Alessandro Bongiorni e la sua Favola per rinnegati “Una storia senza vincitori”

Milanese, classe 1985, giornalista e pubblicista, Alessandro Bongiorni esordisce appena ventiquattrenne nel panorama letterario italiano con Capitale mortale, in cui compare per la prima volta il personaggio del vice commissario Brambilla, protagonista poi di Se tu non muori, pubblicato nel 2011.

Il luogo in cui Bongiorni ambienta i suoi testi è Milano, città natale, città “estrema” e contraddittoria, che dichiara di amare “a dismisura”. A Milano è ambientato Strani eroi (2018), uno spaccato della storia d’Italia durante gli anni di piombo; e a Milano sono ambientati i libri che hanno per protagonista il vice commissario Rudi Carrera: La sentenza della polvere (2014), Niente è mai acqua passata (2018) e Favola per rinnegati (2023).

Marta ha letto e recensito Favola per rinnegati (leggi la recensione QUI)

Alessandro Bongiorni ha gentilmente accettato di rispondere alle nostre domande.

Thriller life: “Favola per rinnegati” è un titolo intrigante, che sembra quasi un ossimoro, dal momento che unisce due concetti lontani e quasi opposti tra loro. Puoi spiegarci il senso di questo accostamento?

Alessandro Bongiorni: Nasce da un dialogo tra il protagonista, Rudi Carrera, e uno dei due ragazzini Incel autori di una inspiegabile strage in piazza San Marco a Milano. La favola, se vogliamo, è quella che gli attentatori si raccontano per “giustificare” il loro odio; i rinnegati, invece, sono un po’ tutti i personaggi del romanzo.

TL: Milano è la città in cui sei nato e lo scenario di tutti i tuoi romanzi. In Favola per rinnegati è devastata da un attentato che ha l’apparenza dei più classici attacchi terroristici, al punto che viene accostata alla Parigi del Bataclan. La definisci, inoltre, “ferita”, “blindata”, “in lutto” e comunque la poni al centro di traffici internazionali di armi e di droga. Il degrado della città si può considerare come una sorta di co-protagonista nell’economia dell’opera?

A. B: Questo è soprattutto un romanzo sulla solitudine, e Milano, che è una città estrema in ogni aspetto, e oggi soprattutto nelle disuguaglianze, si prestava bene a questa mia idea. È sicuramente la coprotagonista del romanzo, è la mia città, la amo a dismisura e non vorrei vivere in nessun altro posto, eppure ha dei grossi problemi che la politica ha troppo a lungo ignorato trincerandosi dietro i – molti – suoi lati positivi. Il risultato è che adesso i nodi sono venuti al pettine, il costo della vita è esploso, i salari sono tendenzialmente da fame e le persone normali non riescono a comprarsi una casa e sono costretti ad andarsene fuori città. Il quaranta percento dei milanesi residenti in città, quindici anni fa non c’era, mentre chi c’era adesso se ne sta andando: questo la dice lunga.

TL: Anche se il fulcro della narrazione ruota intorno al traffico internazionale di armi, lo spunto per le indagini viene offerto dalla “mattanza di Piazza S. Marco” (come tu stesso la definisci), ispirata agli Incel statunitensi. Come ti sei imbattuto in loro e perché hai scelto di mettere così in risalto questo fenomeno?

A. B: Sono capitato su un articolo di giornale che parlava di Elliot Rodger e sono rimasto scioccato. Ho cominciato a interessarmi all’argomento e ho pensato che ci fosse lo spazio per farlo mio e portarlo “qua”, pur essendo un fenomeno soprattutto americano. Oltretutto, il tema dell’odio in rete è più che mai attuale anche da noi.

TL: I tuoi protagonisti (Carrera come l’Arciere, ma anche Raimondo e Marta Terrasanta, tra gli altri) convivono dolorosamente con i propri ‘fantasmi’ (Rudi afferma addirittura “Io sono i miei fantasmi”). Questo tormento interiore li rende più forti o più fragili agli occhi del lettore?

A. B: Forse solo un po’ più umani. È una storia di sconfitti, questa, non ci sono vincitori in senso classico. La strage di piazza San Marco diventa una scusa che ogni personaggio adotta per fare i conti soprattutto con se stesso e con le sue questioni irrisolte.

TL: Quando hai scritto l’intenso capitolo del faccia a faccia tra Carrera e Robin (le “due schegge impazzite”), avevi già in mente il contenuto de Le grida degli innocenti -spin off della serie- o è un’idea nata a posteriori?

A. B: No, lo spin off è stata una cosa successiva. Me l’hanno proposto da Mondadori e ho accettato al volo, anche perché l’Arciere è un personaggio che mi è rimasto nel cuore e che non volevo (e non vorrei) abbandonare.

TL: Lo stile dei tuoi noir è molto vario e ricco di sfumature, vista la grande flessibilità con la quale sai adattare il modo di esprimersi dei personaggi ai diversi contesti in cui si muovono e data la quantità di termini specifici che usi a seconda dei diversi settori che descrivi. Come arrivi ad ottenere questa multiformità?

A. B: Mi documento molto. Sono un po’ un precisino, quando si parla dei miei libri, quindi cerco sempre di dare tutto quello che ho, di non lasciare niente al caso. Così, se un romanzo dovesse andare male, o non dovesse piacere, potrò sempre dire di non avere rimpianti e che, in quel momento, meglio di così non potevo fare.

TL: Torni alla narrativa dopo un lungo periodo di ‘silenzio’, tanto che hai definito questo libro come una sorta di “nuovo esordio”. Il processo creativo e le modalità di lavoro sono rimasti gli stessi oppure si sono modificati?

A.B: Il metodo di lavoro è tendenzialmente sempre lo stesso. Penso, ripenso, indugio, studio, mi dispero e a un certo punto inizio a scrivere. Non saprei dirti quando, di preciso. E qui però è una lotta. Sono capace di stare settimane su un solo capitolo, finché non lo sento “suonare” come dico io.

TL: Vedresti i tuoi romanzi trasformati in un film o in una serie? A quale attore assegneresti la parte di Rudi Carrera?

A. B: Mi piacerebbe molto. Un film, forse. Per fare Carrera il protagonista perfetto è Mino Francesco Manni, un grande attore teatrale con cui da anni accarezziamo questo sogno comune. Speriamo di riuscire ad avverarlo.

TL: Quali sono i libri che hanno contribuito alla nascita di Alessandro Bongiorni come scrittore?

A. B: È un percorso lungo e tortuoso, che attraversa diverse fasi. Al principio, senza dubbio l’opera omnia di Conan Doyle. Poi I Milanesi ammazzano al sabato e gli altri romanzi di Scerbanenco con protagonista Duca Lamberti. Pinketts e Il senso della frase. Dopo è arrivato Gianni Biondillo con Per cosa si uccide e Con la morte nel cuore. Per svoltare definitivamente con Elmore Leonard, James Ellroy e Don Winslow. Più tanti altri, soprattutto anglosassoni – Chester Himes, Derek Raymond, George Pelecanos, David Peace.

TL: Prima di salutarci quale messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai lettori di Thriller Life?

A.B: Vi auguro di leggere bene. Se tanto & bene, meglio ancora. Ma, soprattutto, leggete bene.

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