Questa intervista a Massimo Carlotto è per noi un po’ speciale perché ci accompagna nell’inaugurazione del nostro sito.
Dopo il suo esordio nel 1995 con Il fuggiasco, Massimo Carlotto avvia una copiosa produzione letteraria, tra romanzi, racconti, saggi e sceneggiature, vincendo numerosi premi, tra cui il Premio Scerbanenco per Il maestro di nodi, e arrivando finalista all’Edgar Allan Poe Award.
Il suo personaggio più noto e amato dal pubblico è forse l’Alligatore, ma Carlotto non ha voluto adagiarsi nella comoda consuetudine di un personaggio ricorrente e sposta continuamente lo sguardo narrativo per raccontare la società in cui viviamo attraverso il punto di vista degli ultimi, gli emarginati, i criminali, individuando di volta in volta il protagonista più adatto a raccontare la storia.
Ne Il Francese, che rappresenta il suo esordio nella storica collana del Giallo Mondadori, il protagonista è un criminale particolarmente odioso, un protettore che manipola le donne per il proprio tornaconto.
Massimo ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune nostre domande
Leggendo Il Francese si sarebbe portati a definirlo angoscioso non tanto per i fatti criminali che narra ma, soprattutto, per la visione dell’universo interiore del protagonista. Toni Zanchetta non è propriamente un “cattivo” in termini letterari, ma un uomo privo di qualsiasi connessione con gli altri, della pur minima capacità empatica: un criminale che agisce esclusivamente secondo convenienza, senza alcuna legge morale a guidarlo.
Perché la scelta di un protagonista così ostico?
A mio avviso non è ostico ma realistico. E nel noir i personaggi devono avere questa caratteristica. Non tutti i criminali possono diventare protettori. Si tratta sempre di soggetti crudeli e feroci, unicamente concentrati sul dominio delle esistenze altrui per arricchirsi. Riescono nell’intento grazie alle loro straordinarie capacità manipolatorie. Nel mondo criminale gli universi interiori si diversificano a seconda delle specializzazioni.
Il Francese è un cattivo che tende a manipolare anche i lettori per risultare “simpatico”.
Nel libro, il pregiudizio della polizia nei confronti del protagonista è odioso, ma anche esatto: nelle parole del Commissario, Franca Ardizzone, un criminale deve stare in carcere anche quando è innocente del delitto che gli viene attribuito, perché intrinsecamente inadatto a vivere insieme agli altri. Proseguendo nella storia, però, Toni finisce effettivamente per macchiarsi di azioni terribili.
Le persone sono davvero incapaci di cambiamento?
Il pregiudizio del commissario Ardizzone nei confronti del Francese rientra nella normalità della repressione dei fenomeni criminali. Quando si ha la certezza che un soggetto delinque e rappresenta una reale pericolosità sociale, si approfitta di ogni occasione possibile per toglierlo dalla circolazione. La realtà è questa da tempo immemore. Indubbiamente sbagliata sotto il profilo delle garanzie giuridiche ma comprensibile nell’ottica di coloro che combattono il crimine affrontando enormi difficoltà.
Toni si è sempre macchiato di azioni terribili, lo racconta lui stesso quando ricorda la sua “formazione professionale” con le prostitute albanesi. L’Ardizzone intuisce il dramma delle sue vittime e poco le importa se è davvero colpevole o è innocente.
Toni potrebbe cambiare, se i criminali non sono psicopatici o sociopatici il reinserimento è sempre possibile. Certo il processo non è immediato e necessita di aiuti concreti sul piano psicologico e da quello sociale con un’offerta di alternativa concreta.
Toni Zanchetta ha l’aura del perdente predestinato non per la sua storia personale ma per la sua forma mentale. Privo di interessi, di un proprio universo emotivo, ha come unico scopo fare soldi con cui acquistare beni effimeri, che abbandona con la stessa indifferenza che riserva alle persone di cui ha abusato per ottenerli.
Questa descrizione non si adatta anche alla società in cui viviamo?
Certamente. Infatti nel noir crimini e criminali sono strumenti, una sorta di lente d’ingrandimento per osservare da vicino il mondo che ci circonda. Ma il Francese non si percepisce come perdente, non è consapevole dei vuoti della sua esistenza. Fare soldi per sprecarli nell’effimero riguarda larghe fasce di persone e alcune usano il crimine per accumulare. Lo leggiamo tutti i giorni nelle pagine di cronaca: corruzione, truffe, evasioni fiscali, traffico e smaltimento di rifiuti, sofisticazione alimentare…
Un ultima considerazione: il noir si fonda sul pensiero che viviamo in una società criminogena che sviluppa fenomeni criminali e strutture e leggi per contrastarli, in una spirale senza fine.
Le ragazze del tuo libro sono delle vittime della società e i “cattivi”, che siano mafiosi dell’est, direttori di banca o funzionari di stato disposti a tutto per la carriera, sono mossi unicamente da una avidità che appare puerile. L’unica autentica prospettiva di salvezza, per Zanchetta, sembra a un certo punto l’analisi, che però Toni risolve con un succedaneo farmacologico.
Secondo te il criminale, quando non è una vittima, è un malato mentale?
Il succedaneo farmacologico è un rimedio per milioni di persone in Italia. Un altro numero consistente si affida ai terapeuti. Ma nella stragrande maggioranza dei casi non si tratta di soggetti affetti da patologie. Zanchetta a un certo punto della sua storia, soffre di depressione e tampona la situazione con il prozac. D’altronde il suo mondo è andato in pezzi, dopo una vita trascorsa a dominare, ingannare e a sfruttare il prossimo
è costretto a reinventarsi. Ma il criminale non è mai vittima e tantomeno lo è il Francese nonostante quello che gli accade.
Ne Il Francese i personaggi femminili sono sempre ricchi di sfaccettature, i personaggi maschili invece, a partire dal protagonista, non lo sembrano altrettanto. E’ una scelta legata a questo specifico romanzo o riflettono una tua visione dell’universo femminile?
In questo periodo storico l’universo femminile è l’unica cosa veramente interessante a livello letterario. Ne sono convinto e da qualche romanzo a questa parte mi sto concentrando su questo aspetto. Il Francese è una figura sociale creata dal patriarcato, il maschio mediatore tra i clienti e le prostitute e come tale (come giustamente sostengono alcune delle protagoniste del romanzo) va eliminata.
Prima di salutarci e, anzi, proprio per inaugurare un saluto d’eccezione, che messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?
Noi lettori siamo fortunati, privilegiati rispetto a coloro che preferiscono privarsi della lettura. Come scriveva Eco, ogni volta che apriamo in un libro entriamo in un mondo sconosciuto. Pavese sosteneva che la lettura ci difende dalle offese della vita. Lenisce i nostri dolori, le nostre preoccupazioni, ci insegna a sostenerne il peso.
La lettura è tutto questo e molto altro. Auguro a tutti noi di continuare a leggere mantenendo quel senso di meraviglia provato quando abbiamo scoperto quell’oggetto misterioso che si chiama libro.
ThrillerLife ringrazia Massimo Carlotto
a cura di Alessandra Panzini