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Chiara Forlani: la “strega” dalla faccia angelica.

Chiara Forlani

Chiara Forlani è la protagonista, questo mese, di AutoRi-Tratto, rubrica creata per promuovere talenti che hanno convinto il team ThrillerLife.

La Forlani, vive a Ferrara. I suoi studi spaziano dalle discipline scientifiche a quelle artistiche. Si è diplomata, infatti, al Liceo Scientifico ma laureata in Storia dell’arte.

La sua carriera si alterna tra la passione dell’arte e la letteratura. Dopo aver lavorato presso i musei universitari bolognesi, apre un laboratorio di restauro di opere d’arte. Successivamente si dedica all’insegnamento. In particolare, e questo è un aspetto da sottolineare in quanto molte delle sue opere hanno come protagonisti i bambini, è docente di lettere presso la scuola ospedaliera, dove ogni giorno si rapporta con giovani ammalati.

A guardarla in volto, Chiara Forlani, ha una faccia rassicurante. Una di quelle donne da cui ti aspetteresti di tutto fuorché scriva libri gialli/thriller/noir. Eppure la Forlani è proprio questo, moglie, insegnante, amante dei cani (ne ha due presi al canile) e autrice di diverse opere con al centro fantasmi, inchieste, morti e casi irrisolti.

Tra gli altri ricordiamo, La bambina fatta di niente, La casa delle piccole anime, Delitto sull’Isola Bianca e il suo sequel Il campo delle ossa. Quest’ultimo, edito da Nua Edizioni, recensito da ThrillerLife.

L’autrice si definisce appassionata, cocciuta e curiosa. Quando le chiediamo i suoi tre libri del cuore ci spiazza con tre opere diversissime tra loro: Cime tempestose, i racconti di Edgar Allan Poe e I promessi sposi.

Nella breve video intervista, che potete trovare sui nostri canali social, ci spiega le motivazioni che la legano a Emily Bronte, Edgar Allan Poe e Alessandro Manzoni.

In buona sostanza potremmo definirla una sognatrice con i piedi ben piantati in terra e con un amore spassionato per la storia.

Qualche verità su Chiara

Se cerchi risposte, chiedi alla terra, all’albero, al fiume. La Primavera uscì dall’armadio una domenica di Marzo.

Così recita il tuo stato whatsapp. Quali sono le risposte che ancora cerca e non trova Chiara Forlani?

Sono molto legata a questo motto, nato dalla mia penna, almeno per la prima parte. Riassume in poche parole le ragioni della mia scrittura. Ho sempre sentito la presenza dei miei avi dietro le spalle, per incoraggiarmi. Ho percepito la loro fatica di vivere, sia materiale che spirituale, e li ho resi oggetto dei miei racconti proprio per onorarli. Loro hanno ampiamente ricambiato la mia devozione, facendomi sentire sicura e “giusta”, diciamo protetta.

Ho trascorso l’infanzia in campagna nella casa di mia nonna, anche se sono nata in città. Ero una bambina selvaggia, sempre in giro per i viottoli e i campi, è questo è il valore aggiunto della mia vita. Anche adesso, se cerco risposte vado a passeggiare in campagna, dove ho scelto di vivere, e la mia mente si fa subito aerea.

Le domande che mi faccio riguardano la verità e la giustizia, o meglio l’ingiustizia. Lavoro come insegnante ospedaliera con i bambini ammalati, e si può immaginare quali siano le domande nel merito si possono intuire. Vivo in un mondo popolato di apparenza, ma io cerco l’autenticità.

Faccia rassicurante la tua. Se qualcuno dovesse vedere solo la tua immagine e sapere che sei una scrittrice probabilmente non ti immaginerebbe come autrice di gialli e fantasy mistici. Come convivono queste due personalità?

Mi sorge spontanea una risata da strega! Non sono affatto rassicurante come sembro, tutt’altro. Dentro di me convivono in perfetta armonia tante personalità, dalla più turpe alla più dolce. È questa ricchezza che mi permette di immedesimarmi in tanti ruoli, che sono quelli portati in scena, di volta in volta, dai miei personaggi. In ognuno di loro c’è un pochino di me e credo che sia proprio questa serena accettazione del lato inquietante della mia personalità a fare sì che io sia così serena, nella vita di tutti i giorni.

Il campo delle ossa è la seconda avventura di Foresto. Sei riuscita a scrivere, a mio parere, un soggetto per una serie televisiva. Ne sei consapevole e, soprattutto, ti piacerebbe lavorare in tal senso?

