Tullio Avoledo il suo coraggio di scuotere le coscienze

Tullio Avoledo

Tullio Avoledo è friulano, nasce nel 1957 a Valvasone, per trasferirsi poi a Pordenone dove vive e lavora.

La sua ricca e poliedrica bibliografia inizia nel 2003 quando pubblica L’elenco telefonico di Atlantide; il romanzo spazia tra il genere giallo ed il fantastico e ottiene da subito un notevole successo di critica.

Le derive della nostra realtà sono le strade percorse dai suoi personaggi e lo sguardo acuminato e concreto di Tullio Avoledo ne coglie ogni deformità, regalando ai suoi lettori mappe alternative in cui perdersi.

Dal suo romanzo d’esordio sono susseguiti racconti post-apocalittici, ucronie, distopici, noir, progetti e collaborazioni interessanti che hanno condotto Tullio lungo una strada narrativa ben delineata e sempre molto apprezzata.

Diverse le Case editrici che si contendono le sue opere e molteplici i prestigiosi Premi letterari di cui i suoi libri fanno incetta.

L’anno dei dodici inverni nel 2009 finalista al Premio Stresa e Premio dei lettori di Lucca, Un buon posto per morire si è aggiudicato il Premio Salgari nel 2012, pubblicato da Einaudi.

Tullio Avoledo ha aderito al progetto internazionale “Metro 2033 Universe” di Dimitrij Gluchovskij scrivendo una Trilogia tradotta poi in russo, polacco, ungherese e tedesco.

Politicamente impegnato e sempre pronto a raccontare la verità della nostra epoca, Tullio diventa sempre più una voce importante nel panorama letterario nazionale ed internazionale.

Tullio Avoledo

Nel 2020 vince il Premio Scerbanenco per il suo romanzo Nero come la notte , dove incontriamo per la prima volta Sergio Stokar , «protagonista perfetto per la realtà corrotta e violenta dei nostri giorni»

Non è mai notte quando muori pubblicato da Marsilio Editore nel Settembre 2022, vede il ritorno dell’ex poliziotto Stokar dopo due anni di inattività.

Il lettore si trova coinvolto, suo malgrado accanto ad un personaggio scomodo, così lontano dal “politically correct”, un'anima nera in cerca di redenzione dopo che il destino gli ha svelato, simile ad un pugno in pieno viso, il prezzo dei propri peccati

Una lettura caustica e magnetica, che ha recensito Andrea Martina per Thriller Life QUI

Tullio Avoledo ha gentilmente risposto alle nostre domande in un crescendo di rivelazioni e riflessioni

1. Sergio Stokar è un personaggio estremo, violento, con il quale è difficile costruire un rapporto realmente empatico, come accade sempre con i cosiddetti antieroi. È una scelta voluta per non dare vita al solito stereotipo delleroe senza macchia?

I miei personaggi non sono mai studiati a tavolino.

Non è che un mattino mi sveglio e mi dico “Vorrei scrivere un noir distopico, quindi mi serve un personaggio così e così, con questo background e che fa queste cose…”.

I miei personaggi nascono da soli, e attorno a loro si sviluppa la storia. Di loro, all’inizio, di solito so molto poco.

Su Sergio, scrivendo i due romanzi che lo vedono protagonista, ho scoperto via via delle cose che ignoravo del suo passato, dei sentimenti di cui non lo credevo capace, dei ricordi determinanti per capire chi è e perché è così.

Sergio è una continua scoperta.

All’inizio di “Nero come la notte” lui è una tabula rasa, un uomo a cui è stata cancellata la memoria, che ritrova poco a poco.

Ed è come se, da scrittore, anch’io lo scoprissi pagina dopo pagina.

Scrivere un romanzo per me è come scolpire un blocco di marmo: le forme, le cose, tutto è già dentro quel blocco squadrato, bianco: basta tirarle fuori.

Detto questo, Sergio si è rivelato il protagonista perfetto per la realtà corrotta e violenta dei nostri giorni.

