François Morlupi, classe 1983, è nato e vive a Roma. Inizia a scrivere nel 2017 per scommessa e per evadere dalla soffocante quotidianità lavorativa. Una scommessa decisamente vinta con Formule mortali, il suo romanzo d’esordio ambientato a Monteverde, un tranquillo quartiere di Roma, che ha vinto ben sei premi letterali nazionali e che ha dato vita a I cinque di Monteverde, protagonisti anche dei suoi libri successivi: Il colbacco di Sofia (2020) e Come delfini tra pescecani (2021).
“En moins de deux” (permettendoci una divagazione tra le espressioni francofone) François diventa un vero caso editoriale di successo, con la sua capacità di trasportare il lettore nella verità dei suoi personaggi. La connotazione umana che riesce così fluidamente a trasmettere, rende i suoi personaggi eroi della vita quotidiana che, mentre affrontano la brutalità dei crimini, si scontrano e si scoprono nelle loro più intime e personali fragilità.
Nel suo ultimo romanzo, Nel nero degli abissi, tanti i richiami al mondo dell’arte, linguaggio che, insieme alla scrittura, stimola il movimento dei pensieri e il desiderio di riappropriarsi del valore della bellezza, della libertà e della cultura. Una storia profondamente coinvolgente con una trama ben congegnata, in cui approfondiamo ulteriormente la conoscenza di personaggi che sanno come non farsi dimenticare e di una Roma a cui l’autore è profondamente legato, pur coltivando con passione per proprie origini italo-francesi.
Trovate QUI la nostra recensione.
François ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune nostre domande.
Cinque investigatori per un’indagine, molto diversi tra loro per carattere, attitudini e storie personali, ma con un denominatore comune: sono individui imperfetti, con vissuti spesso dolorosi. Ce ne racconti la genesi?
Sono un lettore, prima di essere uno scrittore. Penso che sia la conditio sine qua non per poter scrivere libri all’altezza delle aspettative. Un lettore forte, che ha effettuato un percorso scolastico alla scuola francese ed è cresciuto a pizza e Zola. La letteratura francese ha accompagnato tutta la mia adolescenza e ha avuto influenze tangibili sulla mia scrittura e visione del mondo. L’ottocento francese, con il suo elogio della fragilità, ha influenzato dunque i miei protagonisti, ho voluto nel mio piccolo ricreare 5 uomini imperfetti, né bianchi né neri ma grigi. Tante qualità ma anche tanti difetti; ero stufo di protagonisti perfetti, di supereroi in cui, da lettore, non mi immedesimavo per niente. Sono nati, da questa concezione, Ansaldi, Eugénie, Di Chiara, Leoncini e Alerami. A tutti loro ho offerto alcune delle mie passioni e alcuni “pezzi” della mia personalità o di quella di amici, familiari e conoscenti.
L’omicidio di una giovane che si prostituisce per pagarsi gli studi è l’abbrivio dell’indagine. Hai costruito questo personaggio con grande sensibilità, raccontandoci di una ragazza sola, rinnegata dal padre, che studia e lavora con impegno, frequenta i coetanei ma è costretta a vendersi in un parco per realizzare un sogno professionale. Tutto ciò accade in uno dei quartieri più tranquilli di Roma. È proprio questo uno degli abissi a cui il titolo fa riferimento?
Sicuramente sì. È uno dei numerosi abissi a cui il titolo fa riferimento. L’idea è che ognuno di noi possiede una parte nascosta, non per forza oscura, che si rivela unicamente in determinate circostanze. Una parte sopita che emerge e che ci cambia agli occhi degli altri ma che cambia profondamente anche noi stessi. Volevo tentare di sondare la profondità umana e di tratteggiare personalità diverse ma che appartenevano alla stessa medaglia. Per questo motivo ho avuto bisogno, in questo romanzo, dell’aiuto di professionisti del settore che hanno saputo rispondere ai miei quesiti e dar loro una validità scientifica. Poi la situazione di Monteverde mi ha aiutato essendo un quartiere tranquillo, residenziale e signorile; risultava semplice spezzare questa apparente armonia
Gli assassini rivendicano i delitti inviando al commissariato lettere con firme sempre diverse, come a voler confondere le tracce. La prima viene recapitata in ritardo da un postino ben poco ligio al dovere. Agatha Christie ha usato più volte lo stesso espediente nei suoi romanzi, ma non doveva fare i conti con l’inefficienza delle poste italiane. Quanto il giallo classico influenza la tua opera?
Sicuramente Agatha Christie è stata per me un colpo di fulmine, da adolescente. Ho riletto negli ultimi anni tutto Poirot e l’ho trovato per certi versi, ancora moderno e soprattutto geniale, nella costruzione dell’intrigo e soprattutto nella sua risoluzione. Poi però il giallo ha subito un’evoluzione verso il noir, poiché a mio avviso, l’indagine deve essere anche una scusa per poter raccontare altro.
Questo libro è piacevolmente contaminato da quelle che, dall’accorata competenza con cui ne parli, sembrano essere le tue passioni, come l’arte, la musica e il cinema coreano. Pensi che sia importante usare il romanzo anche per divulgare cultura?
