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Paola Barbato: La Cattiva Strada

La cattiva strada

SINOSSI

«Sei finito in una cosa troppo grossa e troppo brutta per te, fratello, ma adesso la facciamo passare.»

E invece non sarebbe passata.

Ora, la strada è tutto ciò che hai. Non avrebbe mai dovuto aprire quella scatola. Lo sapeva, era una delle regole non scritte dell’accordo. Invece quella volta lo aveva fatto.

Sarebbe stata la sua condanna.

Giosciua Gambelli non ha mai preteso molto dalla vita e la vita lo ha ricambiato allo stesso modo. Ora però, passati i trenta, ha trovato qualcosa in cui è davvero bravo.

È un corriere, di che cosa non lo sa esattamente. Non ha nessuna ambizione, nessuna curiosità. Mai una domanda, mai un ritardo. Forse è proprio per questo che lo hanno scelto.

Una notte, dopo aver visto ciò che sta trasportando, capisce di essere in trappola e di dover fare qualcosa che non ha mai osato prima: disubbidire.

Tutto cambia per sempre.

Prima viene travolto dallo smarrimento, quando pensa a un controllo della polizia.

Poi dalla paura, se i mittenti scoprissero che lui ha visto. Da adesso in avanti sarà un testimone. E ha guardato troppi film per non sapere che fine fanno.

Ma quando alcuni agghiaccianti indizi gli fanno capire che chi lo ha ingaggiato è lì, vicino, e controlla ogni sua mossa, comprende anche che c’è un’unica cosa da fare: fuggire.

E c’è un unico luogo in cui non può accadergli nulla: l’autostrada su cui sta viaggiando e da cui non può più uscire.

Paola Barbato non racconta mai la stessa storia e ogni volta riesce a sorprenderci con la sua capacità di vedere il male nascosto negli anfratti meno inquietanti della nostra quotidianità.

Che sia un cellulare, una casa o una strada, la tensione che riesce a trasmetterci cresce a ogni libro. E, proprio per questo, non smetteremmo mai di leggerla.

RECENSIONE

Di notte l’autostrada è un microcosmo compresso in se stesso, come se il mondo terminasse all’improvviso poco oltre i margini delimitati dal guardrail.

Ci sei solamente tu, lo sguardo puntato sul lungo nastro d’asfalto, per compagnia i fari delle altre automobili e la replica del radiogiornale che ti racconta notizie da un mondo che non esiste più.

Ciò che ti restituisce la notte è un senso di solitudine mescolato con l’odore pungente di benzina, mentre giochi a indovinare dove siano dirette le anonime esistenze che ti sfrecciano accanto.

È in questa dimensione onirica che Paola Barbato ha costruito il suo nuovo romanzo.

La Cattiva Strada è un thriller “on the road” contaminato dagli elementi tipici del noir all’italiana e caratterizzato dallo stile impeccabile della scrittrice milanese.

Una storia che si fa leggere tutta d’un fiato, lasciando il lettore in bilico tra realtà e allucinazione, tra il dubbio che sia tutto vero o solo il frutto dell’immaginazione del protagonista.

Paola Barbato è uno dei nomi più conosciuti nel panorama italiano contemporaneo, uno di quelli a cui è facile associare concetti come qualità e originalità.

Molti la conoscono per le storie che ha regalato a Dylan Dog che, anche grazie al contributo della Barbato, ha ridefinito il concetto stesso di fumetto, trasformandolo da passione per pochi cultori a vero e proprio fenomeno di costume.

Ma Paola Barbato è anche (e soprattutto!) una scrittrice con all’attivo una quindicina di romanzi, caratterizzati da una varietà di generi e stili davvero sorprendente.

Una dote che le consente di essere sempre diversa, pur restando fedele a se stessa e ai canoni che la rendono così riconoscibile.

Chi ha già letto le sue storie sa cosa può aspettarsi da un nuovo libro: emozioni forti, un senso di straniamento, personaggi maledettamente veri e  trame capaci di farti saltare letteralmente sulla sedia.

In un continuo gioco di specchi nei quali il lettore finisce col restare (felicemente) intrappolato.

La Cattiva Strada è proprio questo: un romanzo che non ammette pause, un viaggio di sola andata con il piede costantemente premuto sul pedale dell’acceleratore.

Un percorso oscuro come sanno esserlo le notti trascorse sulla strada, in cui lo schermo nero del cielo sembra destinato a non cedere mai il passo alla luce del giorno e la terrificante consapevolezza che, superata una certa svolta, nulla potrà essere come prima.

Non ci sono preamboli o sofisticate premesse, nessun atto preparatorio attraverso il quale al lettore sia concesso di avvicinarsi gradualmente al cuore della trama.

Si è subito spinti all’interno dell’abitacolo del furgone un po’ scalcinato sul quale Giosciua, il protagonista del romanzo, attraversa il tratto autostradale che congiunge l’Emilia-Romagna alla Lombardia.

Compressi nell’angusto spazio destinato al passeggero, non possiamo fare altro che stringerci con malcelata titubanza alla cintura di sicurezza, nella speranza che ci tenga saldamente al nostro posto mentre la storia affronta le pericolose deviazioni che l’autrice ha preparato, in un percorso disseminato di chiodi, pezzi di vetro, violenza e paura.

