al momento sto gestendo entrambe le sfere con quello che penso sia un giusto equilibrio per me, senza perdermi la bellezza e le sfumature che entrambi gli aspetti comportano.

6. Una curiosità vista la tua professione: chi ha editato i tuoi romanzi?

Un editor che tenta di scrivere è comunque un’aspirante scrittrice. E tutti gli aspiranti scrittori hanno bisogno di un editor.

Ho avuto la fortuna di lavorare con professionisti di livello.

Nel primo romanzo ho collaborato con Lucia Tomelleri, editor del Torneo letterario IoScrittore. Nel secondo romanzo con Stefano Izzo, direttore editoriale della collana “Le stanze” di Salani. Il ruolo dell’editor è quello di essere una rete di sicurezza per lo scrittore.

L’editor mette a disposizione le sue conoscenze strutturali e linguistiche, ma non prova una particolare affezione allo scritto, nel senso che riesce ad astrarsi e a vedere tutti quei difetti che chi l’ha creato spesso non coglie per la carica emotiva che vi ha riversato dentro. Motivo per cui quando si scrive serve un editor (anche più di uno, se se ne ha la possibilità) per lucidare al meglio l’opera narrativa.

L’editor è anche chi cerca di annullare la distanza tra un’opera di narrativa e il futuro fruitore di quell’opera, il lettore.

Il lavoro con un editor professionista fa crescere a talmente tanti livelli da non aver ancora compreso, da tecnico, come mai molti aspiranti romanzieri non ne comprendano l’enorme ricchezza. Tra l’altro, negli anni ho dovuto combattere battaglie su battaglie con clienti che dicevano di fidarsi ma non si sono mai affidati del tutto, preoccupati che io potessi snaturare il loro sentire (ricordo che non è questo il ruolo dell’editor, anzi). Per cui quando ho lavorato con dei professionisti del calibro delle persone citate, mi sono abbandonata al loro sapere ed è stato bellissimo.

Ricordo che un romanzo è sempre un prodotto di team, anche se il primo ideatore accende l’iniziale scintilla della creazione.

7. Progettazione narrativa è il progetto che maggiormente ti identifica. Mi racconti da dove nasce questa idea? 

Nutro così tanto rispetto per le storie e per la bellezza che possono portare nel mondo, che non sopporto chi pensa che siano sufficienti una penna e un foglio, un pc, un tablet o uno smartphone per scrivere una storia in grado di “conquistare i lettori”. Lo trovo mortificante e anche molto presuntuoso.

La scrittura narrativa, che non è la scrittura italiana, è un’arte che possiamo arrivare a padroneggiare (forse mai del tutto) grazie allo studio, alla sperimentazione, alla messa in discussione.

Se tutti avessimo la possibilità di avere un blocco di marmo al giorno davanti alla porta di casa, diventeremmo tutti scultori? Non credo. Il fatto che la scrittura sia, in apparenza, più accessibile, trasforma molte persone impreparate in “scrittori”. Per questo combatto e mi batto da sempre per lo studio della narratologia.

La progettazione narrativa è un concetto che ho inventato io nel 2016, con la nascita del mio corso base di narratologia “Progettazione su Misura”.

Lo scopo è quello di aumentare la consapevolezza minima su quello che serve per scrivere storie che possono diventare valore universale per gli altri, i nostri lettori futuri, creando le basi per un dialogo virtuoso con altri esseri umani e tornando a comprendere che le necessità che ci caratterizzano, le mancanze, i sogni e le aspirazioni, originano spesso da una radice comune che la letteratura nasce per mettere in evidenza e per colmare.

8. Le dinamiche editoriali spesso mortificano gli scrittori esordienti, che vengono dimenticati nel mare magnum dei numerosi titoli sugli scaffali. Quali sono le dritte fondamentali che dovrebbero appuntarsi gli autori alle prime armi?

Da anni cerco di offrire sui miei canali social video e contenuti esclusivamente gratuiti per gli aspiranti romanzieri cercando di educare alla narratologia e all’importanza dello studio della progettazione, ma anche al mindset corretto per tentare di scrivere nella vita.

Vado con tre consigli per me fondamentali:

1) Quando si scrive occorre mettere da parte il proprio ego e ricordarsi che una storia può diventare valore per moltissime altre persone, e non rimanere un bla bla vuoto in cui dimostrare i nostri virtuosismi o la nostra unicità;

2) Non avere fretta, ma tentare di informarsi davvero sulle reali potenzialità del mondo editoriale, senza cadere in tranelli di persone di dubbia moralità che lucrano su tutto e tutti senza alcun ritegno;

3) Non pensare che sia sufficiente un romanzo per creare una carriera.

Come tutte le professioni, anche quella dello scrittore si costruisce un tassello alla volta, un romanzo alla volta.

9. Libri e Social: un connubio che sta mostrando i suoi lati positivi. Bookstagram e Booktok riescono a fare da spalla agli Uffici stampa? Un male necessario oppure una risorsa fondamentale?

Le persone che stanno dietro i profili social sono lettori.

E che male ci può essere nell’aumento di persone che amano i libri a tal punto da volerne parlare tutto il giorno, mettendo in comunicazione la giusta storia con la persona che ne aveva proprio bisogno in quel momento?

Per me i lettori sono sovrani, sempre.

Io sono una lettrice, prima di tutto, e rivendico con forza i miei diritti, senza per questo calpestare il lavoro degli altri. Se un romanzo non mi piace, evito di parlarne.

Il fatto che non piaccia a me non significa che non possa piacere ad altre persone che si trovano in fasi diverse della vita e stanno vivendo esperienze diverse.

10. Quali sono i libri che in questo momento si trovano sul tuo comodino?

Al momento sto leggendo tre romanzi in contemporanea:

1) La dinastia dei dolori, di Margherita Loy (strepitoso!);

2) Il mistero di Anna, di Simona Lo Iacono (che trovo commovente oltre ogni dire);

3) Max e Flora, di Isaac Bashevis Singer (che non avevo mai letto, ma di cui sto apprezzando le sequenze dialogiche e l’ironia che pervade ogni battuta).

11. Prima di salutarci quale messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?

Ho creato Fortunata per tentare di mandare un messaggio: la perdita non esiste, tutto si trasforma.

L’anno scorso ho perso un figlio ed è stato uno dei dolori più grandi della mia vita, fino a questo momento.

Mentre stavo tentando di scendere a patti con questa vicenda, Stefano Izzo mi ha telefonato per propormi di scrivere “Morire ti fa bella” e la cosa mi ha fatto sorridere.

Davvero la perdita non esiste, perché il dolore per quel figlio è diventato il motore della creazione di un romanzo che si sta facendo conoscere e che molti lettori stanno amando.

Spero che questa diventi una certezza per molti, e un motivo di consolazione.

Grazie mille Stefania per le tue parole, il tuo lavoro e la grande forza che ti contraddistingue.

a cura di Barbara Terenghi e Patty Pici