Lo spirito aspetta cent’anni di Shubnum Khan

Lo spirito aspetta cent'anni
“Akbar posa lo sguardo sui caldi tropici lussureggianti, con le valli increspate di canne da zucchero, i manghi antichi e l’oceano scintillante, e rimane folgorato. Decide che è lì che vuole vivere. Sbarca e sente la terra scuotersi sotto i suoi piedi: è un Segno. Sa che il suo viaggio è concluso. Si limita a dire «Qui daremo inizio alla nostra nuova vita».”

Lo spirito aspetta cent’anni

Recensione di: Maria Teresa Peirano

TRAMA:

È un Natale rovente a Durban, come non se ne vedono da anni. Sana sta andando a casa. Non una vera e propria casa, ma l’ennesimo, nuovo indirizzo scelto da suo padre. Lui è convinto che le acque dolci della costa orientale li aiuteranno a lasciarsi alle spalle il dolore per la perdita della madre di Sana, sua moglie. La nuova casa è Akbar Manzil, un tempo la tenuta più maestosa di quel tratto di costa sudafricana. Quando le navi dall’Europa entravano in porto, i passeggeri rimanevano estasiati alla vista del maniero, con i suoi parapetti in marmo, le torri in stile romanico, le cupole dorate.

Ora gli antichi fasti sono solo un ricordo: oggi Akbar Manzil è un residence un po’ in disarmo dove si viene per dimenticare, o farsi dimenticare. Ad accogliere Sana e suo padre col loro lutto da elaborare, grandi finestre che li osservano come occhi spenti e, stretto fra corridoi bui, un appartamento polveroso. Il palazzo, tuttavia, è un territorio che chiede di essere esplorato, in particolare l’ala est, dove non va mai nessuno: solo oggetti dimenticati, porte sbarrate.

L’ala dove c’è una stanza chiusa, congelata nel tempo, che contiene foto sbiadite di una coppia felice e un diario che sussurra i suoi segreti. Una stanza le cui pareti vibrano di una presenza: Meena. Sana è un’adolescente sola e la storia di Meena diventa la sua unica compagnia: quella giovane donna morta quasi cent’anni prima in circostanze misteriose, il suo sogno d’amore distrutto. Ma quando la verità sembra vicina, un’ombra impalpabile e insistente inizia a risvegliarsi dal suo lungo sonno e ad Akbar Manzil cambierà ogni cosa.

Per i vivi e per i morti. Certe cose non rivedono mai la luce. Gridano, battono i pugni contro il destino, nella speranza di essere scoperte. Una lettera dimenticata sotto uno schedario, un bottone d’avorio in un divano. Fremono di rabbia per la loro palese irrilevanza. Alla fine, si placano. Si rassegnano al destino e contemplano il tempo che scorre. Ma continuano a sperare.

RECENSIONE:

“Lo spirito aspetta cent’anni” di Shubnum Khan  è un romanzo che ricorda il realismo magico di Isabel Allende per le atmosfere vagamente surreali e fuori dal tempo.

La storia ci viene narrata in terza persona ed è ambientata nello stesso luogo, ma in due momenti diversi. Ci troviamo a Durban, porto del Sudafrica, in un’antica ed eclettica villa, Akbar Manzil, abitata, nel 2014, da un eterogeneo gruppo di sette inquilini, inclusi la protagonista e suo padre. Mentre, a partire dal 1919, per concludere il nostro viaggio a ritroso nel tempo nel 1932, scopriamo quando la villa è stata costruita e chi la abitava: il capofamiglia Akbar Ali Khan con la madre, la moglie e i due figli, ai quali, nel tempo, si aggiungeranno la seconda moglie Meena e il loro figlio Hassan. 

La prima parte de “Lo spirito aspetta cent’anni” è dedicata alla presentazione di tutti i personaggi e all’esplorazione della casa da parte della protagonista Sana. Nonostante ci troviamo nel 2014, l’atmosfera è surreale, silenziosa e fuori dal tempo e la casa, Akbar Manzil, è essa stessa protagonista della storia.

Assieme a Sana, durante le sue esplorazioni, ascoltiamo la villa gemere, torcersi, espandersi ed innervosirsi mano a mano che i segreti sepolti iniziano a svelarsi. Ci sembra di camminare a passi felpati su pesanti e vecchi tappeti polverosi mentre Sana ritrova una stanza chiusa da oltre ottant’anni e congelata nel tempo.

Nella seconda parte veniamo catapultati nel passato, dove capitoli dedicati alla misteriosa storia della stanza e della sua abitante, si alternano alla vita quotidiana di Sana e alle sue interazioni con gli inquilini di Akbar Manzil.

Nella terza parte, il tragico epilogo della storia passata si svela e si fonde agli eventi del presente, per portare i protagonisti ad un nuovo punto di partenza nelle loro vite.

I punti deboli de “Lo spirito aspetta cent’anni” sono principalmente due: il primo è che i personaggi provengono da zone geografiche diverse e, spesso, utilizzano come intercalare frasi o termini in urdu o tamil non tradotti, privandoci di una totale comprensione degli scambi dialogici.

Inoltre, il vero punto dolente è che lo spirito che dà il titolo al romanzo, non è granché rilevante ai fini dello svolgersi della trama. Nell’arco del racconto lo vediamo diventare parte attiva solo in un paio di occasioni mentre, per il resto, vediamo un fantasma inquieto che si aggira sofferente per le stanze abbandonate, piene di oggetti vecchi e rotti. Sicuramente un ottimo escamotage per dare un’ulteriore aura di mistero all’ambientazione, ma non aggiunge quasi nulla a ciò che la protagonista, Sana, avrebbe potuto scoprire per conto suo.

Una piccola chicca per coloro che di certo hanno notato la bellezza della copertina nella versione italiana: è stata disegnata da una tatuatrice italiana, Chiara Mattiussi, che ha colto in pieno l’atmosfera del libro.

Nonostante i difetti, il romanzo è godibile: Shubnum Khan ci racconta una storia di amore, vendetta, mistero, perdono e rinascita, trasportandoci nella dolce nostalgia di un luogo senza tempo.

Traduzione: Simona Fefé

Editore: Neri Pozza

Pagine: 320

Anno di pubblicazione: 2024

AUTORE:

Lo spirito aspetta cent'anni

Shubnum Khan è un’autrice e artista sudafricana. I suoi scritti sono apparsi su The New York Times, McSweeney’s, HuffPost, O, the Oprah Magazine, The Sunday Times, Marie Claire. È laureata in Anglistica e Media Studies all’Università di KwaZulu-Natal. Lo spirito aspetta cent’anni è il suo primo romanzo pubblicato in Italia, secondo la casa editrice, ma i più attenti si saranno accorti che nel 2011 l’editore Nova Delphi ha pubblicato un’altra opera dell’autrice: Le radici altrove.

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