“Questo non è un romanzo sperimentale, tutt’altro, ma un romanzo d’esperimento, e come tale vuol essere preso. Due ragioni mossero l’autore a scriverlo. La prima, per provare se sia proprio necessario andare in Francia a prendere il romanzo detto d’appendice, con quel beneficio del senso morale e del senso comune che ognuno sa; o se invece, con un poco di buona volontà, non si possa provvedere da noi largamente e con piú giudizio ai semplici desideri del gran pubblico. La seconda ragione fu per esperimentare quanto di vitale e di onesto e di logico esiste in questo gran pubblico così spesso calunniato e proclamato come una bestia vorace che si pasce solo di incongruenze, di sozzure, di carni ignude, e alla quale i giornali a centomila copie credono necessario di servire di truogolo.”
Con questa premessa, Emilio De Marchi apre “Il cappello del prete”, considerato il primo romanzo noir italiano. La prima pubblicazione è del 1887, a puntate sul quotidiano milanese “L’Italia”, nel 1888 sul Corriere di Napoli. Nello stesso anno esce per l’editore Treves la prima edizione in libro.
Emilio De Marchi nasce a Milano nel 1851, in una famiglia di condizioni economiche modeste. Riesce ugualmente a laurearsi in lettere, diventa poi segretario e libero docente dell’Accademia scientifico-letteraria di Milano, ora Università degli studi. Frequenta il mondo letterario milanese, dominato in quel momento della Scapigliatura, una libera traduzione della bohème francese.
Negli anni 1876-1877 scrive romanzi, pubblicati a puntate su periodici e quotidiani secondo l’uso del tempo. Dopo “Il cappello del prete” pubblica nel 1889 “Demetrio Pianelli”, ambientato a Milano, seguono “Arabella” (1892), “Redivivo” (1894), “Giacomo l’idealista” (1897), “Col fuoco non si scherza” (1900).
Muore a Milano nel 1901.
“Il cappello del prete”, antenato del noir italiano contemporaneo, è ambientato a Napoli e narra di un delitto nel quale il cappello viene a costituire l’unico indizio. L’autore contrappone due distinte avidità, costruendo un giallo psicologico che vede il colpevole percorrere il tortuoso sentiero del rimorso, richiamando alla memoria il protagonista di “Delitto e castigo”. Il romanzo, di chiara impronta verista, analizza attraverso il racconto di un delitto, le motivazioni del crimine, le miserie umane, la paura, la superstizione. La scrittura è curata e scorrevole, non datata a più di cento anni di distanza, ottima la caratterizzazione psicologica dei personaggi, abili le descrizioni. Ben congegnato l’intreccio, senza inciampi. Napoli è la cornice perfetta per questo delitto maturato nel bisogno, indotto dalla paura, a contraddire la dichiarazione di Alberto Savinio, “Le nostre città non fanno quadro al giallo.” Questo romanzo meriterebbe di essere inserito tra i classici della letteratura italiana. Una lettura imperdibile per gli appassionati di noir.