Giosciua è tutt’altro che il classico protagonista rassicurante, niente di più lontano dall’eroe che solitamente rappresenta il cardine onnipresente di un thriller.

Non ci sono campioni di coraggio in questa storia, ma solo piccoli esseri umani ostinatamente aggrappati alla propria esistenza, convinti di essere un po’ più furbi di chi gli sta accanto per riuscire a scampare alle infinite insidie di una vita che se ti sorride lo fa solamente per snudare una chiostra di denti puntuti.

Giosciua si accontenta di galleggiare a mezz’aria in un’esistenza misera, combattuto tra il desiderio di dimostrare alla propria famiglia che, in fin dei conti, qualcosa vale anche lui e il bisogno di lasciare che le cose semplicemente accadano, come fossero automobili che gli scorrono accanto quanto basta per illuminarlo prima di sparire rapidamente oltre l’orizzonte degli specchietti retrovisori.

Ma vivere è una malattia contagiosa i cui effetti finiscono con il colpire anche uno che potrebbe legittimamente appartenere alla categoria degli ultimi, dei vinti un po’ per destino, un po’ per propria scelta.

È il destino che sa come trovarti anche quando provi a sfuggirgli correndo a tutta velocità su una strada immersa nella notte, facendo il corriere per delle faccende poco pulite, niente di così eclatante ma quanto basta per sentire addosso il pizzicore del rischio, la contaminazione dell’avventura.

Nel caso di Giosciua il destino ha un nome, Irene, e un corpo, forse un po’ appesantito dall’età ma ancora in grado di far sognare uno come lui.

Non è amore, forse nemmeno desiderio.

Irene per Giosciua è soprattutto la possibilità di ambire ad un cambiamento, un futuro che non gli sia negato a prescindere ma raggiungibile, almeno nella sua mente.

Una cosa da conquistare e proteggere, una fantasia da alimentare per non dichiararsi definitivamente sconfitto.

E forse è proprio Irene la vera protagonista del libro.

A lei Paola Barbato concede gli spazi introspettivi maggiori, come se volesse a sua volta proteggerla dalla violenza che pure ha perfettamente pianificato per lei, dandole così l’opportunità di non essere solamente una vittima sacrificale.

Così, se Giosciua sembra essere costantemente sull’orlo dell’abisso, della capitolazione indotta anche dalla sua inettitudine, Irene è l’appiglio, l’ancora di salvezza, la svolta migliore possibile lungo una strada nerissima sulla quale gli unici squarci di luce hanno la stessa consistenza della pelle lacerata, del sangue che risplende sotto i lampioni al neon.

Leggere La Cattiva Strada di Paola Barbato trasmette un senso di claustrofobia, di abitacolo che puzza di paura e sudore, tanto da spingere una mano a cercare l’interruttore che fa abbassare il finestrino, mentre l’altra scorre le pagine in cerca di una spiegazione, di quella soluzione che si spera riannodi i tanti fili del dubbio con cui la Barbato ha intessuto la trama.

Durante la lettura a Irene e Giosciua ci si affeziona, si fa il tifo per loro, eppure si resta anche prudentemente a distanza, spaventati dall’idea che quanto accade a loro possa colpire anche noi.

Il che svela un altro elemento sorprendente del romanzo: la sua capacità di essere assolutamente credibile.

Grazie anche ai momenti in cui la prospettiva della narrazione cambia completamente e la storia viene raccontata dal punto di vista dei poliziotti che indagano attraverso la visione delle telecamere posizionate lungo la strada.

Su tutto domina l’inquietudine delle tante cose non dette.

Come se da qualche parte tra le pagine del libro ci fosse un elemento.

Un dettaglio che sappiamo di aver visto senza però averlo pienamente colto e che, se svelato, potrebbe cambiare tutto fino a farci urlare: ecco là verità!

Infine l’ultima pagina del libro, un pugno in pieno viso.

Un momento di pregevole e dolorosa bellezza che Paola Barbato ci regala al termine di un viaggio letterario pregevole.

Avvincente, magnificamente scritto, in cui nulla è scontato, tranne la consapevolezza che la “cattiva strada” è una via a senso unico nella quale tornare indietro è impossibile.

Editore: Piemme
Pagine: 310
Anno pubblicazione: 2022

AUTORE

Classe 1971, Paola Barbato è sceneggiatrice di fumetti, attività per cui è stata quasi subito chiamata a sceneggiare dei numeri fondamentali di Dylan Dog.

Nel 2006 invece inizia la sua carriera di scrittrice, pubblicando subito per un grande editore: il suo primo romanzo thriller, Bilico, è infatti uscito per Rizzoli. Nel 2008 il suo secondo romanzo Mani nude, uscito sempre per Rizzoli, ha vinto il Premio Scerbanenco.

Tra gli altri suoi libri ricordiamo Il filo rosso (Rizzoli 2010), Non ti faccio niente (Piemme 2017).

 Io so chi sei (Piemme 2018), primo romanzo di una trilogia, Il ritornante (Piemme 2019) e L’ ultimo ospite (Piemme 2021).

Ha anche lavorato per la televisione (la fiction Nel nome del male con Fabrizio Bentivoglio è stata trasmessa da Sky nel 2009). Paola Barbato si occupa anche del sociale come presidente della Onlus “Mauro Emolo” che sostiene persone colpite da una malattia neurodegenerativa. Nel 2021 ha scritto Vista da qui (Longanesi).

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