Daniele Furia nasce nel 1976 in provincia di Verona. Con un passato da frontman della rock band Younger Son con la quale ha pubblicato tre album, è appassionato di musica, cinema noir e fumetti pulp. Si dedica alla scrittura nelle ore notturne, tanto da aver dato vita a cinque romanzi e diversi racconti pubblicati su Rivista Letteraria. Sfrutta il periodo del lockdown per lavorare al suo sesto romanzo, Il gioco delle maschere, pubblicato da Mondadori a febbraio di quest’anno: un thriller dal ritmo serrato, ambientato durante il Carnevale di Verona, del quale potete trovare QUI la nostra recensione.
L’importante lavoro di documentazione sulle origini del Baccanale sono fondamentali per la trama, che si avvale di una costruzione ben strutturata e personaggi fortemente caratterizzati. Verona è la grande protagonista di una storia che, seppur inserita in un contesto goliardico, punta a mostrare l’altra faccia della medaglia: quella misteriosa, nascosta nell’ombra e decisamente più inquietante.
Daniele Furia ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune nostre domande.
Per un bambino nato e cresciuto a Verona, il Baccanale è innanzitutto (e necessariamente) un ricordo d’infanzia, un tuffo nostalgico nel proprio passato. Che rapporto aveva il Daniele bambino col Carnevale? C’è un ricordo che vuoi condividere con noi lettori e che magari hai riportato, in chiave romanzata, nel tuo libro?
Sinceramente ho sempre odiato il Carnevale.
Da piccolo ero affascinato dai travestimenti, dall’idea di nascondere la propria identità dietro una maschera, ma in qualche modo il Bacanàl mi ha sempre inquietato. Certo, per noi bambini era l’occasione di fare festa; per un giorno si saltava la scuola e si andava a vedere la sfilata dei carri, poi si mangiavano gli gnocchi… però nella confusione e nella calca avvertivo anche una certa violenza. Una forma di energia primitiva che agitava la folla, come una pazzia collettiva che mi spaventava.
Forse le mie impressioni si sono alterate nel tempo. Non lo so, è possibile che allora non facessi troppo caso a queste cose, oppure che non dessi loro lo stesso valore di oggi. Di sicuro conservo un’immagine molto vivida che devo aver visto da bambino e che mi ha ispirato, anche se non si ritrova direttamente nel romanzo.
Ricordo di essere passato davanti a una piazza San Zeno completamente deserta, qualche giorno dopo la fine del carnevale. Probabilmente ero in compagnia di mio nonno. Ricordo le cartacce a terra e gli stand vuoti, e di aver provato un senso di straniamento e di abbandono. L’atmosfera del carnevale si era già dissolta, ritirata di colpo nel rigore della quaresima.
Nel Gioco della Maschere questa scena non c’è; non può esserci, perché si svolgerebbe dopo la sfilata dei carri, quando la vicenda del romanzo è già conclusa. Ma quel ricordo mi è tornato in mente mentre scrivevo un dialogo tra la protagonista Miriam e la sua migliore amica. Un dialogo che parla proprio di ricordi d’infanzia.
Il Carnevale è uno spettacolo da sempre ambivalente. Chiassoso, colorato e certamente allegro, ma anche misterioso, sinistro e inquietante. Un’ambivalenza perfetta per un buon thriller come Il gioco delle maschere. Attorno a quale visione del Baccanale è nato il libro, e che tipo di evoluzione hai seguito per arrivare alla stesura finale?
Quando ho iniziato a mettere insieme le idee per lavorare su questo progetto accarezzavo un immaginario alla Eyes Wide Shut: un mondo di figure eleganti e sinistre che scivolavano silenziose nell’ombra. Poi mi sono messo a studiare il Carnevale di Verona, le sue origini e le sue tradizioni. Il Bacanàl del Gnoco è diverso, è più grottesco, somiglia più a un quadro di Bosch che a una sfilata di maschere veneziane.
Sfogliando i libri che ne parlano (ovviamente senza il rigore dello storico, che non so nemmeno dove stia di casa) mi sono immerso nelle stampe antiche, nelle incisioni e nei dipinti medievali che illustrano i riti del Carnevale nel corso dei secoli. Mi è bastato lasciarmi suggestionare da quelle immagini.
Nella tua scrittura c’è una forte adesione ai “tuoi” luoghi, come se per te non fossero semplicemente le quinte di una scena. In questo caso, infatti, la città di Verona sembra diventare quasi protagonista, insieme alle sue maschere. E’ un’interpretazione corretta?