Qualche mese fa ho visto sui giornali una foto dall’acciaieria Azovstal assediata. Luce che cade dall’alto tra le rovine e un soldato, uno dei difensori del battaglione Azov, che apre le braccia in croce in quel raggio di luce.

Ho visto Sergio, in quella foto.

Sergio è un eroe delle cause perse, e ha in sé il genoma e il culto di molti eroi: può ammirare i nazisti della Divisione Charlemagne, gli ultimi difensori di Berlino assediata dai sovietici ma anche i lancieri polacchi che caricano a cavallo i tank nazisti nel 1939…

Considera eroi i legionari francesi che combattono a Diên-Biên-Phu ma anche i Vietcong che li hanno sconfitti…

È tutt’altro che un personaggio di carta, monodimensionale.

È un eroe complesso, come lo sono questi tempi senza verità assolute.

Tullio Avoledo - Sergio Stokar - Non è mai notte quando muori
Tullio Avoledo – “Ho visto Sergio in quella foto
2. Del romanzo – Non è mai notte quando muori – colpisce l’approfondimento degli aspetti geopolitici contemporanei, pur non mancando elementi distopici e altri tipici della fantascienza, penso soprattutto all’uso della tecnologia. Come hai sviluppato l’idea di raccontare il mondo contemporaneo attraverso la fiction?

Non posso farci nulla. Credo sia qualcosa di innato.

Magari sapessi scrivere storie d’amore o favole rassicuranti.

Ma non ci riesco.

La realtà, o meglio, la mia paura della realtà, finisce sempre per dominare la trama.

Già il mio romanzo d’esordio, “L’elenco telefonico di Atlantide” è nato come testimonianza di un anno folle, il 2000, ed era un atto d’accusa contro l’illusione che la web economy potesse renderci tutti più ricchi e più felici, quand’era vero esattamente il contrario.

L’invasività dei cellulari e di internet erano profetizzate in quel libro, uscito nel 2003 ma scritto nel 2000.

La crisi economica del 2008, le fake news, l’onda montante della destra, i sovranismi, i crimini di una guerra ad Est, tutto questo è entrato di forza nei miei romanzi, a volte descrivendo le cose ma spesso anche anticipandole.

Mia moglie, ogni volta che comincio a scrivere un nuovo romanzo, mi chiede se non posso immaginare qualcosa di bello…Ma chi ci riesce, ormai?

Gli sviluppi della tecnologia, nel bene e nel male, sono un mio pallino da sempre.

Sono coetaneo dello Sputnik, nato in un’epoca che aveva fatto della tecnologia un totem. Ancora oggi mi sembra incredibile che nessuno badi alle foto di un antico letto di fiume marziano che ci arrivano da 250 milioni di chilometri di distanza.

Al tempo stesso ho anche la passione per la Storia, che mi spinge ad avere un approccio critico di fronte alle sirene della tecnologia…

3. Non è mai notte quando muori non è certamente un thriller adatto a tutti. Il linguaggio crudo e le situazioni di estrema violenza lo rendono un hard-boiled per adulti, per certi versi respingente nei confronti del lettore medio. Anche questa è una scelta voluta, magari per percorrere un sentiero letterario più originale?

Nei miei romanzi non punto all’originalità ma piuttosto all’onestà, intellettuale, politica, ma anche artigianale.

Credo insomma nella bontà del lavoro che faccio.

Anche se può sembrare ingenuo, ogni volta che firmo una copia, dico alla persona che ho davanti e me lo sta facendo firmare, “è un buon libro”.

Di solito rispondono con un sorriso, ma non è una cosa scontata.

Ci sono autori mediocri che ai festival firmano centinaia di copie del loro ultimo bestseller e ovviamente li invidio da un punto di vista economico, ma li compiango perché devono lasciare la loro firma su migliaia di atti d’accusa della loro incapacità letteraria.

Poi ogni storia ha il suo linguaggio. Magari diverso, diversissimo da libro a libro.

Chi scrive per il lettore medio ai miei occhi è uno scrittore medio.

