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Uccidere, qualche volta di Rosa Mogliasso

Uccidere, qualche volta

Uccidere, qualche volta

Totò ha diciassette anni, un padre che è sparito nel nulla anni prima, una madre che mantiene entrambi lavorando da parrucchiera.

E Totò ha una testa sopraffina, ama la poesia, capisce la vita, le debolezze degli altri, ma soprattutto è infinitamente curioso e manipolatore, desideroso di uscire dal suo guscio, dalla casa popolare e dal quartiere in cui vive e di misurarsi, finalmente, con il mondo.

Totò è il deus ex machina, in parte involontario, di una vicenda i cui molteplici protagonisti – da Francesca Turchinetti Tratti di Valprina, imprenditrice danarosa, a suo marito Tommaso, detentore dell’imponente cognome e di nient’altro; da Beppe Pinardi, ex operaio ora nullafacente con la scusa di volersi dedicare alla politica, a sua moglie Teresa, fino a Paolo e Martina, due coniugi bellissimi e prestanti, entrambi dediti a quella che viene definita l’attività più vecchia del mondo, gestita con piglio manageriale – hanno in testa un unico obiettivo: la ricerca della felicità, rappresentata per alcuni dai soldi, per altri dalla scoperta di una nuova sessualità.

Un noir elegante, divertente, letterario e popolare insieme – Uccidere, qualche volta – dove spiccano i dialoghi e il taglio cinematografico, l’ironia e la voglia irresistibile del lettore di sapere come andrà a finire.

Storie che si intrecciano in una Torino che – come ha detto De Chirico – “è la città più profonda, più enigmatica, più inquietante non d’Italia ma del mondo”.

RECENSIONE

Se siete in cerca di una dimensione confortevole, nella quale anche il più feroce dei delitti non è in fondo così spaventoso, allora dovete leggere un giallo, uno di quelli classici.

Del resto cosa c’è di meglio di un’antica magione immersa nella nebbia, una biblioteca polverosa e un cadavere ordinatamente accasciato su una poltrona con una sottile macchia di sangue ad imbrattare la camicia, unico segno riconoscibile di una violenza appena accennata?

Si prova un brivido ma restando pur sempre in una sorta di confort zone perché, dopotutto, lo scopo dell’autore è quello di coinvolgere il lettore in un complicato rompicapo, per saggiarne le doti investigative ma senza scuoterne troppo la tranquillità.

Il noir invece pretende di ottenere l’effetto contrario, ovvero destabilizzare il lettore fino a sgretolare completamente quella zona di quiete in cui tutto sembra essere sotto controllo.

La violenza cessa di essere solo uno scenario confuso e diventa il tema dominante, certamente non fine a se stesso ma strumento attraverso il quale raccontare gli aspetti più estremi dell’animo umano.

Nei noir non ci sono mai veri eroi ma solo uomini e donne costretti a fare i conti con le proprie scelte, senza alcuna vera possibilità di redenzione.

Anche quando al termine della storia c’è un lieto fine, sul lettore resta appiccicata come una fanghiglia impossibile da estirpare, la sgradevole sensazione che qualcosa di storto e di irrisolto sia rimasto a gravitare oltre l’ultima pagina.

Allora non resta che mettersi in piedi, uscire di casa e respirare a pieni polmoni l’aria fresca della sera, un vero e proprio bagno nella realtà per convincersi che i meandri foschi, volgari ed estremi raccontati nel libro fossero solo il frutto di una fervida penna con l’inclinazione all’esplorazione dei meandri più sordidi dell’esistenza.

Se è questa la cifra che un noir di qualità deve possedere (ma, intendiamoci, siamo nel campo delle opinioni personali e non dell’assoluto) allora Uccidere, qualche volta di Rosa Mogliasso ha pienamente raggiunto lo scopo.

È difficile dire quali siano le sensazioni che questo romanzo lascia addosso al termine della lettura perché, come sempre in questi casi, si tratta di percezioni intime e autoreferenziali, necessariamente buone solo per il lettore e strettamente correlate ai suoi gusti e propensioni personali.

Così, chi ama soprattutto i gialli di una volta o magari i thriller in cui lo scopo della finzione narrativa è quello di mettere in scena un delitto e la conseguente ricerca della verità, potrebbe ritenere che no, il libro – Uccidere, qualche volta – della Mogliasso non fa per lui.

Tuttavia è sempre affascinante percorrere traiettorie differenti da quelle a cui si è abituati e, anzi, sarebbe grave per un lettore realmente innamorato dei libri lasciare inesplorati temi, stili e generi solo apparentemente inconciliabili con le proprie esigenze emotive o di mero intrattenimento.

Questa lunga premessa è necessaria per offrire ai prossimi lettori del romanzo – Uccidere, qualche volta – una sorta di avvertimento, ma non di quelli che servono a tenere lontani.

Semmai l’invito è a fiondarsi sul libro –Uccidere, qualche volta – senza remore, a patto di essere disposti ad addentrarsi assieme all’autrice negli anfratti non esattamente edificanti di un’umanità gravata da bisogni insoddisfatti e da una sessualità irrisolta che finisce con l’infettare le scelte di tutti i giorni, spingendo al limite, confondendo i ruoli, sradicando le tipiche certezze medio-borghesi, finendo con l’infliggere una lezione forse crudele ma anche necessaria: che dietro l’ostentazione di un’apparente e appagante normalità si celano torbidi inganni, ricatti e meschinità.

