,

L’affittacamere di Valerio Varesi

Copertina del libro L'affittacamere di Valerio Varese

L’affittacamere. Le inchieste del commissario Soneri

Recensione di Giusy Giulia Nini

Mancano pochi giorni a Natale, la nebbia e il freddo mordono Parma, in preda alla gioiosa frenesia che precede le feste.

Ma al commissario Soneri tutta quell’agitazione mette solo malinconia e malumore, specialmente da quando ha avviato l’inchiesta sull’inspiegabile omicidio di Giuditta, detta Ghitta, Tagliavini, l’anziana titolare di una nota pensione nel centro storico.

Soneri conosceva bene la vittima: nelle sue stanze aveva incontrato Ada, la ragazza che aveva sposato e purtroppo perso troppo presto in circostanze drammatiche.

Ma le ricerche gli rivelano molti dettagli inquietanti: Ghitta non era la disponibile affittacamere che rammentava, ma una donna temuta e senza scrupoli, arricchitasi trasformando la pensione in un albergo a ore e praticando aborti illegali.

Forse la spiegazione della sua brutta fine va cercata in queste attività illecite, ma forse c’è dell’altro, qualcosa di più misterioso che il commissario oscuramente teme, perché intuisce che potrebbe riguardarlo assai da vicino.

Il suo compito sarà andare comunque fino in fondo, in una città dove i passi rimbombano sordi e la nebbia tramuta le distanze in prospettive ingannevoli. E dove gli uomini soli si sentono ancora più soli.

Recensione

Rifuggo di solito dalle seconde letture, paventando l’effetto sminuente che gli anni a volte inducono sulle mie impressioni di allora.

Non è accaduto per L’affittacamere di Valerio Varesi, dal quale mi separavano quasi vent’anni.

Ricordo tutto di quella prima edizione di Sperling & Kupfer nella collana Frassinelli Narrativa, le pagine che mi avevano catturato in un malinconico sortilegio, perfino la copertina di un modesto interno tra penombre azzurrine.

E tutto ho ritrovato nell’edizione de Il Giallo Mondadori uscita da pochi giorni in libreria, una collana pregiata che annovera i più bei nomi della narrativa crime italiana e straniera: trama serrata, personaggi carnali, ambientazione immersiva, lessico prezioso e dialoghi magistrali.

Tra le pagine d’inizio incontro il commissario Soneri ancora ignaro del patimento che dovrà affrontare nella sua quinta indagine, ma già preda di un indefinito malessere del quale ascrive l’origine al Natale imminente, alla falsa gaiezza delle strade di Parma che sfida nebbia e gelo obbedendo alla chiassosa frenesia degli acquisti.

Non è del commissario quella città che ne ha cacciata un’altra a lui ben più consona, fatta di silenzi, di pensieri che sembrano sgorgare dalla cortina di brume, di consapevolezze che affiorano al ritmo di passi solitari.

È ansioso, Soneri, di lasciare il suo ufficio in Borgo della Posta, scansando quell’inviso odore che sempre vi ristagna,

un’inconfondibile miscela di sudore, profumi dozzinali, detersivi delle pulizie, fumo, sporcizia e cestini mal svuotati

Come sempre del resto, perché lui è un cane sciolto, un ribelle, un insofferente del lavoro di squadra.

Glielo dice anche la sua compagna, Angela Cornero, che lui avrebbe dovuto

fare il Marlowe, non il commissario intruppato in una questura

A quel contesto inviso fa eccezione il suo vice, l’ispettore Juvara, con il quale, abbandonate diffidenza e ostilità iniziali, Soneri ha poi instaurato un rapporto di stima quasi affettuosa, che non gli impedisce però di approfittarsi della mite disponibilità del sottoposto, scaricandogli addosso tutte le rogne che può.

E fa così anche quel giorno, quando una vecchia chiede di lui e il commissario la fa ricevere da Juvara, pentendosene quasi subito perché, da una sbirciata al di là del vetro, riconosce nel viso «bianco e molle» della donna i lineamenti di Fernanda Schianchi.

