Alessandra Morelli vive a Terni insieme al marito, il figlio, tre cani e sei gatti.
Avvocato in pausa di riflessione, appassionata lettrice, scribacchina per diletto.
Nel 2011 è diventata mamma di un bambino arrivato dalla Russia siberiana di nome Andrej, al quale è dedicato il libro Quello che siamo noi.
Gestisce la pagina Letture Maldestre attiva su Facebook e Instagram ed è co-fondatrice del Club del libro – Via col libro, in cui condivide le letture che ama.
Quello che siamo noi è il suo romanzo d’esordio.
QUI puoi leggere la nostra recensione.
Inclusione, accettazione del diverso, infanzie violate e il difficile percorso adottivo sono al centro della sua narrazione che diventa messaggio per smuovere le coscienze e sensibilizzare i lettori a questi temi di forte impatto umano.
“ Un new adult inteso e viscerale.
Tre ragazzi accomunati dalla stesso paese d’origine, la Russia.
L’Italia come patria d’adozione.
Un incontro fortuito, ma quasi inevitabile.
Nuovi legami d’amore e amicizia, forti e indissolubili, veramente capaci di cambiare la vita, per sempre. ” Ilaria Bernini
Alessandra Morelli ha gentilmente accettato di rispondere alle nostre domande
1. La tecnica giapponese del Kintsugi, che riconosce la bellezza in un oggetto frantumato, è una metafora potente della tenacia e della resilienza insita in tutti noi; siamo il risultato di mille crepe, ferite profonde che ci definiscono come individui unici. Se fossi un vaso, quale sarebbe il tuo aspetto?
Non ci ho mai pensato, ma mi vedrei come una bella anfora panciuta che può accogliere tanto vino. Avrei due lunghe crepe che mi attraversano e si incrociano, e tante più piccole, disseminate un po’ ovunque e qualche sbeccatura.
Sarei un vaso spennellato quasi completamente d’oro, colpa della mia sensibilità che mi ha reso piuttosto fragile, soprattutto quando ero più giovane.
2. Katerina, Natalia, Andrej, protagonisti di Quello che siamo noi, sono figli adottivi. L’amore, la tenacia, il coraggio che sta dietro un atto di dedizione assoluta come l’adozione, tu li conosci bene.
Il percorso psicologico che si affronta passa attraverso varie fasi e viene definito elaborazione del lutto della sterilità.
Per chi affronta questo cammino ogni incoraggiamento è prezioso, avresti qualche consiglio e anche qualche sconsiglio?
Le parole magiche sono due.
La prima è “pazienza”.
A me ne è servita tanta durante il disbrigo delle pratiche, la presentazione delle domande ai tribunali, l’attesa, la permanenza all’estero, la risoluzione di intoppi burocratici.
Ne è servita altrettanta dopo, quando quel figlio tanto desiderato è arrivato finalmente a casa, perché prima di essere veramente una famiglia il nostro percorso è stato pieno di insidie. Dobbiamo sempre tenere a mente che diventiamo genitori di bambini che, per quanto piccoli, sono già strutturati, hanno il loro vissuto e non è semplice capirsi, comprendersi, ci vuole tenacia.
La seconda è “fiducia”.
Il percorso adottivo è un labirinto. Solamente fidandosi di chi ci indica la strada andrà tutto come deve.
3. L’orrore dell’infanzia violata, una tematica che purtroppo non smette di essere attuale. Non è semplice trattarla in un romanzo, eppure io penso sia doveroso parlarne, appena si può, quando si può.
Per tenere viva l’attenzione su questo crimine veramente mostruoso, che ha conseguenze sempre terribili sulle vittime.
Il romanzo come strumento di denuncia.
Quanto può smuovere le coscienze?
Quali sono attualmente i canali informativi più efficaci secondo Alessandra Morelli?
Vorrei premettere che mentre scrivevo la storia di Katerina, Natalia e Andrej ero profondamente arrabbiata.
Pensavo al mio bambino appena arrivato, al suo passato difficile, alla società in cui lo stavo inserendo che voleva inquadrarlo e mettergli un’etichetta, alla superficialità con cui siamo stati apostrofati più volte, all’incompetenza di chi doveva e poteva aiutarci, e credo che tutto questo malessere trapeli in qualche modo tra le righe.
Credo fortemente che un romanzo possa essere uno dei validi veicoli per smuovere le coscienze su temi d’impatto.
Quello che desideravo per “Quello che siamo noi” è che diffondesse un messaggio e valori precisi, e anche leggendo la vostra splendida recensione ne ho avuto conferma.
