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Non è mai notte quando muori di Tullio Avoledo

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Non è mai notte quando muori

Tutto comincia con una piccola barca che appare all’orizzonte sul mare dei Caraibi.

Ne scende un bizzarro avvocato inglese vestito di bianco, latore di una proposta impossibile da rifiutare per l’ex poliziotto violento e politicamente scorretto Sergio Stokar.

Dopo due anni passati su un’isola che da prigione è diventata un rifugio durante la pandemia, Stokar deve rimettersi di nuovo in gioco.

È il suo avversario di sempre, il potente Alemanno Ferrari, a farlo arruolare di forza in un’impresa pericolosa, ai limiti del suicidio: riportare a casa vivo il figlio di un oligarca russo, scomparso in un paese nordafricano in preda al caos e dominato da una feroce dittatura.

Per compiere la sua missione, Sergio dovrà mettere in campo tutta la sua rabbia e la sua intelligenza, in una ricerca che lo porterà dal Belize a Mosca e a Pechino, fino al cuore di tenebra dell’Ard Alshams. Gli anni passati fuori dal mondo l’hanno cambiato, ma non troppo.

Rimane un rullo compressore fatto uomo, un insolito connubio di muscoli e cervello, con molti dubbi e una sola certezza: il Male va combattuto a ogni costo.

Lungo un viaggio costellato di minacce e imprevisti, Stokar incontrerà nuovi amici e soprattutto nuovi nemici, scoprendo che non sempre è facile distinguere gli uni dagli altri…

Aprendosi di forza la strada in un mondo segnato dalle conseguenze del contagio e da nuovi e insospettabili equilibri di potere, Stokar ritroverà le tracce di Elena, il suo amore perduto, dovrà fare i conti con nuovi dolorosi tradimenti e capirà che comunque, anche in un tempo in cui tutto è apparenza e inganno, la vita può ancora offrire rifugi e approdi inaspettati.

RECENSIONE

Devo ammetterlo: mentre leggevo Non è mai notte quando muori pensavo che Tullio Avoledo mi stesse mettendo in un gran brutto guaio, tanto che per scrivere questa recensione sono stato costretto a pormi parecchie domande.

Su tutte una, quella che avrebbe potuto anche indurmi a rinunciare a proporre la mia opinione su questo romanzo: sarò capace di scrivere una recensione positiva di un libro che ho odiato fin dalla prima pagina?


E ancora: è lecito condividere un giudizio nel quale sai che alla fine la tentazione di dare un pessimo voto sarà superata dalla consapevolezza che il fastidio nutrito durante la lettura è la prova che l’autore è riuscito a dare vita ad una storia e a dei personaggi tremendamente credibili, tanto da suscitare anche una viscerale repulsione?


La risposta a questo groviglio di domande, dubbi e tentennamenti risiede in ciò che credo un libro debba trasmettere: emozioni.

È una piccola parola, probabilmente abusata in un’epoca come questa nella quale tutto sembra creato al solo scopo di ingraziarsi il giudizio altrui puntando sul gioco facile del dare al pubblico ciò che desidera, senza mai provare a scuoterne la coscienza, a costo di disturbarne la sensibilità.

Cose come il disgusto e la rabbia, addirittura l’odio, sono viste come le emozioni da tenere rinchiuse in uno di quei vecchi bauli che finiscono con l’adornare gli angoli più oscuri e polverosi delle nostre soffitte emotive.
Eppure l’essere umano delle emozioni negative non può farne a meno, così come dei pensieri scomodi, quelli a cui è bene non dare voce, soprattutto in pubblico.

Considerate la paura, ad esempio, il terrore che può coglierci di fronte ad una bestia feroce o alla lama di un coltello puntato alla gola. Senza quel sentimento che ci fa tremare non sapremmo difenderci e lottare.

E allora, se accettiamo anche le emozioni negative come un bagaglio prezioso sul quale fondare la nostra personalità, non possiamo che apprezzare chi possiede il dono di riuscire a generarle in un contesto tutto sommato a rischio zero come può essere un libro.

Ecco perché posso ammettere, forse stupendo anche me stesso, che Non è mai notte quando muori di Tullio Avoledo è un romanzo che probabilmente non avrei scelto, ma che allo stesso tempo considero un grande momento di letteratura di genere, proprio perché ha saputo accendere nella mia coscienza tutte quelle emozioni palpitanti di cui ho parlato finora.

A partire dall’odio profondo per il protagonista, Sergio Stokar, un ex poliziotto confinato su un’isola sconosciuta da chi, invece della salvifica morte, ha preferito donargli l’angoscia di una sopravvivenza fatta di stenti e nostalgia per tutto quanto ha perduto.

Ma Stokar è anche un uomo di destra, con delle simpatie talmente estreme da renderlo qualcosa di più del solito antieroe.

Chi conosce già i romanzi di Avoledo sarà d’accordo nel definire Stokar come un “bastardo senza gloria”, ma dalla parte sbagliata della barricata rispetto a quelli raccontati da Tarantino.

Non c’è davvero nulla di empatico nel personaggio creato dall’autore friulano, un aspetto che tuttavia non impedisce al lettore di appassionarsi alle sue vicende, così profondamente dolorose ed estreme.
La forza del personaggio sta proprio in questo, nella sua capacità di generare una ridda di sensazioni negative, potremmo dire respingenti e, forse proprio per questo, ancora più intriganti.