Che paiono riaffiorare dal suo stesso passato.

Decide allora di riceverla ma, troppo tardi, l’anziana è già sparita oltre il portone della questura, portandosi via l’eco dell’indirizzo dettato all’ispettore, via Saffi 35, indelebile nella memoria di Soneri.

In quello stabile, lungo una via che ancora taglia i borghi vecchi di Parma, sorge infatti la pensione Tagliavini, un modesto appartamento di camere mobiliate che un tempo ospitava studenti universitari e allieve della scuola infermiere.

Là Soneri ha conosciuto Ada, la moglie morta di parto portandosi via anche un figlio mai nato.

Là ha vissuto giorni di speranze destinate a mutarsi in sventurato fallimento, di là ha visto pesanti ipoteche d’ombra distendersi sul suo futuro.

E proprio là Soneri è costretto ben presto a tornare per una burla malvagia della sorte: l’assassinio di Giuditta Tagliavini, “Ghitta”, la proprietaria della pensione di via Saffi 35, l’affittacamere della sua giovinezza.

Uccisa «come si uccide il maiale», il cuore trafitto con precisione chirurgica da uno stiletto. Alla maniera del norcino corador delle antiche campagne parmensi.

Tra le mura di quel lungo corridoio su cui si aprivano un tempo le porte dei giovani ospiti, il commissario scopre una realtà ben diversa da ciò che ricorda: “Ghitta” dalle pratiche clandestine e dai mille ricatti, le stanze trasformate in luoghi per consumare amplessi proibiti e convegni di malaffare.

Mentre il marciume politico di oggi talora si dirada a mostrare le ombre lunghe del terrorismo di ieri.

Nemmeno il passato personale di Soneri ne esce indenne, incalzandolo a ogni passo verso una verità che non vuole conoscere ma che sarà costretto ad accettare pur sapendo che nulla per lui sarà più come prima.

L’affittacamere è lo struggente romanzo della memoria tradita, collettiva e individuale, politica e affettiva.

Dove dei fervidi ideali di ieri che spinsero gli Arditi del movimento operaio e democratico di Parma a resistere all’assalto fascista del 1922 rimane solo un ipocrita vessillo, un Monumento alle Barricate in cui nessuno crede più.

Non in quella città «andata a male, che marcisce lentamente», nella quale

i luccichii e i colori [natalizi] che danzano per le strade non sono altro che le muffe policrome fiorite nella decomposizione più profonda

E altrettanto accade al passato individuale, di Soneri come di ognuno di noi, l’unica certezza temporale che crediamo di possedere, immutabile perché appunto trascorsa.

E invece no, anche quella dimensione è inafferrabile, al pari di un presente che non appena pensato è già svanito e di un futuro che può essere solo immaginato.

I ricordi infatti «sembrano belli perché sono lontani», spesso edulcorati da una mente che si rivela «un’abile truccatrice esperta nel gioco delle luci e delle ombre».

La memoria, dell’anelito civile di Parma come della felicità coniugale di Soneri, è tradita in un caso da un presente di inerti coscienze, dall’altro dallo sconosciuto passato proprio di chi si è creduto di conoscere più di ogni altro.

Una memoria effimera che non resiste al crudele svelamento di un’attualità che non si può dominare, che sfalda certezze emotive come muta il volto dei quartieri, relegando le une e gli altri in un «perimetro di ricordi dolorosi».

La doppia indagine di Soneri – la ricerca dell’assassino di Ghitta, il cui movente si mostra più oscuro al palesarsi di ogni più promettente pista investigativa, e la riluttante, frastornata rilettura della tragica fine di sua moglie – impegna il commissario oltre ogni risorsa, inducendolo in più di un’occasione alla resa.

È confuso, Soneri, privo di una «dimensione certa» al pari della sua Parma sfumata in quella nebbia dicembrina, i suoi ideali civili sconfitti da un presente di false morali, il dolore per la pur lontana perdita della moglie e del figlio, quella «bella storia d’amore, piena di passione e candore», inquinati dal sospetto di una verità incompleta e fittizia.