Non mi interessava sapere se il romanzo fosse bello o meno, scritto bene o male, speravo smuovesse le coscienze, che le illuminasse, almeno quelle più sensibili.
Sono assolutamente convinta che una storia svolga appieno la sua funzione proprio quando riesce a compiere questa rivoluzione, anche solo per una persona sola.
4. Andrej non è solo il nome del protagonista maschile del romanzo.
Andrej è anche il nome di tuo figlio.
La dolcissima dedica di una mamma per il suo “figlio della steppa” e anche un messaggio personale? Oppure un’espediente catartico?
Mi piace pensare che “Quello che siamo noi” è la sua eredità spirituale.
Spero che un giorno, quando Andrej sarà abbastanza grande, legga il romanzo e sappia, una volta di più, quanto è stato desiderato e amato.
5. Droga, violenza, disturbi mentali. Spie di un disagio giovanile sempre più diffuso.
Ne parli nel tuo romanzo anche in maniera cruda.
Quanto è difficile crescere oggi? In una società dell’apparenza, che ci vorrebbe tutti “super”?
Credo sia difficile, a prescindere dalla storia che abbiamo alle spalle, ma devo ammettere che recentemente sono diventata più ottimista.
Mio figlio ha ancora 11 anni e si sta affacciando adesso nel periodo “terribile” dell’adolescenza, e come mamma ho mille paure e mille preoccupazioni; eppure, di generazione in generazione, i giovani ce l’hanno sempre fatta, non hanno perduto il contatto coi valori importanti, sono molto più tolleranti e accoglienti di noi adulti, non danno peso alle differenze, anzi, sono portatori delle loro unicità.
Trovo che sia straordinario.
Quello che, naturalmente, mi auguro è che coltivino con passione questa tendenza.
E secondo me siamo sulla buona strada.
6. “ La famiglia è un cerchio che diventa un cuore” scrive Rita Charbonnier.
Con Quello che siamo noi si è chiuso in qualche modo un cerchio per Alessandra Morelli?
Mai citazione fu più vera.
La famiglia è il nucleo in cui possiamo esprimerci per quello che siamo realmente, per questo è un cuore, per questo è amore.
Per quanto mi riguarda devo ammettere che sì, con questa storia ho davvero chiuso un cerchio importante, ho archiviato, se così si può dire, le mie paure di mamma.
La pubblicazione mi ha in un certo senso liberata di un peso.
Ho capito che è possibile parlare di cose scomode, l’importante è farlo nel modo giusto.
Ringrazio a questo proposito il mio editore, Gianni La Corte, per avermi dato questa grande opportunità.
7. I tuoi “ragazzi” arrivano dalla Russia.
Il mio pensiero corre immediato alla drammaticità della situazione attuale.
Quanto inciderà il conflitto sulle adozioni internazionali dei bambini provenienti dalle zone di guerra?
Le adozioni in Federazione Russa hanno subito pesanti battute d’arresto nel corso degli ultimi anni e la guerra ha sicuramente reso più difficoltoso accedervi.
So che ci sono famiglie che stanno aspettando di partire e concludere le adozioni in corso e quello che auspico è che gli Enti che lavorano in questo settore riescano a trovare la strada per continuare ad agire in sicurezza e nel rispetto dei bisogni dei minori.
Nessun bambino ha diritto di essere abbandonato due volte e scontare colpe che non gli appartengono.
- Se dovessi indicare tre parole che ti rappresentano, quali sceglieresti?
Intendete tre parole che indichino delle qualità? Ce l’ho: resiliente, paziente, generosa. Soprattutto non spreco energie per battaglie inutili, sono assolutamente orientata alla pace.
- Se dovessi scegliere tre cose di cui non potresti mai fare a meno, ovviamente escludendo la scrittura, quali sarebbero?
Non potrei rinunciare ai miei Traveller’s Notebook, i taccuini di viaggio giapponesi su cui appunto ogni cosa che mi passa per la testa, un succulento piatto di tortellini in brodo il giorno di Natale, e, per ricordarmi sempre qual è il motore della mia vita, il mio anello di fidanzamento.
- Prima di salutarci che messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?
Grazie per questa possibilità che colgo volentieri e a modo mio.
Sono un po’ lapidaria, ma se potete, sforzatevi di non giudicare.
Non abbiate paura di chi è diverso, apritevi al dialogo e alla condivisione.
Abbiamo bisogni di stringerci e stare più vicini, in senso spirituale.
E poi siate felici, perché la felicità ci ammorbidisce e ci rende migliori.
ThrillerLife ringrazia Alessandra Morelli
a cura di Patty Pici e Ilaria Bernini