Ammesso che davvero esista, questo famigerato lettore medio. Forse è solo un’invenzione delle case editrici, alla quale poi tanti – troppi – scrittori si adeguano.

Mi sembra che molti autori di noir siano diventati più dei pre-sceneggiatori; scrivono storie seriali, come se avessero in mente già le serie televisive che ne verranno tratte.

Saprei scriverle anch’io robe così, senza fatica. I miei primi lavori di scrittura sono stati delle sceneggiature, e ho avuto come maestro Elio Bartolini, l’autore dei copioni dei più bei film di Michelangelo Antonioni.

Ma trovo che chi, autore o editore, ha come obiettivo il “lettore medio”, renda un cattivo servizio alla letteratura ma anche a sé stesso.

E soprattutto, puntare al “lettore medio” finisce per produrre libri mediocri, lettori mediocri, abbassando sempre di più l’asticella invece di puntare in alto. Io voglio che il “lettore medio”, ammesso che esista, diventi un lettore migliore, costringendo anche i miei colleghi scrittori a pretendere di più da sé stessi.

Scrivere non dev’essere un “lavoro”. Dev’essere alto artigianato, ma anche un’arte.

Quanto alla violenza, sì, è sempre stata molto presente nei miei ultimi romanzi.

Ma non la tiro fuori dal mio cervello bacato. La prendo dal mondo là fuori, dove ce n’è tantissima.

Vuole che le racconti una storia davvero violenta?

Qualche settimana fa, a Milano, verso le otto di sera, ho visto un rider cadere dalla bicicletta, non lontano dal Duomo. Io ero fermo in attesa del tram, che era in ritardo. Il basto coloratissimo che il rider aveva sulla schiena, pieno, immagino, di pietanze ordinate su internet, è caduto a terra. E il rider dopo di lui.

Se dico “un rider“, noi ci immaginiamo un ventenne muscoloso. No: era un pakistano già avanti con gli anni, tutt’altro che atletico.

La ruota davanti della bici si era tutta storta. L’uomo è rimasto seduto per terra cercando, ovviamente senza riuscirci, di sistemare la bici.

A un certo punto ha cominciato a piangere. Nessuno gli ha dato una mano.

Ho pensato che quell’uomo a fine giornata sarebbe stato multato, o avrebbe perso il lavoro.

Questo nel cuore di Milano.

Il mio tram è arrivato e io ci sono salito, continuando a guardare quell’uomo.

Questa, secondo me, è una storia di estrema violenza, a più livelli.

Si uccide anche senza premere un grilletto. Anche con uno sguardo indifferente.

Col non far nulla.

Sergio Stokar ha mille difetti, ma non distoglie lo sguardo, non tira avanti.

Agisce, si sporca le mani. Non è un uomo perfetto? Non è abbastanza rassicurante, “normale”?

E chi se ne frega?

A me il caffè piace amaro. Lo zucchero lo lascio sul piattino.

Se qualche altro scrittore vuole prenderlo, è lì.

4. Anche gli orientamenti politici di Stokar sono decisamente estremi e anche in questo l’originalità del personaggio è assolutamente evidente. Hai mai pensato al rischio che correvi nel dare vita ad una figura con tendenze addirittura filo-naziste?

Certo che ci ho pensato. Ma non ho mai avuto dubbi.

Sergio è così.

Non è facile gestirlo nemmeno per il suo autore…

Dopo aver finito di scrivere il primo romanzo con lui protagonista, “Nero come la notte”, avevo già in mente il seguito, ma ho sentito la necessità di staccarmi da Sergio per un po’.

Era diventato una presenza ingombrante nella mia vita. L’ho lasciato per due anni su un’isola per farlo maturare, decantare. Cambiare.

Il fatto che abbia simpatie filonaziste, che io non ho, non vuol dire nulla.

Sergio subisce il fascino dell’ordine, del razionale. Delle risposte semplici e brutali a situazioni complesse.

Non è un mediatore: è un risolutore.