Credo che sia bello poter porre degli interrogativi al lettore. Poterlo incuriosire e far sì, che il libro non sia soltanto la risoluzione del caso, ma un vero e proprio viaggio verso isole e tematiche sconosciute. Non l’ho fatto sinceramente in quest’ottica, all’inizio era più per scrivere di argomenti conosciuti e avere la tranquillità di stare in una comfort zone. Però è evidente che è oramai un tratto distintivo della mia scrittura; i tanti riferimenti artistici, storici, letterari, nerd e chi più ne ha più ne metta sono molto apprezzati dai miei lettori. Ho tentato di dare a ognuno dei miei protagonisti, alcune mie passioni: ad Ansaldi il mio amore per l’arte, a Leoncini per la storia, a Di Chiara per il cinema coreano, a Eugénie per la letteratura ecc ecc…
La tua prosa è pervasa di ironia, che oltre a divertire il lettore, alleggerisce la tensione dell’indagine. È un ingrediente necessario ad alleviare le tensioni della vita quotidiana?
Sicuramente sì, ed è una componente fondamentale di noi romani o di chi abita in questa città dai mille problemi. Senza ironia e autoironia, sarebbe difficile rimanere nella capitale. È la nostra arma per poter accettare determinate situazioni che senza riderci sopra, ci causerebbero solo rabbia e frustrazione.
Alcuni personaggi seriali, come ad esempio Maigret, sono immobili. I cinque di Monteverde invece svelano peculiarità caratteriali e parti del proprio vissuto in ogni romanzo. Li hai costruiti fin dall’inizio in funzione di una serialità e sai già cosa ci riveleranno nei prossimi episodi, o il futuro è tutto in divenire?
Il futuro è tutto in divenire, però volevo fin da subito che i lettori vedessero un’evoluzione (o involuzione dipende dai casi) in ognuno di loro, in un’ottica di serialità. Siccome nei miei romanzi l’indagine non è tutto, ma amo descrivere anche la sfera privata dei protagonisti, penso che sia giusto offrire ai lettori l’intimità dei Cinque di Monteverde con tutti poi i relativi risvolti.
Nel tuo romanzo troviamo cinque personaggi principali, ma in realtà ce n’è un sesto che forse è il più importante: Roma, meravigliosa città eterna, piena di problemi e contraddizioni. Molti scrittori sostengono di poter ambientare le loro storie solo in luoghi che conoscono bene. È così anche per te?
Non so se è il più importante, però Roma nei miei romanzi non è né vittima né testimone, ma agisce e interagisce con l’indagine e i 5 di Monteverde. Io sono innamorato di Roma, della sua bellezza e del suo essere eterna. Ma al tempo stesso, come tutti gli innamorati, ho un rapporto anche di amore/odio, in certi momenti. Non posso rimanere indifferente al degrado sociale, economico, urbano e politico, a cui assisto da anni, della mia città. Penso che sia una città che non sfugge ai problemi della società italiana. Roma poi possiede anche delle particolarità, come ad esempio essere una città in cui ogni quartiere è un villaggio, un borgo a sé stante. Se da un lato questo è positivo, poiché ti fa sentire una persona e non un numero (a differenza delle altre capitali), dall’altro lato sei ancorato a un passato e non guardi mai al futuro, purtroppo. E’ evidente che non potrei mai ambientare il mio romanzo in una città che non conosco, in cui non abbia assaporato la cucina locale, in cui non abbia visitato le principali strade, in cui non abbia dormito e vissuto almeno per un determinato periodo di tempo.
Letteratura, musica e cinema, tre dimensioni narrative diverse. Potresti assegnare a ognuno dei cinque un libro, una canzone e un film?
Difficile, ma ci provo! Di Chiara sicuramente Grazie Roma di Venditti o Memories of murder di Bong Joon-ho, Leoncini il secolo di breve di Hobsbawm, Ansaldi un quadro di Soutine o “centro di gravità permanente” di Battiato, Eugénie “Réflexions ou sentences et maximes morales” mentre per Alerami “Heat” di Michael Mann.
Se dovessi indicare tre parole che ti rappresentano, quali sarebbero?
Italofrancese, letteratura, viaggiare.
Se dovessi scegliere tre cose di cui non potresti mai fare a meno, ovviamente escludendo la scrittura, quali sarebbero?
Viaggiare, leggere e mangiare.
Prima di salutarci e anzi, proprio per inaugurare un saluto di eccezione, che messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?
Ringrazio tutti i lettori che continuano a sostenere i Cinque di Monteverde e che ogni giorno mi contattano per darmi le loro opinioni. Il confronto è sempre bello, stimolante e soprattutto mi arricchisce come uomo e poi come scrittore. Auguro a loro e ai lettori in generale, tante splendide letture poiché è una delle passioni più belle che io conosca.
ThrillerLife ringrazia François Morlupi
a cura di Monica Pedretti , Alessandra Panzini e Nina Palazzini