Troppo spesso, almeno dal mio punto di vista, i thriller seguono sempre il medesimo canovaccio, con il classico eroe dal passato tormentato costretto a riemergere dagli abissi della propria esistenza per sfidare il male. Non che Stokar non possa vantare dolori e agonie indicibili e nemmeno si può dire che nel romanzo non sia costretto a fare i conti con chi ha scelto l’ingiustizia e la prevaricazione come emblemi attorno ai quali costruire il proprio mondo corrotto e malato.

Solo che Stokar è sua volta una figura negativa, un personaggio al limite che ha ampiamente superato la sottile linea di demarcazione tra il bene e il male e che proprio grazie a questa condizione può essere il protagonista di una storia forte come quella raccontata da Avoledo.

Tuttavia il lettore non deve farsi ingannare da queste brevi considerazioni che, in fin dei conti, non sono altro che l’esposizione di sensazioni personali, condivise con il preciso intento di raccontare ciò che le pagine del libro sono in grado di suscitare e provando al contempo a generare una forma di curiosità tutta particolare, quasi sospettosa, ma anche irresistibile per l’originalità dell’opera.

Del resto, gli argomenti a favore del romanzo sono davvero tanti, a partire dalla trama, connotata da riferimenti distopici, con un utilizzo dell’elemento tecnologico che ricorda le avventure di James Bond, quelle in cui anche l’impossibile non è privo di verosimiglianza.

Tutto appare estremamente credibile, così come il contesto storico e politico nel quale il libro è calato. Stokar si muove in un mondo contemporaneo e attualissimo, nel quale la pandemia e i delicati equilibri internazionali sembrano essere irrimediabilmente minati nelle loro fondamenta, con nuove Nazioni che assumono il ruolo di protagoniste dello scenario geopolitico, mentre altre crollano sotto il peso delle proprie inadeguatezze.

È in questo contesto che il lettore si trova coinvolto, suo malgrado accanto ad un personaggio scomodo, così lontano dal “politically correct”, un’anima nera in cerca di redenzione dopo che il destino gli ha svelato, simile ad un pugno in pieno viso, il prezzo dei propri peccati.


Anche l’intreccio narrativo appare particolarmente riuscito e quegli elementi che spingono in modo esagerato verso una tecnologia avveniristica di cui si è detto non rendono la vicenda meno credibile ma, semmai, la connotano con i colori vivaci della spy story moderna

A tutto questo va aggiunto l’indubbio talento di Avoledo che, decisamente non a caso, può vantare anche un premio Scerbanenco.

La sua scrittura trasuda degli echi del genere hard-boiled, che proprio nella figura dell’antieroe ha uno dei suoi tratti distintivi assieme all’uso mai celato della violenza e a una durezza del linguaggio che conferisce alla pagina scritta una crudezza che sa di vita vera (sebbene non adatta ai lettori più sensibili).

Non è mai notte quando muori è tagliente, ruvido, scarnificato di ogni abbellimento metaforico, eppure sa anche essere profondo laddove i rapporti tra i personaggi si fanno più intensi o quando il protagonista rievoca il passato dolente che si porta sulle spalle.


Non c’è nulla di realmente rassicurante in questo romanzo, nemmeno il finale che pure può essere annoverato tra i lieto fine, con quel barlume di speranza che sembra riecheggiare mentre la vicenda si conclude.

Il lettore è perfettamente consapevole che dietro il prossimo angolo dell’esistenza di Sergio Stokar un’altra lama affilata è pronto a colpirlo. Si tratta solo di stabilire quando questo avverrà e se, ancora una volta, l’ennesima ferita sarà in grado di cambiarlo fino a redimerlo definitivamente.

Ma queste sono domande alle quali solo Tullio Avoledo potrà rispondere non appena il richiamo del suo personaggio si farà nuovamente impellente e per noi lettori sarà tempo, se lo vorremo, di iniziare un altro viaggio oscuro, affilato, rosso come il sangue.

Editore: Marsilio
Pagine: 496
Anno pubblicazione: 2022

AUTORE

TULLIO AVOLEDO

Nato a Valvasone, in Friuli, nel 1957, Tullio Avoledo ha esordito nel 2003 con “L’elenco telefonico di Atlantide” (premio Forte Village Montblanc – Scrittore emergente dell’anno), romanzo che ibridava fantascienza e mitologia con una satira feroce del mondo bancario e della società italiana ai tempi dell’effimero trionfo della web economy.

Ha poi pubblicato altri undici romanzi, prima per Sironi e poi per Einaudi e Marsilio, tra cui Lo stato dell’unione (2005), Tre sono le cose misteriose (2006, premio Super Grinzane Cavour), Breve storia di lunghi tradimenti (2007), Un buon posto per morire (2011, scritto a quattro mani con Davide “Boosta” Dileo dei Subsonica) e Chiedi alla luce (2016).

Per Rizzoli ha anche pubblicato una personalissima e divertita versione, ambientata nell’Italia odierna, delle Baruffe chiozzotte di Goldoni (2014).

Ha partecipato con tre romanzi (Le radici del cielo e La crociata dei bambini, Il conclave delle tenebre, Multiplayer) a Metro 2033 Universe, una narrazione collettiva internazionale sul mondo post catastrofe nucleare immaginato dallo scrittore russo Dmitry Glukhovsky.

Nel 2021 è uscito Come navi nella notte (Marsilio). Suoi libri sono stati tradotti in inglese, spagnolo, tedesco, russo, polacco e ungherese.

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