Ne sono consapevole, tanti lettori me lo hanno suggerito e infatti “Delitto sull’Isola Bianca”, il primo romanzo della serie, si è aggiudicato il premio del pubblico nell’ultima edizione del concorso “Una storia per il cinema”. Mi piacerebbe molto che la mia serie approdasse sul grande o sul piccolo schermo, ma sono consapevole che una serie ambientata nel passato ha costi alti di produzione. Tuttavia non demordo da questo sogno, ho provato anche a scrivere una specie di storyboard, ma non ho conosco il mondo dello spettacolo e non so come funzioni. Penso che la serie del Foresto avrebbe successo e sarebbe gradita al pubblico, quindi chissà? Magari un giorno potrebbe presentarsi l’occasione e io ovviamente mi metterei ben volentieri a disposizione della troupe.

Come nasce il personaggio di Foresto?

Il Foresto è l’insieme di tutti i miei avi, tutta la mia gente di campagna che viene dal passato e ogni giorno mi sussurra dietro le spalle: scrivi, Chiara, scrivi! Lui è contraddizione pura, è un giovane uomo contemporaneamente incerto e giusto, focoso e timido. È capace di intuire i pensieri altrui, la vita dei suoi simili per lui è un libro aperto perché tutte le loro ansie, le incertezze, i fuochi che ardono sotto la cenere corrispondono ai suoi.

Foresto era già dentro di me insieme agli altri personaggi, pronto a emergere dalla mia coscienza. Poi un giorno ho incontrato uno sconosciuto sulla golena del Po che mi ha parlato di come si viveva sull’Isola Bianca e la loro storia è nata da sé.

Quando presento i libri della serie proietto un video con le testimonianze dei veri abitanti dell’isola. Ogni volta che lo rivedo mi stupisco di come la realtà che ho immaginato corrisponda alla realtà, dato che ho saputo dell’esistenza del video solo dopo aver scritto l’intera serie. Ecco perché prima ho dichiarato di essere una specie di streghetta.

Quanto è stato difficile scrivere una storia ambientata negli anni 50 e intendo in particolar modo quanto è stato complicato ricostruire il metodo di indagine di quegli anni?

Sono stata molto scrupolosa, mi sono documentata in modo approfondito e ho cercato il confronto con gli storici locali per evitare di fare errori grossolani. Pare che ci sia riuscita, o almeno lo spero. Amo il passato, soprattutto la storia del Novecento, avere un’ambientazione storica mi permette di inserire i personaggi in una determinata cornice e li rende più affascinanti. Ho verificato di persona tutti i luoghi e le attrezzature d’epoca, ho “attaccato bottone” a tutti quelli che potevano aiutarmi. Ricordo bene una mattina di piena estate in una caserma soffocante di provincia, dove un carabiniere gentile, appassionato di storia dell’arma, ha potuto dedicarmi un po’ di tempo e condividere con me le sue conoscenze.

Quando chi scrive è appassionato, gli altri se ne accorgono, tutti sono disposti ad aiutare, a dare il proprio contributo per la buona riuscita della narrazione. Io stessa sono appassionata di antichi documenti e di archivi, perciò mi muovo in un ambito che mi è familiare. La scelta di usare un investigatore dilettante, il Foresto, mi ha aiutata a non sbagliare le procedure. Se anche non si comportasse in modo ortodosso, il lettore sarà portato a perdonarlo in quanto pescatore e traghettatore e non certo inquirente.

Nei tuoi libri, e penso ad esempio a “La bambina fatta di niente”, i protagonisti sono spesso bambini. Perché?

La risposta è duplice. In primo luogo, nelle pagine che scrivo vedo rispecchiata la mia infanzia, quella di una bambina molto curiosa che origliava alla porta quando gli adulti parlavano tra sè. I grandi erano sempre pieni di misteri, immersi in discorsi che mi incuriosivano e nei quali immaginavo segreti e verità inconfessabili, forse spinta dalle troppe letture che mi hanno accompagnata fin da piccola. Mi sembra ancora di udire quelle frasi lontane, non le ho più dimenticate e sono entrate a far parte dei miei libri, spesso sotto mentite spoglie.

La seconda motivazione è che ho la convinzione, un po’ alla stregua del grande Freud, che tutto ciò che avviene nel mondo adulto abbia origine nell’infanzia, quindi nei miei romanzi ricostruisco cause e vicende che possano giustificare i comportamenti dei grandi. Sono attratta dall’infanzia, provo a capirla con il distacco relativo di chi la indaga e ne è affascinata senza esserne coinvolta in quanto madre, dato che non ho figli.

Che consiglio daresti a chi si affaccia nel mondo dell’editoria? Pensa a un giovane che vorrebbe scrivere e pubblicare un libro.

