Paolo Forcellini e l’arte del giallo a Venezia

Paolo Forcellini, giornalista e romanziere, ha radici profonde a Venezia, città in cui è nato. A 25 anni si è trasferito a Roma dove ha iniziato la carriera di giornalista. Ha collaborato con importanti testate giornalistiche ed è stato per molti anni a capo dei servizi di economia e interni dell’Espresso, per il quale ha curato, fra l’altro, la rubrica «Riservato». Ha pubblicato saggi e manuali su questioni di politica economica.

Come scrittore Paolo Forcellini ha saputo convertire la conoscenza di Venezia nei suoi famosi Thriller lagunari, regalando ai lettori storie avvincenti e personaggi memorabili.

Alcuni dei suoi gialli hanno per protagonista il poco politicamente corretto commissario Marco Manente, e tra questi ricordiamo: La tela del Doge, Cairo 2013, Serenissima vendetta, Cairo 2015, Feste di sangue, Cairo 2017, La laguna delle nebbie, Cairo 2019, Pesca grossa in laguna, Castelvecchi 2021, Veleni veneziani, Castelvecchi 2022.

Con Vipere a San Marco, Marsilio 2021, ci addentriamo nella prima indagine del nuovo personaggio creato da Forcellini, il giornalista Alvise Selvadego.

Ritroviamo Selvadego anche in Scommessa mortale, Marsilio 2023, letto e recensito per Thriller Life da Rosaria Sorgato Qui

Paolo Forcellini ha gentilmente accettato di rispondere alle nostre domande.

Thrillerlife: Sei nato a Venezia, dove sei vissuto fino ai 25 anni, ma leggendo i tuoi romanzi dimostri di avere una conoscenza ancora profonda e intatta della città lagunare. Quali sono state le esperienze pregnanti di quella parte della tua vita? Cosa è stampato in modo indelebile nella tua memoria in relazione a quegli anni, e cosa ti consente di rimanere aggiornato sulla “venezianità”?

Paolo Forcellini: Il primo quarto di secolo nella vita di tutti è fondamentale, ci segna profondamente, molto più che gli anni successivi. A Venezia ho frequentato scuole e università, ho giocato, ho stretto amicizie imperiture, intessuto i primi flirt, ho calpestato tutti i “masegni” delle calli, dei campi e dei campielli, ecc. Quindi dalla Serenissima ho avuto un imprinting fondamentale.

Allo stesso tempo, però, ho vissuto quegli anni quasi senza rendermi conto che crescevo in un ambiente unico, sia dal punto di vista naturale che culturale, immerso in un mondo di capolavori e in una storia più che millenaria. Nei giornali ci sono i corrispondenti e gli inviati. Spesso i corrispondenti, dopo anni trascorsi nel medesimo paese, non sono più in grado di “sorprendersi” delle cose peculiari che li circondano. Non a caso i grandi quotidiani, quando accadono eventi eccezionali, spesso mandano un inviato anche là dove vi è già un corrispondente, vogliono che uno sguardo “vergine” colga tutti i risvolti delle novità. Dico questo perché nei miei anni veneziani ero immerso in una realtà che mi pareva normale, non mi sorprendeva più che tanto. Insomma, ero un “corrispondente”, la conoscenza dei percorsi non coincideva con la consapevolezza delle storie vissute dai luoghi.

A Venezia hanno vissuto tutta la loro esistenza i miei genitori, da molti anni vi ha messo su famiglia un mio figlio, dopo aver lavorato in quasi tutti i continenti, quindi i miei legami con la città, per quanto saltuari, non sono mai stati recisi del tutto. I “gialli” che ho cominciato a scrivere una decina di anni fa (“Scommessa mortale” è l’ottavo) sono stati per me un modo per recuperare un rapporto più maturo e consapevole con la mia città di cui a una certa età ho cominciato ad avvertire un’immensa nostalgia: potrei dire che ora sono un “inviato” in laguna.

TL: Il tuo percorso professionale ti caratterizza come giornalista economico e politico, ma ad un certo momento hai attraversato il guado, dedicandoti al genere thriller. Come si è realizzato questo passaggio? Hai sempre avuto una passione, magari segreta, per il genere? E quali sono stati, in questo ambito, gli autori e le letture per te appassionanti?