Un panorama desolante che svela l’impossibilità di far funzionare la propria vita come si vorrebbe, compressi nell’illusione di uno status quo irto di spine.

Rosa Mogliasso mette in scena un noir atipico e contemporaneo in cui l’atto criminale è solo il mezzo attraverso cui raccontare un mondo, nello specifico quello della provincia torinese, in cui ricchi infelici intrecciano loro malgrado la propria esistenza con i disgraziati della periferia, quelli che farebbero di tutto per possedere denaro e belle auto, inconsapevoli che il bene più prezioso lo possiedono già: la libertà di essere se stessi nella forma più estrema, fosse anche l’esplorazione di pulsioni talmente sopite da non credere di poterle davvero mettere in atto.

Quelle raccontate dalla Mogliasso sono anime tragicomicamente in pena, intrappolate in un girotondo di bugie, recriminazioni, tabù e sortilegi emotivi auto-imposti per salvaguardare almeno le apparenze e che finiscono con lo sgretolarsi quando il demiurgo di turno, un adolescente instradato verso una maturità precoce e filosofeggiante ma non per questo realmente padrone di se stesso e degli eventi che gli accadono attorno, finisce con l’essere l’inconsapevole motore che darà vita ad un meccanismo perverso e crudele che obbligherà tutti i protagonisti del romanzo a fare i conti con il lato di sé che credevano di poter dominare.

Tra scoperte sorprendenti, istinti sopiti per troppo tempo e quindi pronti a deflagrare con eccessiva irruenza, desideri di riscatto, vite da cambiare ma che restano sempre le stesse Uccidere, qualche volta è il palcoscenico su cui l’autrice impone ai propri personaggi di sottostare ai capricci del destino, alle impreviste concatenazioni di eventi grotteschi nei quali le pulsioni animalesche sono l’unico mezzo liberatorio di esistenze altrimenti bugiarde e meschine.

Nessuno si salva veramente nel romanzo, non ci sono colpevoli assoluti e innocenti senza macchia.

Esattamente come accade nella vita di tutti i giorni, indipendentemente dallo status sociale e dall’età, tutti sono costretti a sottostare agli eventi, ad adattarsi alla realtà che cambia forma e assume connotati sempre più foschi, quasi surreali.

Verrebbe quasi da pensare che l’idea di fondo del romanzo è che nessuno può sfuggire all’ineluttabilità del destino e che nascondersi dietro le proverbiali maschere del perbenismo non serve a nulla.

Con una scrittura vivace, capace di profonde riflessioni, la Mogliasso spinge il lettore ad osservare una realtà disturbante in cui l’omosessualità latente o negata è la metafora di tutte quelle vite in cui ci si scopre intrappolati a distanza siderale dalla propria vera essenza, qualunque essa sia.

Sogni infranti nascosti sotto cumuli di ipocrite convinzioni che finiscono con lo sgretolarsi non appena la vita, quella vera, batte un colpo e rende cedevoli anche le convinzioni più ostentate.

Ma siamo anche al cospetto di un noir, per quanto declinato in una versione che sa quasi di romanzo di formazione per via dell’arco evolutivo attraversato dal protagonista e io narrante, il che vuol dire che una trama crime deve pur esserci ed è rappresentata da una misteriosa Agenzia, un’entità che ordisce crimini e mistificazioni, in un gioco di specchi nel quale l’inconsapevole vittima si ritrova suo malgrado coinvolta, intrappolata, sbattuta qua e là come fosse la pedina di un crudele gioco i cui fili restano invisibili fino all’ultimo.

Un noir per certi versi disturbate, ostico nei temi ma non nella lettura che, invece, appare scorrevole, ricca di riferimenti, capace di conquistare il lettore con un ritmo regolare che spinge a non volersi staccare dalla lettura finché l’intricata matassa non sarà definitivamente risolta.

Alla fine, naturalmente, la solita domanda: a chi consigliare questo romanzo?

L’uso di descrizioni esplicite, specie in ambito sessuale, potrebbe rendere il libro non adatto a chi preferisce restare in una dimensione letteraria meno estrema, mentre l’assenza del classico schema delitto/indagine potrebbe far ritenere il romanzo come qualcosa di assai lontano dal genere thriller.

Tuttavia la qualità della scrittura della Mogliasso, l’originalità della trama e dei suoi protagonisti non possono che prevalere su ogni dubbio.

Uccidere, qualche volta merita di essere letto e rispettato per ciò che vuole essere, uno squarcio nel velo apparentemente impeccabile di quella che ci ostiniamo a definire come accettabile moralità.

Editore: SEM
Pagine: 290
Anno pubblicazione: 2023

AUTORE

Rosa Mogliasso vive a Torino.

Tra i suoi romanzi ricordiamo: L’assassino qualcosa lasciaL’amore si nutre d’amoreLa felicità è un muscolo volontarioChi bacia e chi viene baciatoBella era bella, morta era mortaL’irresistibile simmetria della vendetta.

È stata finalista in molti premi prestigiosi, tra cui il Bancarella, il premio Scerbanenco e il francese Prix Meilleur Polar.

Thriller Life ha intervistato Rosa Mogliasso QUI

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