I polizieschi di Varesi non possono, in nessun caso, essere letti come meri seppur alti esercizi di scrittura crime.

Neppure se, come in questo caso, constano di una trama fittissima e convincente, di abili e verosimili investigatori, di ineccepibili procedure d’indagine.

Intendiamoci, il caso di Ghitta è appassionante e la ricerca del movente, che di continuo muta come l’ingannevole riflesso di un gioco di specchi, trascinante.

Quel che più conta però, almeno per questo lettore, è il permanere di un saldo fil rouge che lega polizieschi e romanzi storico-politici di Varesi nel tracciare grandiosi e convincenti affreschi della nostra storia recente, al mutare delle coscienze e degli scenari sociali.

È là che si muovono i personaggi, frutto della sua invenzione ma non per questo meno carnali, ad assumere, Soneri in primis, una valenza universale.

Emblemi pienamente plausibili del nostro tempo, vivono con persuasiva umanità il palcoscenico di Parma trasfigurato da realtà provinciale a simbolo di un’attualità che fatichiamo a interpretare perché troppo direttamente coinvolti.

Sfila così davanti ai nostri occhi il fallimento di una rivoluzione sessantottina fatta da ragazzi con «le mani color del burro» e una folla di stranieri che colonizza pacificamente le nostre città, non per

cambiare il sistema, ma semplicemente per occupare gli spazi rimasti vuoti

Una civiltà più “giovane” della nostra, ricca ancora di ideali, in contrapposizione a un Occidente esausto e disilluso, destinato a soccombere come poi Varesi stesso dirà ne La legge del Corano (Frassinelli, 2017).

Una società, la nostra, governata da leggi “distratte” che ignorano delitti non codificati ma moralmente ripugnanti (Valerio Varesi, Reo confesso, Mondadori 2021), in cui la voce degli ultimi (Valerio Varesi, Gli invisibili, Mondadori 2020) è sistematicamente tacitata da

i potenti che rispettano solo i potenti. Gli altri li usano

Soneri, degli ultimi, è rimasto un malinconico e forse donchisciottesco paladino, portatore di un senso di giustizia quasi anacronistico quanto inveterato.

Lo persegue con ostinazione, contro tutti, potere in primis.

La verità che ricerca, leggendo indizi e proiezioni dei suoi stessi pensieri in una nebbia che a detta della bravissima Alessandra Calanchi perde qualunque connotazione meteorologica per farsi «cronotopo esistenziale», è la sola a guidarlo lungo l’aspro sentiero della sua rettitudine.

E pur se al termine dell’indagine il colpevole viene consegnato alla giustizia, una malinconia simenoniana scende a venare di insoddisfazione e solitudine il suo operato.

Quel che si lascia alle spalle, Soneri, è

un nulla: idee, politica, ricordi, amori…

Un passato che non siamo in grado di evocare nella giusta prospettiva, nemmeno per

quel poco che il cuore ha saputo ricordare

Editore: Mondadori
Pagine: 300
Anno pubblicazione: 2023

Valerio Varesi (Torino, 1959) vive in provincia di Parma e ha lavorato alla redazione bolognese de La Repubblica.

È autore di sedici romanzi noir con protagonista il commissario Soneri, interpretato da Luca Barbareschi nelle quattordici puntate televisive della serie Nebbie e delitti andate in onda su Rai2.

Autore eclettico, con Sperling & Kupfer nella collana Frassinelli Narrativa ha pubblicato la trilogia storico-politica rappresentata da La sentenza (2012), Il rivoluzionario (2013) e Lo stato di ebbrezza (2015), edita in volume unico nel 2017 con il titolo Trilogia di una repubblica.

Con lo stesso editore, nel 2020, ha pubblicato il romanzo distopico L’ora buca.

Con Mondadori, nella collana Il Giallo Mondadori per librerie, ha pubblicato Gli Invisibili (2019), Reo confesso (2021) e L’affittacamere (2023).

È tradotto anche in Francia, Gran Bretagna, Spagna, Germania, Olanda, Turchia, Polonia e Romania.

Condividi questo articolo:

Potrebbero interessarti anche: