Alessandro Carlini

Alessandro Carlini
Alessandro Carlini Ph. © Serena Campanini 2019

Alessandro Carlini (1976, Ferrara), giornalista e scrittore, lavora per lAgenzia Ansa e collabora con il settimanale svizzero La Domenica.

Si è occupato soprattutto di politica estera, cultura, spettacoli ed economia in diversi Paesi, fra cui Gran Bretagna, Irlanda, Stati Uniti, Francia e Israele.

Ha pubblicato il romanzo di ambientazione storica Partigiano in camicia nera (Chiarelettere, 2017), vincitore del Premio Città di Como Opera Prima e del Premio Carver.

Ha scritto per alcune riviste letterarie, fra cui Passaporto Nansen e Il corsaro nero.

Alessandro Carlini, legato alla tradizione locale ma proiettato anche verso modelli americani (principalmente verso Ellroy e Capote), osa proseguire oltre l’analisi di un mondo partigiano deluso da una rinascita del Paese promessa, ma non realizzata e il rifiuto della società “nuova” che sfocia nell’adesione alla criminalità.

Attraverso i suoi romanzi, narra di vicende e aspetti ancor oggi poco chiare, circondate da aloni di misteri dove affondano le radici di quell’Italia democratica in cui viviamo oggi; anni cruenti e orribili, dal 1943 al 1945, per molti decenni tenuti all’oscuro e mai definiti col nome più appropriato: guerra civile.

Il suo ultimo romanzo si intitola  Il nome del male (2022) ed è il seguito di Gli sciacalli (2021), proposto al Premio Strega. Entrambi sono pubblicati da Newton Compton.

Il nome del male lo abbiamo recensito QUI

Alessandro Carlini ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune nostre domande.

1. Il tuo sostituto procuratore, Aldo Marano, (figura complessa e tormentata, un figlio di quei tempi malati che “non crede al Diavolo, ma al male incarnato dagli uomini”) è ispirato al magistrato Antonio Buono. Quanto c’è di reale (considerato che hai avuto a disposizione, oltre alla testimonianza diretta della figlia Rosa, anche un memoriale inedito, scritto tra il ’45 ed il ’47,  firmato dal magistrato stesso), quanto di fiction, e quanto c’è di tuo (se c’è) come Alessandro Carlini?

Aldo Marano somiglia in molti aspetti, anche fisici, ad Antonio Buono.

Come il giudice scomparso nel 1988 è di origine irpina e si ritrova un po’ sperduto in una realtà di provincia del Nord Italia sconvolta dalla guerra civile e da un Dopoguerra in cui molti conti devono essere ancora regolati.

Il magistrato protagonista dei miei romanzi cerca di opporre la legge e il buon senso alla convulsa realtà cui assiste, con modi che ricordano molto quanto scritto nelle memorie di Buono e nei suoi documenti.

I caratteri dei due sono simili ma non identici, in quanto nella costruzione del personaggio ho anche inserito aspetti del tutto originali e perfino personali.

Marano appartiene a un’altra epoca ma è alle prese con grandi interrogativi, misteri ed enigmi senza tempo, come il conflitto fra bene e male, che possiamo ritrovare da Dante fino alla fortunata serie televisiva ‘True Detective’ (prima stagione, con Matthew McConaughey per capirci), alla quale mi sono ispirato per realizzare ‘Il nome del male’. 

2. Ferrara, palcoscenico della tua narrazione. Non quella Ferrara, città delle biciclette, aperta e solare che è nel nostro immaginario collettivo odierno, bensì una città distrutta, materialmente ma soprattutto moralmente, dagli anni del nazifascismo; un “microcosmo” oscuro e impenetrabile (come le sue nebbie), fatto di menzogne, violenza, tanta vendetta, e poca giustizia.  Come ti sei trovato, da ferrarese, alle prese con la storia della tua città?

E’ una storia complessa, dolorosa, inquietante.

Basti pensare ai tanti eccidi nazifascisti, a partire da quello del Castello, narrato dal grande Giorgio Bassani in ‘Una notte del ‘43’.

Ma la violenza messa in circolo dal regime di Mussolini è proseguita anche dopo con la strage del carcere di Piangipane, compiuta nel giugno 1945 dalla cosiddetta banda della 1100 (formata da finti partigiani ed ex fascisti), che ricorre nei miei romanzi noir, ben rappresentata da quella Fiat nera che terrorizza i ferraresi nella primavera-estate del 1945.

Una banda dagli aspetti eversivi, che si possono ritrovare molto più avanti nella storia italiana come con la banda della Magliana e quella della Uno bianca.

Ferrara, in particolare, si presta perfettamente a una ambientazione noir: fra quelle vie medievali, avvolte dalla nebbia, descrivibile in mille modi diversi nonostante appaia come una distesa bianca capace di coprire crimini e misfatti.

Ma prima o poi, si spera, un po’ di sole tornerà a splendere. Aldo Marano crede, o forse si illude, che la legge possa servire per “illuminare” laddove le brume degli uomini celano la verità. 

3. Il tuo amore per la storia ha una forte e importante origine familiare. È stato tuo nonno materno a trasmetterti questa passione, raccontandoti, fin da bambino, le vicende vissute durante la Seconda Guerra Mondiale. Quanto è importante per te il valore della memoria, specie per le future generazioni che non potranno “godere” della testimonianza diretta di parenti stretti?

