Sandrone Dazieri una vita da anarchico

Sandrone Dazieri

Sandrone Dazieri nato a Cremona nel 1964 è uno dei maggiori interpreti del Noir italiano.

Inventore della serie di culto del Gorilla, ha pubblicato la Trilogia del Padre tradotta in più di venticinque Paesi.

Dopo la maturità professionale frequenta la facoltà di Scienze Politiche a Milano dove viene in contatto con il movimento dei centri sociali, soprattutto con il Centro sociale Leoncavallo, di cui diventa un attivista.

Nel 1989 è diventato a pieno titolo giornalista, collaborando anche con la RAI

Ambientalista e pacifista nel 1992 si avvicina all’editoria come correttore di bozze nel service editoriale Telepress, di cui, cinque anni dopo, è nominato direttore a Milano.

Nel frattempo diventa giornalista pubblicista e collabora per cinque anni con «il Manifesto» come esperto di controculture e narrativa di genere. 
Nel 1999 pubblica il suo primo romanzo Noir, Attenti al Gorilla, per il Giallo Mondadori: il rapporto con la casa editrice si approfondisce sino alla nomina a responsabile dei Gialli Mondadori prima, di tutto il comparto dei libri per edicola poi. 

Come sceneggiatore ha scritto La cura del Gorilla, tratto dal suo secondo romanzo e interpretato nel 2006 da Claudio Bisio, L’ultima BattutaUn gioco da ragazze (con Teresa Ciabatti), ed è stato per due anni story editor per Colorado Film

Nel maggio 2014 esce Uccidi il padre, un thriller con protagonista la poliziotta Colomba Caselli.

Sempre dello stesso anno è I semi del male, scritto con Carlo Bonini, Giancarlo De Cataldo, Marcello Fois, Bruno Morchio ed Enrico Pandiani.
Nel novembre 2016 Mondadori pubblica L’angelo un nuovo romanzo giallo con i personaggi di Dante e Colomba.

Il suo ultimo e attesissimo thriller Il male che gli uomini fanno è uscito per Harper Collins nell’Ottobre 2022

La straordinaria capacità descrittiva dei personaggi, lo scandagliare nella loro psiche, siano essi vittime o carnefici, confermano la fama di Sandrone Dazieri, scrittore affermato ed apprezzato per i suoi fenomenali thriller, in Italia ma anche nel mondo, considerato che i suoi libri sono stati tradotti in diverse lingue.

Roberta ha letto e recensito il libro per Thriller Life QUI

Sandrone Dazieri ha gentilmente risposto alle nostre domande

1. Partendo dal titolo del tuo ultimo libro – Il male che fanno gli uomini – viene naturale chiederti quale valenza abbia per te il Male.

Credo che tutti si interroghino sulla natura del Male.

Da bambini, quando ci capita qualcosa di brutto, ci chiediamo il perché. Crescendo, scopriamo che anche noi siamo in grado di fare del male agli altri, e che spesso lo facciamo senza accorgerci. Poi, da adulti, le cose cambiano.

Molti di noi, la maggior parte, smettono di interrogarsi e di guardarsi dentro, filosofi, preti e scrittori di thriller continuano a farlo (o dovrebbero). 

Nella mia categoria, quello che si capisce scrivendo di persone terribili e di fatti orribili è che il male non è un’entità metafisica, ma un “bug” che tutti portiamo dentro.

Tra noi e il nostro vicino di casa assassino l’unica differenza è che noi quel bug lo abbiamo tenuto a bada, perché abbiamo avuto un’infanzia migliore, un’educazione migliore, o semplicemente per fortuna.

Quello che ho imparato scrivendo questo romanzo è che il Male si comporta come un virus, che se non si cura si moltiplica: la vittima diventa carnefice, chi ha subito un’ingiustizia diventa ingiusto e così via.

A differenza di quello che si dice a Catechismo, non basta NON fare il Male, occorre, quando possibile, cercare di fermarlo.

2. Questa storia ha un respiro ampio che abbraccia un periodo di Trent’anni. Fare in modo che tutto torni alla perfezione non è facile. Costruire questo romanzo è stata una sfida? Quali altre sfide possiamo aspettarci?

Tutti i romanzi che scrivo sono per me una sfida.

Cerco sempre di fare qualcosa che non ho fatto in precedenza, di imparare nuovi trucchi e nuovi modi di raccontare una storia.

Poi, quando mi trovo in mezzo al guado, mi maledico perché scopro di dover trovare nuovi strumenti per fare quello che avevo deciso di fare e non so bene quali siano.

Un po’ come uno scultore che passa dalla creta al marmo e scopre di dover comprare uno scalpello più resistente, o un martello più pesante e nuove tecniche per utilizzarlo.

Il vantaggio è che chi mi legge non si trova mai di fronte a una fotocopia del romanzo precedente. Lo svantaggio è che non sa mai quando arriverà questo romanzo, perché a volte mi serve tempo per imparare.

Come nel caso del Male, di cui per un anno ho scritto, cancellato e riscritto le prime cento pagine. Ogni volta non mi sembravano dire quello che volevo dire nel modo che volevo dire. 

3. Spesso il mondo interiore dell’autore si trasferisce in modo osmotico dalla penna alla carta. Itala Caruso, la poliziotta del nuovo romanzo, ha un corrispettivo personale? 

Tutto quello che esce dalla mia testa in qualche modo ha un corrispettivo personale.

I personaggi sono tutti pezzi di me, a volte sono i “me” di un mondo parallelo dove sono nato donna o divenuto un assassino. 

Itala in realtà è un po’ me e un po’ mia madre, credo.

Come Itala, anche mia madre è rimasta vedova presto e ha avuto problemi con suo figlio.

4. La scrittura rappresenta per te un esercizio catartico per vivere meglio?

No.

Probabilmente mi ha salvato dall’indigenza e dalla galera, ma non credo che mi abbia fatto vivere meglio, perché passo lunghi periodi chiuso in me stesso, a rimuginare e staccarmi dal mondo reale, a chiudermi dagli altri esseri umani, anche dagli affetti.

E’ anche vero che per tutta la vita sono stato troppo anarchico (qualcuno mi ha definito punk) per poter fare un lavoro d’ufficio.  

5. I personaggi più imperfetti, più umani come Itala e Gerry, sono in assoluto i preferiti dai lettori. Inutile dirti che i tuoi lettori si sono già affezionati a loro. Hai pensato a dar loro un seguito?

Quando scrivo un romanzo non penso mai a un eventuale seguito, o un film eccetera.

Mi sembra di barare.

Ogni romanzo deve avere la sua storia e la sua degna conclusione, poi devi fare un passo indietro e cercare di capire come gli altri lo hanno percepito, cos’è passato di quello che avevi in testa.

Poi penso a una nuova storia (di solito i frammenti appaiono mentre scrivo la precedente) e mi chiedo chi siano i protagonisti più adatti per portarla a casa.

Personaggi nuovi? I vecchi?

Sono la disperazione del mio agente e dei miei editori, ma non sono ancora abbastanza cinico per progettare una serie con gli stessi personaggi e mettermi economicamente al sicuro contando sull’affezione del pubblico.

O forse non credo di essere in grado di far affezionare davvero i lettori: quando sei stato un disadattato tutta la vita, sei sempre diffidente verso le tue capacità di farti capire.

6. Quali sono le priorità di questa storia? Hai pensato prima di tutto ai personaggi e alla loro credibilità, ai colpi di scena, alle descrizioni, al messaggio sottotraccia o allo stile narrativo?

Prima viene l’idea di un personaggio con un tormento, un problema o una questione da risolvere.

Poi la storia che porta alla conclusione della questione.

Poi lo stile di scrittura, che di solito risolvo dopo numerosi tentativi dei primi capitoli.

Quello cui non penso mai sono il sottotesto o la morale della storia: lascio che siano i lettori a trovarli.