L’idea di partenza di “Nero come la notte” era la descrizione di un ambiente, quello multietnico delle Zattere, che richiedeva, per me, un protagonista che fosse in totale distonia con l’ambiente.

Mi spiego: se avessi mandato alle Zattere, in mezzo a immigrati clandestini, prostitute e spacciatori, una “zecca buonista”, come vengono definiti ultimamente quelli come me, l’effetto sarebbe stato quello di un petardo bagnato.

Se Sergio fosse stato di sinistra e comprensivo verso gli sfortunati che incontrava in quell’ambiente degradato, ne sarebbe uscito un romanzo buonista di quelli che magari vincono i premi e diventano serie televisive, ma non sarebbe stato il pugno allo stomaco che volevo fosse.

Quando Sergio scopre qualcosa di buono nell’umanità stipata alle Zattere, lo scopriamo anche noi, condividiamo la sorpresa. È esattamente a questo che mi serviva, un protagonista di destra.

Fa sempre parte della mia idea che chi scrive in modo “medio” offende i lettori e sé stesso.

Così cerco di non spiegare sempre tutto, di lasciare che il mio lettore debba fare uno sforzo di comprensione, a volte di unire i puntini o di completare gli spazi vuoti, come in un gioco della Settimana Enigmistica.

E il lettore a volte va shockato.

Io ho scritto una trilogia di romanzi di fantascienza che rientrano nel ciclo narrativo di Metro 2033 ideato dal russo Dmitry Glukhovskij. Sono romanzi postapocalittici, molto duri e violenti, tanto da essere vietati ai minori di 18 anni in Russia. Il che, di questi tempi, visto quello che i russi fanno nella realtà in Ucraina, mi provoca un sorriso amaro…

Fatto sta che i miei romanzi di quel ciclo sono stati tradotti in varie lingue.

Durante una chat con i miei lettori polacchi mi sono reso conto che in alcuni di loro c’era un forte antisemitismo.

Se fossi stato uno scrittore “medio”, per non perdere quote di mercato avrei dovuto astenermi dal trattare temi legati all’ebraismo.

Invece ho fatto l’esatto contrario: nel libro successivo ho inserito tra i personaggi principali un giovane rabbino e buona parte del romanzo s’incentra sul concetto ebraico di Tsimtsum, la “riduzione di Dio”…

5. Leggendo il romanzo si ha la sensazione che dietro la maschera di apparente durezza, Sergio Stokar sia in realtà un penitente in cerca di redenzione: è corretto?

A me Sergio ispira malinconia e tenerezza.

È un cavallo “scosso” del Palio di Siena, il cavallo il cui fantino è caduto ma che gareggia e vince comunque anche senza cavaliere.

E la sua storia, ha visto giusto, è quella di una redenzione personale, che lui vorrebbe trasferire di forza al mondo.

Impresa destinata inevitabilmente a fallire, ma comunque eroica, degna d’essere raccontata.

6. Ti consideri un autore orientato al puro intrattenimento o pensi che dietro l’elemento dell’avventura il lettore possa ritrovare anche dei temi più profondi con i quali confrontarsi?

Non mi sono mai ritenuto uno scrittore d’intrattenimento.

O almeno non ho mai puntato a questo. Ho sempre affrontato temi e trame non banali.

Se poi questi libri riescono a intrattenere, benissimo. Ma lo scopo non è mai quello.

È piuttosto dire la mia sul mondo, coinvolgere il lettore nella sua esplorazione, a volte nel metterlo in discussione.

Mi metto, per così dire, alle spalle del lettore comodamente seduto e gli tolgo da sotto la sedia della realtà, per accoglierlo tra le braccia della mia narrazione.

Poi cerco di rendergli quanto più possibile piacevole e scorrevole la lettura, avvincente la trama. Ma il viaggio che io e lui o lei, insomma che noi facciamo è un viaggio d’esplorazione nella realtà.

Dai piani alti della realtà ai suoi sotterranei, dove pochi scrittori si avventurano ma che nascondono emozioni e meraviglie.

