Paolo Ricchiuto: “Quando l‘amore si ammala, le conseguenze possono essere terribili”

Paolo Ricchiuto

Oggi abbiamo il piacere di ospitare nel nostro spazio dedicato alle interviste Paolo Ricchiuto, avvocato con l’hobby del tennis, all’esordio come scrittore con Le chiavi di casa, edito Giunti e recensito qui dalla nostra Federica Cervini.


Paolo Ricchiuto ha gentilmente risposto alle nostre domande:

Thriller Life: Le chiavi di casa è il tuo primo romanzo ed è un thriller psicologico: come è nata l’idea della trama?
Paolo Ricchiuto: Ho sempre avuto la passione per la scrittura, e dopo altri romanzi (inediti) di tutt’altro genere, mi è venuta voglia di provare a costruire una struttura narrativa giocata tutta sulla tensione psicologica. Non ho mai considerato importante misurarmi con i canoni classici del genere: il mio unico obiettivo era creare una storia in cui i punti di svolta fossero basati sul disagio interiore dei protagonisti, sui loro sentimenti. Avere in tasca le chiavi di casa di qualcun altro, era un buon inizio.

TL: La casa riflette la nostra essenza, la nostra intimità, è il luogo dove ci rifugiamo per cercare tranquillità e sicurezza: che significato può avere, per chi la subisce, la violazione di uno spazio così privato ed intimo ?
Nel caso specifico, ciò che vive Marco a casa di Sveva e Vittorio, può considerarsi una forma di violenza o solo un capriccio?

PR: Marco, nel momento in cui decide di entrare in quella casa, non ha assolutamente chiaro quale sia il suo obiettivo. La violazione, via via sempre più spietata di ogni angolo di quegli spazi, è un gorgo nel quale si trova a precipitare, combattendo ogni istante con la voglia di andare avanti, e quella di scappare via.

TL: Cosa tiene uniti Sveva e Vittorio? E cosa unisce invece Sveva e Marco ?
PR: Quando scoprono l’amore, ognuno a suo modo, Marco Sveva e Vittorio sono al liceo, e non hanno gli strumenti per capire bene cosa gli stia accadendo.
Sveva intravede un sentimento puro nei confronti di Marco, veicolato da una comunanza di interessi (la letteratura, la politica, l’arte). Sceglie però di affidarsi alle braccia sicure di Vittorio, che disegnano davanti a lei una strada solida e sicura.
Chissà, forse è un bivio di fronte al quale si sono trovati in molti. Salvo poi esser costretti dalla vita a rimettere tutto in discussione.

TL: Marco, Sveva, Vittorio, Piggi e Boss sono amici fin dai tempi del liceo: che significato ha l’amicizia nel mondo degli adolescenti e poi nel mondo degli adulti?
PR: Io credo che, nella vita delle persone, l’amore degli amici abbia la stessa dignità di quello che lega ognuno al proprio partner. Crescere insieme crea legami che vanno oltre il tempo. Ma porta con sé anche le ferite dell’adolescenza, le prime sconfitte, i primi inciampi. Chi ha avuto la fortuna di tenersi vicino per tutta la vita gli amici della propria infanzia, ha con sé un bagaglio pieno di cose, luminose e scure. Ho voluto provare a raccontarlo.

TL: L’amore malato è il fulcro attorno al quale si snoda l’intera storia del tuo romanzo, è anche una tematica tristemente attuale, perché hai scelto di trattare proprio questo aspetto delle relazioni amorose e quanto ha influito la tua professione di avvocato anche rispetto alla profonda conoscenza della psiche umana che dimostri di avere in queste pagine?
PR: L’amore si ammala, sì. E può andare fuori controllo. E’ proprio quella, la zona che mi interessa di più. Dove ci si ritrova (come Marco) a fare cose che vanno oltre le proprie intenzioni.
La mia esperienza professionale non ha un gancio diretto con questa deriva (mi occupo di altro). Ma mi ha sempre affascinato, anche nelle relazioni lavorative, intravedere il posto di confine dove le persone possono precipitare.

TL: Nella seconda parte del romanzo entra in scena F., un personaggio importante ma di cui non si rivela il nome. Cercando di non rivelare troppo per chi ancora non avesse letto il libro, puoi raccontarci i motivi alla base di questa scelta narrativa e perché proprio per questo personaggio?
PR: F. è una persona che ha fatto un percorso chiaro, militante. Ed ha sempre vissuto la sua omosessualità come una bandiera da sventolare, tanto da nascondersi dietro questa specie di pseudonimo neutro. Mi piaceva immaginare cosa può accadere, anche in un contesto come questo, nel momento in cui tutte le sovrastrutture di quel mondo vengono meno. In fondo F., come tutti gli altri, si ritrova a perdersi.

TL: Parallelamente al passaggio dalla prima parte del romanzo con protagonista Marco, alla seconda, ventisette anni dopo, con protagonista Sara, si assiste anche a un cambio di ambientazione e la vicenda si sposta da Roma a Milano.
Mentre Roma è stata la città del divertimento, degli anni felici del liceo; Milano è la città del lavoro e dell’efficienza, luogo ideale in cui fuggire dal passato confondendosi tra la folla che corre. Perché questo passaggio da una città ad un’altra e qual è il valore e la funzione che volevi attribuire alle due metropoli all’interno della trama ?

PR: Roma, nella mia esperienza, è la città della leggerezza, del sole, dei giri in motorino. Quando Sveva si ritrova a dover scappare il più lontano possibile, lasciandosi alle spalle ogni traccia del suo passato, arriva quasi naturalmente a Milano. Una città che adoro, ma che si muove su ritmi nei quali è facilissimo rimanere nascosti, a sé stessi ed agli altri.
Mi ha sempre interessato quel grande pezzo di umanità che si muove tra Roma e Milano per lavoro. Due terminali così diversi, ma in qualche modo legati tra loro.

TL: “Magari nascondersi in un gregge può essere l’unico modo di respirare, certe volte”: è’ questo il segreto per sopravvivere quando una tragedia cambia l’intero corso della tua esistenza ?
PR: Forse sì. E non solo se c’è da dimenticare una tragedia. Ci si nasconde in un gruppo anche per sublimare le proprie ansie, o far finta che non esistano e tenerle a distanza. Credo che sia un tema molto importante in questo tempo, in cui il gregge “telematico” è ancora più semplice da frequentare.

TL: Una domanda circa la meravigliosa copertina del tuo romanzo, che raffigura una casa stilizzata creata con i fiammiferi: è una casa bruciata le cui fondamenta sono esse stesse fiammiferi bruciacchiati ed in parte accesi; nel romanzo c’è una casa che metaforicamente sta per prendere fuoco, quindi distruggersi – laddove casa significa sostanzialmente famiglia, rapporti umani.
Che significato ha per te la casa sulla copertina?

PR: Io adoro la copertina. E mi date l’occasione per ringraziare ancora Rocio Isabel Gonzales, che l’ha realizzata per Giunti. Non avrei potuto immaginare di meglio, per rappresentare graficamente una casa (il cuore di Marco, quello di Sveva) che ha preso fuoco ed è rimasta in piedi per miracolo su pilastri bruciati, salvo poi incendiarsi di nuovo nell’unico punto di contatto che la vita presenta ai protagonisti.

TL: Prima di lasciarci, quale messaggio o augurio vorresti inviare ai lettori di Thriller Life?

PR: Auguro a tutti, ed a me stesso, di non perderla mai, quella meravigliosa voglia di tornare di corsa a casa, per immergersi di nuovo tra le pagine di una storia che ti ha per qualsiasi ragione rapito.

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