La storia è una bussola fondamentale per muoversi nel mondo. Basta pensare alla guerra in corso in Ucraina: è un conflitto basato su quanto accaduto nel secolo scorso, un secolo forse mai finito. C’è una frase di Guido Ceronetti che mi affascina e inquieta: “La Prima guerra mondiale non è mai finita e sta ancora continuando”.

La guerra escatologica, che doveva metter fine a tutte le guerre, ne ha generate a profusione e ancora i suoi parti mostruosi non si arrestano sfornando nuovi incubi, i nostri.

Tutti quindi siamo, in un qualche modo, sopravvissuti, reduci, combattenti, vittime.

E per questo dobbiamo essere custodi di memoria, che questa derivi da una fonte diretta ma anche indiretta, come un libro.

La storia torna sempre a bussare alla nostra porta ed è meglio essere preparati. 

4. Dai racconti di aneddoti familiari alla scelta di scrivere romanzi storici; un genere attualmente molto discusso in Italia e che divide, tra chi lo considera nella narrativa di consumo e chi di qualità. Senza alcun dubbio è un genere che non lascia molto spazio all’improvvisazione “artistica”, anzi, richiede un attento studio delle fonti (che vanno ben selezionate) e ricerche molto approfondite. Come sei giunto a questo passaggio?

Nel mio caso faccio una ricerca di base che si avvicina a quella del saggio storico ma questo è solo il punto di partenza per creare poi la struttura narrativa in cui invece la fantasia decide.

Del resto, il romanzo è cambiato da tempo, è sempre più ibrido, e spesso scompare la differenza col saggio.

Come afferma Pier Paolo Pasolini, “ci sono segreti che si possono dire solo trovando le parole giuste e una storia per raccontarli“.

E come sappiamo la storia d’Italia è piena di segreti e molti si raccontano meglio con un romanzo, superando i vincoli imposti dal saggio e non solo quelli… 

5. Al tuo genere storico non fai mancare la giusta nota di giallo, tant’è che alla tua persona vengono attribuite affermazioni delle quali altro non puoi che andarne fiero: enigmatico come Camilleri; oscuro come Lucarelli.  Una componente dettata da una passione per gli intrighi o, semplicemente, una necessità narrativa?

Parto dall’idea che la realtà supera spesso la finzione.

E dietro i vecchi documenti dattiloscritti si trovano intrighi e complotti che devono però emergere in una forma narrativa, quasi rimessi in fila secondo un ordine o anche disordine che esiste nella mente dell’autore. In generale poi, molta della curiosità sulla storia si basa su intrighi e complotti che spesso conosciamo, perfino quando si parla di fantascienza e ucronia e quindi si altera la stessa storia.

Due casi su tutti: il romanzo ‘22/11/’63’ del genio del thriller Stephen King, sull’assassinio di Jfk e la possibilità virtuale di evitarlo grazie a un viaggiatore del tempo, e l’altro è ‘La svastica sul sole’ di Philip K. Dick, o meglio il titolo più fedele all’originale quindi ‘L’uomo nell’alto castello’, in cui si piomba in un terribile universo parallelo con la Germania nazista e l’impero giapponese usciti vincitori dalla Seconda guerra mondiale.  

  1. Tu credi nel ruolo di “supplenza” della narrativa rispetto alla cronaca storica, dove questa è fallace, o addirittura inesistente? Insomma, la conoscenza della storia, anche tramite romanzi come i tuoi, crea coscienza critica in tutti noi lettori?

La speranza è che aprendo un libro si apra anche la mente.

La narrativa offre di sicuro la possibilità di cogliere aspetti fondamentali che la cronaca storica può non approfondire perché ad esempio mancano le fonti.

Diciamo che alla fine sono due modi diversi di raccontare, interdipendenti, come si è visto sia nell’evoluzione della narrativa che della saggistica storica divulgativa. 

7. E, Aldo Marano? Lo rincontreremo? Sempre su carta o magari in una fiction televisiva?

Spero proprio di sì. Il personaggio lo chiede, diciamo così.

L’idea sarebbe di realizzare uno trilogia ferrarese sulle sue avventure, quindi dopo ‘Gli sciacalli’ e ‘Il nome del male’ si potrebbe pensare a un terzo capitolo.

Anzi, lo dico chiaramente, ci sto più che pensando! Per la fiction, sarebbe un sogno. Già la mia scrittura presenta di sicuro forti influssi di serie tv e film.

  1. Se dovessi indicare tre parole che ti rappresentano, quali sceglieresti?

Resistente, caparbio, umile. 

  1. Se dovessi scegliere tre cose di cui non potresti mai fare a meno, ovviamente escludendo la scrittura, quali sarebbero?

La mia piastrina al collo col titolo della poesia ‘Invictus’, il mio angolo di libri, le montagne.

10. Prima di salutarci che messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai  nostri lettori?

Molto semplice: cercate gli autori che sentono la necessità di raccontare una storia non che devono scriverne una per occupare un posto in classifica. 

ThrillerLife ringrazia Alessandro Carlini

a cura di La Lettrice Sovrana

Condividi questo articolo:

Potrebbero interessarti anche: