Elisabetta Cametti e le infinite interpretazioni della parola “madre”

Classe 1970, laureata in Economia e Commercio alla Bocconi, da più di  vent’anni Elisabetta Cametti si occupa di editoria e lavora tra Milano e Londra.

La stampa l’ha definita “la signora italiana del thriller”.  

Nel 2013 ha pubblicato il primo romanzo della serie K, I guardiani della storia,  suo thriller di esordio e bestseller internazionale. Nel mare del tempo è stato  pubblicato nel 2014 e Dove il destino non muore nel 2018. 

Ha inaugurato nel 2015 la serie 29 con Il regista, seguito nel 2016 da Caino,  entrambi molto apprezzati da pubblico e critica. 

Quindi, nel2021 si è distinta con il thriller psicologico Muori per me. I suoi libri sono stati pubblicati in 12 paesi. 

È opinionista in programmi televisivi di attualità e cronaca su Rai 1 e sulle reti  Mediaset.

Da qualche settimana, è tornata in libreria con un nuovo thriller, Una brava madre (QUI la recensione di Federica Cervini).

Proprio a proposito di questo suo ultimo lavoro, Elisabetta Cametti ha gentilmente accettato di rispondere alle nostre domande.

Thriller Life: La famiglia è una protagonista ricorrente dei tuoi romanzi: che peso assume nel mondo del crimine?

Elisabetta Cametti: È in famiglia che si esprimono i sentimenti più profondi, sia quelli positivi sia quelli negativi: amore, conforto, sostegno, ma anche solitudine, rabbia e ostilità. Sono i sentimenti profondi a segnare le nostre vite.

«La famiglia può essere luce o buio assordante. Il pilastro che regge il nostro futuro o l’abisso in cui sprofondiamo. Non scegliamo i familiari, prendiamo quello che ci spetta: alcune volte sono una benedizione, altre un inferno.»

T.L: Il cuore del tuo romanzo, a partire dal titolo, è la figura della “madre”: sono ben cinque le figure femminili coinvolte in questo senso.  Puoi approfondire questo tema, parlando di come hai rappresentato la maternità e l’amore materno in queste diverse protagoniste?

E. C: In questo romanzo si intrecciano le storie di cinque donne. Ognuna di loro vorrebbe essere considerata una “brava madre”, ma sono le priorità che scelgono a influenzarne il successo.

A una viene rapita la figlia, un dramma che la porterà a valutare di farla finita, finché non deciderà di dedicare la propria vita alla ricerca di persone scomparse. Un’altra sceglierà di separarsi dal bambino appena partorito per salvarlo da un destino infausto.

Un’altra ancora anteporrà carriera e notorietà al bene dei figli. Mi sbagliavo quando credevo che non esistesse niente di più soggettivo del concetto di bene e di male. 

È la parola “madre” ad avere un’infinità di interpretazioni: ci sono tante idee di madre quante sono le madri.

T.L: Sei stata definita la “signora italiana del thriller” e partecipi abitualmente come opinionista a programmi Rai e Madiaset dedicati all’attualità. Hai una ampia conoscenza, una vera e propria passione per la cronaca nera e per il true crime: quanto incidono nella stesura dei tuoi romanzi? 

E. C: Credo che ormai sia impossibile separare “Elisabetta scrittrice” da “Elisabetta esperta di cronaca nera”. La cronista testimonia come il male possa essere ovunque, anche qui e ora. La scrittrice lotta per dare voce alla speranza. 

Quando si parla di crime, non esiste fantasia più sconvolgente della realtà. Trascorro le giornate a studiare casi di cronaca: scene del crimine, autopsie, piste investigative e profili psicologici dei protagonisti. Scrivo romanzi per raccontare quelle storie, per farle entrare nelle case con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica, di rendere consapevole il lettore. Consapevole di quanto il male possa essere vicino, subdolo, letale. Solo chi conosce riesce a percepire, sospettare. Prevenire. Alcune volte, nelle esperienze degli altri riusciamo a trovare noi stessi… e a metterci in salvo.

T. L: In tutti i tuoi romanzi gli animali ricoprono un ruolo importante (ricordo, ad esempio, l’asino in “Muori per me”). Nel tuo ultimo libro troviamo lo scoiattolo di Fabrizio, Allibis (l’adorato border collie di Giorgia, una delle protagoniste), i ricci di Lucrezia. Quanto conta in queste ‘presenze’ la tua personale esperienza con gli animali? 

E. C: Amo gli animali e sono convinta che sappiano renderci migliori. In ogni mio romanzo, i protagonisti sono sempre accompagnati da un animale domestico.

Per Giorgia, Allibis non è solo una cagnolina. È una figlia. Come lo sono i tre gatti che ha salvato da un futuro terribile. Per Fabrizio, lo scoiattolo Dorian Gray è un compagno di vita. E il fatto che sia rimasto a casa, mentre lui sembra essere svanito nel nulla, farà intuire a Giorgia che Fabrizio non si sia allontanato volontariamente…

T. L: Ancora una domanda sugli animali. Parlaci della “vespa vasaio”, che citi in epigrafe e nell’incipit di un capitolo. Quali analogie hai riscontrato tra il comportamento di questo insetto e il comportamento della ‘madre’? 