Sì. Hai centrato perfettamente.
Miriam Sannino è un personaggio in cui è facile immedesimarsi, soprattutto se si è una donna. Sul lavoro è una viceispettrice competente, diffidente quanto basta e, all’occorrenza, testarda. Tra le mura di casa, però, si trasforma in una persona ferita, profondamente irrisolta e molto sola.
Com’è nata Miriam? E’ un personaggio completamente inventato o c’è qualcosa di “reale” in lei? Possiamo augurarci uno sviluppo del personaggio (come poliziotta e come donna) in futuro?
È nata così, come si presenta, con un primo approccio molto duro, perfino ostile. È il personaggio che “mi serviva” per un romanzo come questo; un carattere spigoloso, insofferente ai compromessi, determinato a portare a termine il proprio lavoro e capace di gettarsi nell’azione senza riflettere troppo.
Poi, con il passare tempo, ha iniziato a mostrarmi anche il suo lato più sensibile, svelandosi quel tanto che basta per farmi intuire la sua natura malinconica e le sue ferite (non solo fisiche). Ma devo dire che seguendo il consiglio del mio amico Massimiliano Pistonesi, ho iniziato a capirla veramente solo quando ho sentito che musica ascolta quando si trova da sola.
Se nelle contraddizioni di Miriam ci sia qualcosa di mio, di qualcuno di reale che ho conosciuto, o piuttosto di tutti, per me è meno interessante che chiedermi come farà a risolverle. Come potrà trovare un equilibrio, ricomponendo una pace interiore che le permetta di affrontare il futuro. A me piacerebbe continuare a seguire la sua storia, anche se forse lei preferirebbe essere lasciata in pace.
Per scrivere il tuo primo thriller hai dichiarato di esserti completamente immerso nelle atmosfere oscure, livide, quasi horror, di film come Seven o Saw, L’enigmista, determinato a dimostrarci (con grande successo) che anche la Provincia italiana si presta a storie altrettanto crude e inquietanti. I fatti su cui si basa il romanzo sono tutti frutto di fantasia, o hai preso qualche spunto dalle vicende di cronaca nera?
Faccio una breve premessa solo per chiarire che scrivo da parecchio tempo (non essendo più un giovinetto) e che il Gioco delle Maschere non è esattamente il mio primo romanzo, anche se è il primo a essere pubblicato.
Venendo ai fatti su cui si basa, posso assicurare che sono tutti puramente inventati. Quello che invece è reale è l’inestricabile trama di criminalità che anima il sottobosco delle storie che mi piace scrivere.
Il tema della maschera, che mescola e confonde realtà e finzione, può essere letto a più livelli e innescare una riflessione sulla valenza dei rapporti umani in un mondo, quello attuale, in cui ognuno di noi porta una o più maschere, soprattutto sui social, di cui stiamo diventando più schiavi che fruitori. Che pensieri hai al riguardo?
Penso che dietro a molte maschere si nasconda un vuoto spaventoso. Nella terza serie di Twin Peaks c’è una sequenza agghiacciante in cui la madre di Laura Palmer si “toglie” la faccia rivelando quello che si cela all’interno. Anche se non riesco a comprenderla fino in fondo e a capirne tutti i significati, è una di quelle scene a cui ripenso spesso.
Il genere giallo ha la tendenza a prestarsi alla serialità. Possiamo aspettarci nuovi progetti nel breve termine?
Come ho risposto anche prima, a me piacerebbe riprendere la storia di Miriam. Spero di avere la possibilità di farlo.
Se dovessi indicare tre parole che ti rappresentano, quali sarebbero?
Sai che non potevi farmi una domanda più difficile? Comunque ci provo… Curioso. Poi, direi, metodico. Ehm, vediamo… Devono proprio essere tre?
Se dovessi scegliere tre cose di cui non potresti mai fare a meno, ovviamente escludendo la scrittura, quali sarebbero?
Ah, questa è più facile. La musica. Il cinema. E poi ho anche una vita privata, di cui non mi piace parlare, ma che per me è più importante di tutto il resto.
Prima di salutarci e anzi, proprio per inaugurare un saluto di eccezione, che messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?
Stiamo attraversando un periodo terribile. Trovare un momento di serenità e di evasione è quantomai necessario per non lasciarci abbattere dalle notizie che purtroppo ci assalgono ogni giorno. Auguro a tutti che qualche lettura piacevole e spensierata possa accompagnarci verso tempi migliori.
ThrillerLife ringrazia Daniele Furia
a cura di Ilaria Bernini e Nina Palazzini