PF: Sono sempre stato un appassionato di noir. Un amico di famiglia collezionava i “Gialli Mondadori” fin dal primo numero e me ne ha prestati a centinaia. A scuola non ero uno studente modello, spesso durante le lezioni leggevo un thriller che tenevo sotto il banco. E anche dopo mi sono immerso avidamente nei libri di suspense. Fra i miei preferiti ci sono i legal thriller di John Grisham e Gianrico Carofiglio, i libri di Ed McBain che raccontano verosimilmente il lavoro e i rapporti umani dentro un posto di polizia, ovviamente le storie di Simenon nonché i racconti di Camilleri che certamente hanno influito sul mio uso di parole in veneziano.

TL: Anche nel tuo ultimo giallo “Scommessa mortale”, l’ironia, elegante ed efficace è un elemento basilare della narrazione e, ancora una volta, dimostri di saper maneggiare con destrezza questa forma di comunicazione. Quale ruolo attribuisci all’ironia nell’economia generale del tuo romanzo?

PF: La cronaca nera, vietata nel periodo fascista e comunque raccontata con la sordina per decenni, ormai dilaga sui giornali e ogni canale tv ha il suo programma in cui vengono sviscerati per puntate e puntate tutti i veri delitti più tremendi. In un certo senso lo scrittore di gialli si vede franare il terreno sotto i piedi, la realtà travalica la narrativa. Come combattere la concorrenza sempre più agguerrita della cronaca giudiziaria quotidiana? Certo, innanzitutto lavorando sulle trame. Ma attenzione: si corre il rischio di raccontare storie inverosimili pur di distinguersi e vincere la sfida con la delinquenza reale. L’ironia è sicuramente un’arma decisiva per far premio sulla cronaca nera e rendere la lettura gradevole. Aggiungo che nei miei libri, oltre ai protagonisti con nome e cognome ce n’è un altro, imbattibile. È Venezia, con le sue storie, leggende, segreti, curiosità.

TL: Un personaggio chiave del tuo giallo è la bellissima cronista Gaspara Maravegia, detta Gas, che descrivi con gli occhi di color viola; un colore inusuale, proprio come quello che veniva attribuito alla famosa attrice Hollywoodiana, Elisabeth Taylor. Perché hai scelto proprio il colore viola? È un colore con un significato particolare?

PF: Quando metto nero su bianco un personaggio cerco di renderlo riconoscibile al lettore con pochi tratti che rimangano impressi. Per questo, invece di fare una protagonista bionda con gli occhi azzurri, in questo caso ho scelto gli occhi viola, davvero rari, ritenendo che in tal modo fosse più facile ricordarla. Ed è vero, tanti anni fa rimasi colpito, come molti, dagli occhi viola della Taylor.

TL: Gaspara Maravegia non è solo bellissima, ma dimostra anche di essere culturalmente preparata, intuitiva e battagliera. Il suo mondo lavorativo, la redazione del giornale del Nordest, è ancora dominato dagli uomini, ma ciò non sembra metterla minimamente in soggezione. Come hai costruito questo personaggio complesso e le sfide che quotidianamente deve affrontare?

PF: Penso che le donne, nello studio e nel lavoro, siano decisamente più brave degli uomini. Questo per motivi “storici”, perché hanno dovuto e debbono combattere maggiormente per guadagnarsi un posto al sole.

Non è un caso, ad esempio, che in pochi decenni le donne magistrato, escluse da quella professione fino agli anni ’60 del secolo scorso, siano diventate più numerose degli uomini. E neppure che ai gradini più alti delle forze di polizia le donne stiano crescendo rapidamente di numero. Non potevo fare di Gaspara Maravegia il personaggio principale perché avrei dovuto immedesimarmi nella psicologia femminile, impresa per me ardua. Ma in questo come nel libro precedente ho cercato di segnalare come Gas fosse tutt’altro che una “bella statuina”, ma fosse invece una bella testa pensante, colta, determinata e anche decisiva per sciogliere gli enigmi più difficili.

TL: Nei dialoghi del tuo romanzo inserisci modi di dire e termini tipici di quella che è stata la lingua ufficiale della Repubblica Serenissima per numerosi secoli. L’effetto è decisamente piacevole e arricchisce l’immersione nei luoghi narrati. Quali obiettivi ti sei posto quando hai operato questa scelta narrativa e come hai equilibrato tale componente con il testo nel suo complesso?

PF: Camminando per le strade di Venezia insulare i poco meno di 50mila abitanti rimasti continuano ad usare parole in veneziano. Alcuni, ormai pochi, parlano veneziano “stretto”, la maggior parte intercala comunque motti dialettali in maggiore o minore misura. Tutti conservano una musicale cadenza inconfondibile, soprattutto se accompagnata da qualche parola autoctona. Certo, c’è un declino nell’uso del veneziano, sicuramente inevitabile.

