REVIEW PARTY
La taverna degli assassini
Anno del Signore 1793. Granducato di Toscana. Mastro Cecco dell’Otre, aggirandosi per la tenuta del Barone di Calendimarca per cui lavora, si imbatte in un cadavere avvolto in una vite. Per far luce sul mistero, ma senza destare clamori, il Barone invita Vitale Federici, accompagnato dal suo nobile apprendista Bernardo della Vipera, a indagare con discrezione. Il precettore viene avvelenato la prima sera, salvato in extremis dal medico del Barone. Il mistero si infittisce, i rapporti commerciali Oltralpe sembrano alla base di questi complicati enigmi. Il Castello di Calendimarca è teatro di intrighi e delitti e venirne a capo è sempre più difficile, ma l’intelletto sopraffino di Federici riesce infine a sbrogliare la matassa degli interrogativi.
RECENSIONE
Intuire con l’ausilio del solo intelletto ciò che non è possibile vedere o toccare, distingue l’uomo dall’animale. O meglio, il filosofo dal sempliciotto
Vitale Federici, il protagonista de La taverna degli assassini, viene presentato in tutta la sua pomposità intellettuale sin dalle prime righe.
Questo, però, viene compensato da una serie di mancanze a livello sociale.
Cadetto reietto di Urbino, costretto all’esilio per aver puntato il dito verso la verità, discende da una casata estinta.
Nonostante la giovane età, arguzia e conoscenza sono due doti che lo elevano sopra la media e che di certo egli stesso non manca di sottolineare in più occasioni.
Il magister, infatti, ha una grande opinione di sé, tanto che appare risentito quando viene fatto entrare in casa del Barone da stalle e cucine, al pari della servitù.
Si dimostra molto attento a retaggi, scale gerarchiche e relativi costumi.
Si direbbe che Simoni abbia voluto rievocare i tanto amati Holmes e Poirot, intelletti superiori circondati da menti più comuni che li fanno risaltare.
Con piccoli dettagli, l’autore disegna un Federici alla stregua dei suoi illustri predecessori, che nota i minimi particolari che ai comuni mortali sfuggono, distinguendosi per il suo acume.
E, come tradizione secondo Agatha Christie e Sir Arthur Conan Doyle vuole, Vitale mette le carte in tavola per la risoluzione del caso durante la festa di Natale dove tutta la nobiltà della zona, ma anche la servitù del Barone, è radunata.
Ovviamente in un’unica stanza.
In effetti si prospetta come un giallo classico, dove l’eroe non ha una trasformazione emotiva – è la trama a trainare la storia −, ma parte da una situazione intellettuale sicura e si conferma per quello che è, risolvendo abilmente il caso.
Accanto alla figura stoica di Federici, viene affiancata quella di un giovane di nobili origini, Bernardo della Vipera, il suo apprendista, un ragazzino impacciato e timoroso.
Egli, al contrario del mentore, sembra avere una crescita emotiva non indifferente: la disavventura al Castello Calendimarca fa esplodere il coraggio che si annida in fondo al suo cuore, in contrapposizione ai conflitti familiari e personali che lo attanagliano.
Quello che più colpisce sono la chiarezza e la semplicità di Simoni nel delineare trama, personaggi e conflitti.
In La taverna degli assassini, nulla è lasciato al caso, ogni dettaglio è funzionale alla storia, persino quello che appare più insignificante.
Anche questo contribuisce, a mio parere, a rendere la lettura molto scorrevole. Sin dalle prime righe, si accende e si perpetua la curiosità nel lettore per questi luoghi intrisi di mistero.
Notevole anche la maestria dell’autore nel disseminare efficacemente indizi nella trama che fuorviano il lettore, sempre più intrigato.
Il ritmo dell’intero romanzo è incalzante: uno dopo l’altro, si dispiegano nuovi quesiti che arrovellano la mente del fruitore.
Non si riesce a smettere di leggere.
I dialoghi sono appropriati e spesso divertenti, soddisfacenti e stuzzicanti e, cosa non meno importante, fanno sempre procedere la storia.
Simoni utilizza un linguaggio arcaico, adeguato all’epoca, condito da inflessioni e modi di dire tipici toscani.
Gli interlocutori si danno del “voi”.
Il narratore è alla terza persona con punto di vista mobile e si sposta su alcuni personaggi, a seconda delle esigenze.