7. Un tema che resta solo apparentemente sullo sfondo della trama è quello della pandemia. I condizionamenti che il Covid-19 ha portato in tutto il mondo sono parte integrante delle vicende raccontate nel libro. Alcuni autori hanno scelto volutamente di ignorarne l’esistenza, per te invece la contemporaneità sembra essere un aspetto fondamentale.

Dato che nella realtà ci viviamo, mi sembra decisamente un aspetto imprescindibile.

Una realtà come la nostra è peraltro così complessa che penso esistano ormai tante realtà, tanti mondi, uno per ogni persona.

Ognuno di noi vive in un universo parallelo, in una sua realtà personale, sempre più spesso calata su di lui dall’esterno, dai famosi persuasori occulti che perseguono i loro fini e i loro progetti. 

Ciò posto, il motivo per cui molti scrittori hanno scelto di allontanarsi dalla realtà è che viviamo in un mondo imprevedibile, e che quando cominci a scrivere un romanzo sai che passerà molto tempo prima che esca in libreria.

Quindi il timore di questi scrittori è che mentre scrivono la parola FINE il loro libro risulti irrealistico, superato dai fatti.

Quindi ambientano le loro storie nel passato o, se descrivono l’oggi, in quello che chiamo il mondo di “Un posto al sole”: in una sitcom avulsa dalla realtà, poco descritta, non messa bene a fuoco. Un altro motivo è che gli editori dicono che i libri che parlano del Covid allontanano i lettori.

Nei miei ultimi romanzi la pandemia è entrata, così come le nuove tecnologie, perché fanno parte della vita: ho semplicemente cercato di immaginare, cominciando a scrivere il libro, come sarebbe stata la realtà nel momento, a due anni nel futuro, in cui il lettore avrebbe avuto il mano il mio libro. Beh, nelle mie previsioni devo dire che ci ho abbastanza azzeccato.

Purtroppo, dovrei dire. Quando due anni fa ho cominciato a scrivere “Come navi nella notte”, uscito nel 2021, descrivevo un’Italia governata dalla destra.

Fino a poche settimane fa sembrava un mondo parallelo di pura fantasia. Invece è solo che la realtà ci ha messo un po’ per aggiornarsi e mettersi in riga con il mio romanzo…

Scherzo, ovviamente. Forse. Ma sì, scherzo. 

Comunque è un peccato che l’esperienza della pandemia rimanga fuori dalle narrazioni.

È stata un’esperienza estremamente ricca di stimoli e di cose da raccontare. E da ricordare.

Ogni tanto, quando presento il mio libro, chiedo ai presenti se si ricordano quel periodo, e mi rendo conto che molti fra noi l’hanno rimosso.

Chiedo loro se si ricordano delle maschere di fortuna fatte con una sciarpa, della paura nel vedere le foto del pubblico a un concerto, o l’emozione di trovare dopo tanto tempo un panetto di lievito sullo scaffale del supermercato.

E le file fuori dai negozi, i droni che sorvegliavano le spiagge a caccia di un runner. I canali di Venezia limpidi, le piazze deserte…

Tutto questo deve restare, nella letteratura! Se non altro per i posteri.

Se conosciamo il mondo del passato, è anche per merito dei romanzi, che hanno mantenuto l’esperienza di un’epoca. Altrimenti gran parte di quello che sappiamo delle epoche trascorse dobbiamo scoprirlo dal contenuto delle tombe… Che tristezza… 

8. Se dovessi indicare tre parole che ti rappresentano, quali sceglieresti?

Libertà, Natura, Opportunità.

9. Se dovessi scegliere tre cose di cui non potresti mai fare a meno, ovviamente escludendo la scrittura, quali sarebbero?

La buona musica (senza distinzioni di genere), il whisky scozzese (Oban, Talisker e Caol Ila, non necessariamente nell’ordine), il mare.

10. Prima di salutarci quale messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?

Di non diventare mai un “lettore medio”. 

Thriller Life ringrazia Tullio Avoledo per la bellissima intervista

a cura di Andrea Martina e Patty Pici

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