È una domanda difficile, per la natura stessa del mondo dell’editoria, piuttosto sfuggente soprattutto in Italia. Penso che per prima cosa gli suggerirei di credere in se stesso e nella propria passione, di non demordere anche di fronte ai rifiuti o agli insuccessi, ma al contempo lo farei riflettere sul fatto che difficilmente riuscirà a sbarcare il lunario solo scrivendo romanzi. In ogni caso lo spingerei a partecipare ai concorsi letterari, cercando quelli più qualificanti. Io stessa ho preso coraggio arrivando tra i finalisti a diversi concorsi, visto il parere positivo delle giurie ho iniziato a pensare che forse le mie storie potevano piacere anche ai lettori, non solo a me. Farei capire a questo aspirante autore, comunque, che la scrittura è confronto continuo, per crescere e migliorare. Per scrivere qualcosa di sensato e sperare che abbia successo è necessario leggere molto, essere umile ma tenace, avere il coraggio di farsi leggere e non temere le critiche, ma usarle come stimolo per raggiungere una qualità maggiore.

a cura di Emanuela Ferrara

Il campo delle ossa

Nua Edizioni

Recensione di Emanuela Ferrara

Il Foresto non è un personaggio sconosciuto. La Forlani aveva già parlato di lui e delle sue vicende in Delitto sull’Isola Bianca.

Questo lascerebbe pensare che senza questa prima lettura sia inutile affrontare Il Campo delle ossa. Niente di più sbagliato.

Certo, conoscere Attilio Malvezzi aiuta ma non è assolutamente necessario ai fini della comprensione della trama. Nello scorrere della storia, infatti, ci sono molti rimandi al libro precedente, il che permette al lettore di non perdersi.

Calarsi negli anni ’50, più precisamente nel 1951, non era affare semplice ma Chiara Forlani ci è riuscita benissimo.

Nessuna, o quasi, sbavatura. Soprattutto riprodurre i metodi di indagine di quel periodo non è facile e cadere nell’errore è semplice.

Cosa che non accade mai nelle pagine de Il Campo delle ossa.

Da ciò si evince il grande lavoro di studi che l’autrice ha sostenuto prima di dedicarsi alla stesura del romanzo.

Il libro può essere definito un noir a tratti forte ma con una vena delicata, tipica della scrittura della Forlani.

Questa vena la si trova soprattutto nella ricostruzione storica dell’Italia del dopoguerra.

La vicenda è ambientata nella campagna ferrarese e i personaggi sono i poveri che cercano di ricostruirsi una vita dopo la Guerra da poco terminata.

Descrivere quest’Italia avrebbe potuto appesantire la trama che risulta, invece, non solo scorrevole ma soprattutto avvincente.

La tensione, elemento forte dei noir, è più che presente in particolar modo nel finale.

Il lettore risulta affascinato dal personaggio principale e dalle sue indagini tanto da rimanere incollato allo scorrere delle pagine per capire come andrà a finire.

Il Campo delle ossa è una finestra aperta sul degrado, l’ignoranza, il pregiudizio e la follia.

È la storia di bambini mai nati o rimasti poco al mondo, così tanto poco da non lasciare nessuna traccia o quasi.

E anche qui, quanto sarebbe stato facile cadere nel pietismo e nei sentimentalismi?

Chiara Forlani riesce a far riflettere ed emozionare senza però cadere nel banale. Questo è il suo
grandissimo punto di forza.

Un noir deve essere un noir anche quando al centro di esso ci sono bambini morti. La tristezza ti assale, questo è certo, ma non ti svia.

Leggendo riesci a rimanere concentrato sul Foresto e sul caso in oggetto scoprendo, solo a lettura terminata, che i conti con il passato Chiara Forlani è riuscita a farteli fare.

Storia e mistero si uniscono in maniera precisa in questo noir dalla doppia faccia.

Se da un lato Chiara Forlani ci lascia con il fiato sospeso per le indagini in corso, dall’altro ci avvicina a sentimenti forti e contrastanti.

Come dicevamo, siamo nell’Italia degli anni ’50 dove tutto è bello e tremendamente difficile allo stesso tempo. Siamo immersi in una storia raccapricciante dove cadere in banali sentimentalismi sarebbe stato fin troppo facile.

Sarà il lavoro di Chiara Forlani, insegnante di letteratura in un ospedale pediatrico dove malattia e morte si affacciano in continuazione, sarà il suo metodo di scrittura ma Il Campo delle Ossa è un pugno nello stomaco dal quale vorresti non separarti più.

Già, perché la Forlani si fa leggere tutta d’un fiato.

Ti fa emozionare ed incazzare nello stesso momento.

Ti affascina e ti porta nel baratro senza darti tregua ma lo fa con delicatezza, con un’amorevole scrittura che proprio non riesci a chiudere il romanzo.

Hai solo voglia di portarlo al termine.

Che dire di più?

Leggere i romanzi dell’insegnante ferrarese è un viaggio immersivo nella storia e nel mistero dal quale si resta sempre affascinanti.

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