7. Il potere e il modo in cui viene esercitato è un tema che affonda le radici in queste pagine. Alla base il sistema è difettoso. Qual è la genesi di questa disarticolazione sociale che porta alla corruzione?

Il fatto stesso che esista una piramide sociale è la genesi del male.

I poveri vogliono migliorare la propria condizione, i ricchi vogliono mantenerla, i funzionari vogliono diventare capi, i capi aumentare il proprio potere.

L’unico modo per evitare questo gioco è tirarsene fuori, rifiutare il potere personale in cambio di un sistema collaborativo, nella vita come sul lavoro.

Nel mio passato ho avuto ruoli di formale responsabilità (direttore, amministratore delegato, portavoce politico), ma li ho sempre lasciati perché a quei livelli puoi sopravvivere solo quando eserciti il potere per aumentarlo, altrimenti vieni fatto fuori.

Sono in grado di farlo, ma non mi piace, non mi dà soddisfazione. E quando mi trovo a subire un potere “non collaborativo” mi allontano in fretta.

E’ il mio problema, per esempio, con il mondo della televisione, dove lavoro da tanti anni.

Quando un produttore mi chiama per scrivere una storia, sono disponibile a scrivere quello che il produttore vuole, a riscriverlo anche decine di volte finché non è soddisfatto.

Ma dall’altra parte ci deve essere qualcuno che riconosce che so scrivere meglio di lui e che non deve insegnarmi come si tiene in mano una penna.

Purtroppo, alcuni produttori sono abituati a sentirsi dire sempre di sì, e quando li mando all’Inferno non capiscono che sono loro il problema, non io.

Questo ha fatto sì che perdessi un sacco, ma davvero un sacco di soldi, ma almeno ho salvaguardato tutti i progetti che mi sono stati affidati.

Quelli da cui non mi hanno cacciato, ovviamente.

8. Dietro a questa storia, nera come la cronaca, c’è una fonte giornalistica, un fatto reale che l’ha ispirata?

No, o forse sì. Non lo so.

Dentro la mia testa si mescola tutto.

E poi non ho il desiderio di riprendere fatti veri.

Da una parte perché ci sono vittime vere e vera sofferenza, che va rispettata e non usata per vendere qualche copia, e questo è un grosso limite.

Dall’altra parte perché credo che le storie debbano essere universali e possibilmente leggibili anche a distanza di anni.

Sdraiarsi sulla cronaca è un po’ l’opposto. Per me.

9. Quanto influisce il momento storico nella stesura di un testo? Mi riferisco in particolare alla pandemia, periodo claustrofobico che ha direzionato molte penne verso scenari più cupi.

Durante il primo lockdown non ho scritto una riga.

Il mondo esterno per una volta era più interessante di quello “interno”. 

In momenti così, devi osservare e imparare, non creare altro.

Stessa cosa mi è accaduta quando la Russia ha invaso l’Ucraina, complicata dal fatto che avevamo amici in Ucraina e abbiamo temuto per la loro sorte.

Il vero problema di scrivere qualcosa ambientato all’oggi quando è in corso una crisi globale è che non sai come andrà a finire e qualsiasi cosa scrivi sembrerà datata, se non stai attento. 

10. Passando alle domande più leggere, se ti dovessi rappresentare in tre parole, quale sceglieresti?

Difficile, cazzone, amico fedele.  (ok sono quattro).

11. Escludendo la scrittura, quali sarebbero le tre cose di cui non potresti fare a meno?

Escludendo le cose comuni a tutti gli esseri umani (tipo il sesso e i soldi) direi: la musica, la vicinanza delle persone che amo, la libertà di parola

12. Prima di salutarci avresti un augurio o un messaggio da lasciare ai nostri lettori? 

Vi auguro ogni bene e stata alla larga dagli scrittori tromboni: sono deleteri.

Thriller Life ringrazia Sandrone Dazieri per la bellissima intervista

a cura di Roberta Ghirardi e Patty Pici

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