Fenomenale anche la capacità di mostrare con piccole ma strategiche sequenze narrative il ruolo e l’aspetto fisico dei personaggi.
Le descrizioni sono molto originali.
Attraverso i cinque sensi, il lettore si immerge nel luogo e nel momento.
Ad esempio, per descrivere la taverna e il freddo fuori, parla del fumo della pipa e del focolare che dà un calore quasi corroborante rispetto al gelo esterno.
Davvero apprezzabile la tecnica dell’istantanea per descrivere una situazione: “taverna piena di gente rude col volto seminascosto da berretti o cappellacci”; con poche e semplici parole l’autore ha delineato la scena.
Spesso si serve dei dialoghi per descrivere, senza risultare noioso e ridondante, anzi, ancora più interessante.
Ottimo l’utilizzo di figure retoriche: il maniero appollaiato sulla rupe come un rapace rende immediatamente e senza dubbio l’idea.
La taverna degli assassini si apre con un prologo che si conclude con un cliffhanger, lasciando il lettore col fiato sospeso da subito.
Per dare una sferzata alla storia, verso la fine Simoni ribalta come una clessidra la vicenda, creando un colpo di scena davvero inaspettato, che solo la mente di Federici può spiegare.
I capitoli sono sempre brevi.
Queste, a mio avviso, sono tutte tecniche apprezzabili per meravigliare e non annoiare mai il lettore.
A livello stilistico Marcello Simoni è davvero superbo.
Inoltre, l’autore rivela curiosità storiche, come il fatto che i medici dell’epoca, per arrotondare, dovessero occuparsi anche di stilare oroscopi e preparare filtri d’amore, come Nostradamus.
Ma non cade mai nell’infodump, ogni singola parola è studiata per la sua finalità.
Numerose sono le citazioni e i riferimenti ad altre grandi opere, tese a rafforzare la figura erudita e inossidabile del precettore, il quale fa sfoggio anche di miti per dispiegare il messaggio principale della narrazione.
“I sensi ingannano a volte, bisogna guardare aldilà di quel che vedono gli occhi”, la differenza tra conoscenza sensibile e intelligibile, come ci insegna il mito della caverna ne “La Repubblica” di Platone.
Uno dei temi principali è quello della lotta tra intelletto e aristocrazia, di cui Vitale Federici e Leonberto Calendimarca si fanno portatori.
L’intelligenza contro la nobiltà. L’agilità di pensiero contro il privilegio del sangue
scrive Simoni.
Giunti alla fine, il protagonista dà un ultimo insegnamento al suo discepolo e a tutti noi, prima di lasciare le colline innevate di Calendimarca, concludendo così la sua indagine baciata dal successo:
La verità non è mai una cosa bella. Anzi, spesso si presenta a chi la scopre con le sembianze di un mostro orrendo. Ed è proprio questa sua spaventosa, inaccettabile bruttezza a rendere inviso al prossimo chiunque tenti di descriverla
Il messaggio principale de La taverna degli assassini è inappuntabile: la verità troppo spesso fa male e chi la porta alla luce risulta ostile a chi la apprende.
La felicità può esistere solo in assenza della verità, sottolinea Simoni con la voce di Vitale.
Nelle note finali, Simoni dichiara di ispirarsi al clima di tensione che regnò nel 1793 tra il granduca di Toscana Ferdinando III e la Repubblica francese, ma nomi, casate e fatti sono di fantasia.
Mentre vini e veleni sono veritieri e documentabili.
Editore: Newton Compton Editori
Pagine: 224
Anno pubblicazione: 2023
AUTORE
Definito l’unico legittimo erede di Umberto Eco (ma più divertente del maestro) da Antonio d’Orrico de “Il corriere della sera”, Marcello Simoni è nato a Comacchio nel 1975.
Ex archeologo e bibliotecario, laureato in Lettere, ha pubblicato diversi saggi storici.
Con Il mercante di libri maledetti, suo romanzo d’esordio, è stato per oltre un anno in testa alle classifiche e ha vinto il 60° Premio Bancarella.
Ha vinto inoltre il Premio Stampa Ferrara, il Premio Salgari, il Premio Il corsaro nero e il Premio Jean Coste.
La saga del Mercante ha consacrato Marcello Simoni come autore culto di gialli storici: i diritti di traduzione sono stati acquistati in venti Paesi.