Nel vasto mondo selvaggio
Recensione di: Martina Melgazzi
TRAMA
È inverno. La ragazza corre nella foresta, in fuga da un insediamento di coloni inglesi nel Nuovo Mondo, in Virginia. Nata serva in Inghilterra, si è sempre occupata della piccola Bess, una bambina malata che abbandona con dolore quando un’epidemia devasta la piccola comunità in cui vivono.
Priva di armi, di utensili, ignara di tutto e pronta a imparare tutto da sola, sperimentando, si ciba di ciò che raccoglie e resiste al gelo; impara a pescare e cacciare; governa il fuoco; si ammala ma poi guarisce; prima sopravvive e basta, poi vive in comunione con le terre selvagge, secondo un patto feroce che a volte rischia di sopraffarla ma in cui, tenace e avida di vita, ha a lungo la meglio. Tra orsi, lupi, nativi e misteriose creature erranti come lei, la ragazza attraverserà a modo suo tutte le tappe di una la paura, il sesso, la libertà, la solitudine, fino alla fine.
RECENSIONE
Lauren Groff non è nuova all’epica del corpo e dello spirito. Con “Fato e Furia” aveva raccontato un matrimonio come uno scontro tra universi interiori; con “Matrix” aveva portato lettrici e lettori nel cuore visionario di un’abbazia medievale guidata da donne. Con Nel vasto mondo selvaggio, pubblicato in Italia da Bompiani, l’autrice americana compie un ulteriore passo verso l’essenzialità: scrive un romanzo scarno, crudo, affilato, in cui l’io si dissolve nella lotta per la sopravvivenza e la lingua stessa si fa strumento di resistenza e preghiera. Un libro invernale, duro, quasi febbrile. Ma anche un’opera luminosa e mistica, che lascia senza fiato per la sua bellezza.
Ambientato in una colonia inglese non identificata del Nuovo Mondo — presumibilmente Jamestown, agli albori del Seicento — “Nel vasto mondo selvaggio” segue una ragazza senza nome, una serva fuggita da un insediamento devastato da carestia, malattia e crudeltà. La seguiamo mentre corre nella foresta ghiacciata, con le mani insanguinate e la Bibbia come unico conforto. Non sappiamo chi la stia inseguendo, né cosa abbia fatto, ma la narrazione ci aggrappa subito al suo passo, al suo respiro, al terrore che le serra lo stomaco. Lauren Groff ci inchioda al presente assoluto della fuga, al battito primordiale dell’istinto di vita, e lo fa con una scrittura ipnotica, tagliente, intensamente fisica.
Quello che colpisce di più in “Nel vasto mondo selvaggio” è il corpo: il corpo della ragazza, affamato, piagato, ferito, costretto a divorare radici, funghi, noci rancide e carcasse di scoiattoli per restare in piedi. Ma è anche il corpo del paesaggio, della foresta gelata che respira come un’entità viva, ostile e materna al tempo stesso. La natura non è mai solo sfondo, ma presenza onnipresente, a tratti soprannaturale.
Eppure, nonostante il gelo e la fame, c’è una bellezza abbacinante che ogni tanto squarcia la pagina: un riflesso di luce sui rami ghiacciati, una nube che si apre sul sole, un albero così perfetto da sembrare un’apparizione. In quei momenti, la protagonista si ferma, guarda, e comprende che la bellezza può essere una forma di grazia.
“È un fallimento morale non vedere la bellezza del mondo”, pensa.
E in quella frase c’è il cuore del romanzo. Groff scrive con un’attenzione linguistica maniacale, cesellando ogni frase con ritmo e cura. La prosa ha un sapore arcaico, biblico, senza mai risultare antiquata o artificiosa. Ogni parola pulsa di senso e tensione. La voce narrante, sempre al fianco della ragazza, ci costringe a una prossimità radicale: vediamo ciò che vede, sentiamo ciò che sente, spesso senza sapere cosa sia reale e cosa sia frutto della fame, della febbre, della paura.
Questo spaesamento — simile a quello che viviamo leggendo Shirley Jackson o Catriona Ward — non è solo stilistico, ma esistenziale: come la protagonista, ci muoviamo in un mondo in cui i confini tra realtà, allucinazione e spiritualità sono liquidi, porosi, pericolosi.
La ragazza fugge, ma non fugge solo da un pericolo concreto. Fugge anche da un passato che l’ha umiliata, abusata, ridotta a nulla. Prima di essere “la ragazza”, era un nome che non le apparteneva, etichette appiccicatele dagli altri. Eppure, nella corsa verso nord, attraverso un paesaggio disumano, riesce a riscrivere sé stessa, pur senza mai darsi un’identità definitiva. È un’eroina tragica e fortissima, che porta sulle spalle il peso di tutte le bambine scappate dai loro inferni. Una figura archetipica e simbolica, eppure concreta come la fame che la divora.
C’è chi ha letto in Nel vasto mondo selvaggio un romanzo sull’America delle origini, una riflessione su colonialismo, spiritualità, ecologia. Tutto vero. Ma è anche, e soprattutto, la storia di una singola donna che sceglie di vivere, anche quando tutto intorno a lei — la fame, gli uomini, Dio — sembrerebbe dirle il contrario. Un romanzo feroce e misericordioso, che va letto con lentezza e con coraggio. Perché Groff non offre conforto, né redenzione. Ma ci ricorda che ogni passo, ogni scelta, ogni respiro, possono essere un atto di resistenza.
Traduzione: Tommaso Pincio
Editore: Bompiani
Pagine: 232
Anno di pubblicazione: 2025
AUTORE:

Lauren Groff è nata a Cooperstown, nello stato di New York, a pochi passi dalla sede della Baseball Hall of Fame. Dopo la laurea all’Amherst College, ha conseguito un master in scrittura creativa (MFA) presso l’Università del Wisconsin-Madison.