E. C: «La vespa vasaio costruisce nidi di argilla e fango con la forma di anfore. Da lì il suo nome. È bellissima e inquietante al tempo stesso: le zampe penzolano lunghe sotto il corpo tenuto insieme da un peduncolo giallo, l’addome è a punta e la mandibola a tenaglia. È con la bocca che trasporta la terra per costruire il nido dove depone le uova. Un uovo in ogni vaso. Perché lei nasce e muore da sola. Non è socievole, vive randagia.

Succhia il nettare dai fiori per trarre il nutrimento necessario a viaggiare tutto il giorno con l’argilla e le prede strette tra le sue tenaglie. Sì, è anche una cacciatrice infallibile: punge ragni minuscoli, li paralizza e li mura vivi insieme alle uova. Prima della metamorfosi le larve sono carnivore e voraci. Hanno bisogno di crescere forti: come lei dovranno costruire vasi dove deporre uova. E come lei non vedranno nascere la progenie. Dopo avere sigillato il vaso voleranno verso il tramonto. La vespa vasaio vive per essere madre. Una volta assolto il compito, muore. Non serve che qualcuno le dica cosa fare e come farlo. Lo sa e basta.»

T. L: Penelope Altamura è un’altra significativa protagonista femminile del tuo romanzo: è cresciuta avendo paura della sua “brava madre” e dei mostri che quest’ultima accoglieva in casa, assorbendo il linguaggio quotidiano della violenza e dei soprusi, e diventando, così, a sua volta, una carnefice. Possiamo non considerarla tale, visto che le sue azioni sono finalizzate comunque a salvaguardare dei poveri innocenti? In che modo i due aspetti di vittima e carnefice si espletano in questo personaggio?

E. C: Penelope è nata in un ghetto, dove la vita non ha valore, dove donne e bambini vengono trattati come oggetti da usare e sfruttare. Dove accoltellamenti e sparatorie sono all’ordine del giorno. Un posto in cui non si invecchia: se non muori per overdose, te ne vai in un lago di sangue.

Aveva solo una scelta: continuare a essere una vittima o trasformarsi in un carnefice. E ha scelto, senza voltarsi indietro.

Lascio al lettore ogni tipo di valutazione sul suo comportamento, sicura che Penelope saprà farsi amare!

T. L: Una brava madre è un romanzo su buio, sofferenze e segreti.  Ma c’è anche una luce, che a mio avviso è rappresentata dal mondo della cultura a cui si dedica nel proprio lavoro Fabrizio. Mi domando quindi: in che modo la cultura contribuire a salvarci dal buio, dal male?

E. C: Le storie degli altri parlano di noi. È grazie ai romanzi che ci rendiamo conto di non essere soli nelle nostre riflessioni. Non siamo i primi a soffrire, né gli ultimi a lottare: la disperazione che ci tormenta ha già mietuto vittime e continuerà a farlo, così come continuerà a salvarci quella spinta alla sopravvivenza che definiamo speranza. Nulla si inventa in fatto di emozioni. Per scoprire chi siamo è sufficiente aprire un libro.

T. L: Restando in tema di cultura, mentre Giorgia cerca di svelare l’enigma che si cela dietro la ‘mappa della verità’ disegnata da Fabrizio, nella biblioteca di quest’ultimo si imbatte in una serie di romanzi e autori capitali nella storia della letteratura (Il conte di Montecristo o Il vecchio e il mare, tanto per citarne un paio). I tuoi scrittori di riferimento coincidono con quelli citati nel testo? E in ambito thriller, chi reputi i tuoi maestri?

E. C: Leggo di tutto, senza una preferenza di genere. Le mie letture sono dettate dallo stato d’animo e inizio sempre un nuovo libro prima di finire quello in corso. Sono tanti gli scrittori che apprezzo. Alcuni li sento più vicini a me come stile, altri li ammiro per la capacità di tenere alta l’attenzione, altri ancora per la maestria con cui tessono la trama. Da ogni libro ho imparato qualcosa, nel bene e nel male. Come sosteneva Plinio il Vecchio: “Non c’è libro tanto cattivo che in qualche sua parte non possa giovare”.

T. L: Prima di salutarci, quale messaggio o augurio vuoi lasciare i lettori di Thriller life?

E. C: Che sofferenza e felicità non sono incompatibili, la sofferenza è qualcosa di più intimo della felicità. Spesso è l’origine dei sogni. La scintilla che ci permette di costruire sulle macerie. Per questo non bisogna mai smettere di lottare per ciò in cui crediamo: l’amore, la verità, la luce in fondo al tunnel, la speranza per un futuro migliore.

Grazie mille a Elisabetta Cametti

a cura di Federica Cervini, Rosaria Sorgato e Elide Stagnetti

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