Ma si deve tener conto che esso è stato per un millennio e più un linguaggio scritto, ufficiale (anche se è mutato nel tempo, c’è forse qualcuno che oggi parla l’italiano di Dante?), la lingua di uno degli Stati più potenti d’Europa, e una lingua parlata anche dalle classi dirigenti e dagli aristocratici della Serenissima. Quindi penso che in laguna il declino del “dialetto” sarà più lento che altrove. Per inciso, il grande Andrea Camilleri ha usato nei suoi libri parole dal “suono” siculo. Ma si tratta di parole da lui inventate. Io invece utilizzo un veneziano “vero”, che ancora si può ascoltare camminando per la città, anche se, non essendovi più un punto di riferimento scritto ed essendosi differenziata la parlata fra città e paesi veneti e perfino fra sestiere e sestiere, in qualche caso la scelta del vocabolo o della sua trascrizione è opinabile.

TL: I numerosi riferimenti al cibo presenti nel romanzo, inducono a ipotizzare non solo che tu sia un buongustaio, ma anche che la cucina sia per te una passione e che tu le abbia voluto attribuire un ruolo specifico nella narrazione generale. È così?

PF: Sì, è vero, sono un buongustaio un po’ esagerato. Alvise Selvadego per passione cucina di persona ad un alto livello; il commissario Marco Manente, protagonista dell’altra mia serie di gialli, si limita a mangiare ma senza risparmio. Scherzi a parte, nei miei libri il cibo ha un ruolo importante, è un elemento importante del tentativo complessivo di ricreare un ambiente, la Venezia, forse un po’ sorpassata, che ho conosciuto da giovane e che non era naturalmente fatta solo di monumenti e opere d’arte, di storie e leggende, ma anche di tradizioni culinarie. Non a caso i miei personaggi gustano sempre piatti tipici della cucina lagunare, a volte pressoché scomparsi dalle tavole.

TL: Il tuo protagonista seriale, Alvise Selvadego, è un ottimo giornalista che sa come meglio raccogliere le informazioni, analizzare i dati e rielaborarli, inoltre è curioso e possiede spirito critico, ma è dotato di un qualcosa che lo rende anche un ottimo investigatore. Quali sono le particolarità che fanno di lui un  “segugio” investigativo?

PF: I giornalisti di cronaca nera o giudiziaria, quando non sono dei semplici passacarte o ventriloqui delle procure, cosa che avviene purtroppo spesso, debbono avere qualità da investigatori. E a volte succede che arrivino prima degli inquirenti a sciogliere un mistero perché possono muoversi con più libertà, senza le pastoie di norme e procedure che legano le mani di magistrati e forze dell’ordine. Un caso per tutti, certo uno dei più clamorosi, quello dello scandalo Watergate. Fu scoperto da due giornalisti, Bob Woodward e Carl Bernstein e portò alle dimissioni del presidente Usa Richard Nixon.

TL: Thriller, Noir e Gialli si trovano anno dopo anno sempre in vetta alle classifiche dei libri più venduti. Perché ci piace così tanto leggere storie che declinano il Male in tutte le sue varie sfumature.

PF: Se pensiamo ai romanzi ottocenteschi, il motivo dominante era l’amore, quello fortunato, quello contrastato, quello inconfessabile: insomma in tutte le salse. Gli scrittori più impegnati trattavano anche delle condizioni di vita dei ricchi borghesi o dei poveri proletari. Nel secolo scorso hanno preso il sopravvento libri dove più che la trama contava la ricerca di nuove forme espressive, di nuovi linguaggi. Romanzi quindi più tendenti alla sperimentazione e all’avanguardia artistica. Via via la narrativa si è fatta sempre meno realistica.

Il romanzo giallo mi pare un ritorno al realismo, al racconto di un mondo se non vero almeno verosimile, con imbrogli, delitti, delinquenti e poliziotti: cose che accadono nella realtà tutti i giorni ma che nei gialli vengono condite con altri ingredienti. E soprattutto vicende che, con la dovuta suspense, approdano sempre, in tempi brevi, relativamente alle lentezze della giustizia, alla scoperta dei colpevoli. Non è poco. E comunque nella realtà le storie di Delinquenza hanno assai più variazioni di quelle d’Amore. L’uomo ci ha lavorato più a lungo e più a fondo.

TL: Prima di salutarci quale messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?

PF: Buona lettura

Thriller Life ringrazia Paolo Forcellini per la gentilezza.

a cura di Rosaria e Edy