Domenico Wanderlingh: un nuovo caso per Anita Landi

Domenico Wanderlingh è il graditissimo ospite di oggi nel nostro spazio dedicato alle interviste.

Domenico Wanderlingh è nato a Palermo ma vive tra Milano e Città di Castello. Dopo aver autopubblicato due romanzi e un’antologia di racconti molto apprezzati in rete, ha esordito in libreria con la serie dedicata alle indagini dell’ispettrice Anita Landi.

Il primo caso, Il passato non si cancella, è stato riproposto in TEA nel 2023.

L’enigma della carta Varese, letto e recensito per Thriller Life Qui da Erika Giliberto, consacra la figura investigativa dell’ispettrice capo Anita Landi.

L’autore ha gentilmente risposto alle nostre domande:

Thriller Life:  Anita Landi è una donna in cui ci si può riconoscere e che durante tutta la storia non si smette di ammirare. Le sue debolezze sono la sua forza e col suo carattere deciso riesce a farsi rispettare da tutti. Per creare questo personaggio così determinato, a chi si è ispirato?

Domenico Wanderlingh:  All’immagine che ho delle donne spesso costrette a doversi dividere tra famiglia, lavoro, impegni e perciò chiamate ad avere un equilibrio e una capacità organizzativa e di analisi maggiore rispetto a quella degli uomini. E penso anche alle madri di Plaza de Majo che sfidarono il regime fascista argentino rischiando la vita pur di conoscere la sorte dei loro mariti, figli e fratelli, i desaperecidos: queste sono eroine vere.

TLNella storia sono presenti molti personaggi, ognuno con delle caratteristiche ben precise. È stato difficile crearli e caratterizzarli? Ha utilizzato un particolare metodo di scrittura per diversificarli?

DW: Creare i personaggi è l’aspetto più divertente. Parto dal nome e cognome per passare alle caratteristiche: nevrosi, intercalare, passioni, curriculum, hobby, in sintesi invento la loro storia, il loro background. Tutti i personaggi dei miei libri hanno una propria dignità, una descrizione nel quaderno dei miei appunti; a volte è una paginetta scarsa, per altre studio anche l’infanzia. È un lavoro lungo ma solo così riesco a dare forza anche ai comprimari.

TL:  In questo romanzo si nota la costante presenza di rapporti familiari. Ad esempio, Anita ha perso i genitori prematuramente. È molto sentita la tematica del rapporto fra genitori e figli, come mai ha sviluppato questo argomento?

DW: Secondo me la famiglia è la base di tutto, e da lì che si parte. Volenti o nolenti siamo formati in quel contesto e non è un caso che la maggior parte delle fobie nasca dall’infanzia o dall’adolescenza. Il dialogo tra genitori e figli deve essere quotidiano, incentrato sull’ascolto attivo, interessato, rispettoso da ambo le parti. Purtroppo a volte vince l’egoismo, la superbia, il disinteresse, ci si allontana e i rapporti si sfilacciano. Essere genitori è quasi un lavoro e anche essere figli non è facile per niente ma parlarsi, discutere, confrontarsi è di grande aiuto, nutre la crescita di entrambi.

TL:  Lo svolgimento della storia è intricato ma anche intrigante, sa tenere alta l’attenzione del lettore. Qual è il segreto per sviluppare una trama di questo tipo?

DW: Credo che il plot non debba mai essere lineare, piatto, per questo inserisco sottostorie che arricchiscono la trama gialla. Un altro aspetto da non sottovalutare sono i sentimenti, la vita quotidiana del personaggio principale, i suoi rapporti umani, elementi che devono essere presenti ma mai sovrastare la vicenda noir; la riuscita di un’opera è frutto di un giusto mix.

TL:  Nella storia sono presenti diversi flashback, l’uso di questo espediente narrativo è stato voluto sin da subito o è stata una scelta operata in corso d’opera?

DW: Per costruire molte delle mie trame utilizzo l’analessi – in altri termini, il flashback – perché sono convinto della veridicità del proverbio inglese che recita “old sins have long shadows” i vecchi peccati hanno ombre lunghe. In poche parole, il movente di un crimine compiuto oggi, a volte deriva da un atto del passato. Questi salti indietro nel tempo, a prima vista appaiono insensati, senza motivo, decontestualizzati e il loro significato apparirà chiaro nelle ultime pagine del racconto. Il mio consiglio – che vale per tutti i libri che utilizzano questa tecnica – è concentrarsi sui flashback perché proprio lì, molto spesso, c’è la soluzione del giallo.

TL:   Appena si legge il titolo del libro, si rimane spiazzati, la domanda che ci si pone subito è: cos’è la carta Varese? Da dove nasce l’idea?

DW: La storia è affascinante, potrebbe essere oggetto di un libro sull’industria della Repubblica di Venezia e su quella italiana.

È una carta creata nel 1700 a Bassano del Grappa dalla stamperia Remondini (tra l’altro produssero uno dei primi pannelli del gioco dell’oca e della tombola oltre a libri devozionali e stampe di santi) e dopo la chiusura degli stabilimenti e varie traversie, le matrici originali in legno furono acquistate dalla contessa Ponti Pasolini di Varese nel 1900 che trasferì l’intera produzione proprio a Varese, istituendo una società, la PISP. L’articolo di maggior successo fu una carta leggera e resistente che veniva usata per foderare i libri, i cassetti e gli interni degli armadi, carta che riproduceva il giglio fiorentino.

L’idea è nata grazie a due amiche citate nei ringraziamenti. Avevo pronta la prima bozza del libro ma non ero soddisfatto. Mi chiesero se conoscessi la carta Varese ed ebbi un flash. Tornato a casa, inserii quell’elemento nel racconto e fu determinante.

TL:  Come mai ha deciso di ambientare il romanzo a Milano e non a Palermo, ad esempio, sua città natale?  È nominata anche Talamone: potrebbe essere il luogo dove si svolgerà il prosieguo della storia, se ci sarà?  

DW: Vivo da sempre a Milano e da venticinque anni anche a Città di Castello. In Sicilia torno tutti gli anni, non riesco a rinunciare al mare, al sole, alla sabbia di Marina di Ragusa. A Talamone, un borgo meraviglioso di trecento anime affacciato sul Tirreno, ha la casa Anita, sono lì le sue radici; Milano l’ha sempre considerata una tappa obbligata. In futuro chissà … magari potrebbe trasferirsi all’estero oppure a Torino, altra città carica di un fascino misterioso e perché no, anche a Trieste.

TL Lei è riuscito a creare un personaggio femminile molto forte. Non ha mai pensato che l’ispettrice potrebbe diventare la protagonista di una serie TV? Ipoteticamente, quale attrice, vedrebbe bene in quel ruolo?

DW:  Mi farebbe piacere, anzi, farei i salti di gioia se Anita approdasse sul piccolo schermo. Ho un’attrice italiana in mente ma non dico nulla per scaramanzia. 

TL:  Da cosa è scaturita l’idea di iniziare una serie dedicata all’ispettore Anita Landi? Quali difficoltà ha incontrato nello sviluppo delle vicende della protagonista?

DW:  Ho sempre scelto protagoniste femminili per i miei gialli, le trovo più interessanti da descrivere, molto complesse e per questo intriganti. Non ho avuto difficoltà a delineare le caratteristiche generali di Anita e per quelle sportive, ho avuto l’aiuto prezioso di Enrica Cipolloni, una campionessa di eptathlon delle Fiamme Oro, un’atleta in carne e ossa.

TL:  Senza anticipare nulla, per chi ancora non ha letto il libro, il finale rimane aperto. Ha già in mente una nuova avventura per Anita Landi?

DW: Non smetto mai di pensare a cosa farà Anita nel 2025 e lei ferma non ci sa stare!  Molti mi scrivono per chiedere anticipazioni o per darmi la loro visione. È un aspetto fantastico quando la tua protagonista entra nell’immaginario dei lettori.

TL:  Le indagini e le autopsie sono descritte con dovizia di particolari e in modo alquanto preciso, di quale tipo di consulenza si è avvalso?

DW: È un tema centrale: nessuno è un tuttologo. Per scrivere un giallo è indispensabile avere consulenti tecnici e se sono amici è tutto più semplice, li puoi disturbare anche a orari indecenti. Occorre conoscere le procedure di Polizia Giudiziaria, della Scientifica, del patologo e nei miei thriller anche di psicologia, non necessariamente criminale. Anche qui, è imprescindibile dosare il tecnicismo perché non risulti stucchevole, i noir non sono compendi di diritto penale e qualche licenza, per puro scopo narrativo, si deve prendere … nella realtà, per un referto di autopsia non bastano ventiquattr’ore, un esame del DNA non è immediato come appare nelle serie TV, invece nei racconti è un’altra cosa, c’è una fantastica efficienza.

TL:  Una curiosità: Anita ascolta a tutto volume le canzoni di Gianna Nannini. Come mai proprio questa cantante? È la sua preferita?

DW: Amo il rock anche quello molto pesante. Anita è toscana e ho deciso che le piacesse Gianna Nannini, toscana anche lei, regina del rock italiano, una donna fantastica che ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere. Per dirla tutta, i miei preferiti sono i Foo Fighters ma in generale mi piace tutta la musica, anche la Disco anni ottanta che mi ricorda i tempi che furono. Il rap non è molto nelle mie corde, per buona pace del mio grande amico Big Fish. 

TL:  Che consiglio darebbe a un aspirante scrittore che volesse scrivere un thriller di questa portata?

DW: È fondamentale leggere molto, non solo libri gialli. E per farsi un’idea di questo mondo, spazierei da Simenon a Mankell, dalla Christie alla Lackberg, da Van Dine a Nesbø. Una buona base sono i libri pubblicati da Polillo, dei mistery anglo americani dagli anni venti agli anni quaranta, dei noir deliziosi.

 TL: Prima di salutarci, quale messaggio o augurio le piacerebbe lasciare ai nostri lettori?

DW:  Auguro di continuare a trovare nella letteratura momenti di evasione e spunti di riflessione. Ciascun libro è un’avventura arricchente, in un tempo e uno spazio dedicato a se stessi.

Thriller Life ringrazia Domenico Wanderlingh per la cortesia e per la sua disponibilità.

A cura di Erika, Alessia, Claudia

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